Tutto cangia nell’Area X
e la natura è lieta anch’ella

Jeff VanderMeer
Trilogia dell’Area X
Traduzione di Cristiana Mennella
Einaudi, Torino, 2018
pp. 760, € 18,00

Alex Garland
Annientamento
Paramount, 2018
Distribuzione: Netflix

Jeff VanderMeer
Borne
Traduzione di Vincenzo Latronico
Einaudi, Torino, 2018
pp. 352, € 20,00

Jeff VanderMeer
Trilogia dell’Area X
Traduzione di Cristiana Mennella
Einaudi, Torino, 2018
pp. 760, € 18,00

Alex Garland
Annientamento
Paramount, 2018
Distribuzione: Netflix

Jeff VanderMeer
Borne
Traduzione di Vincenzo Latronico
Einaudi, Torino, 2018
pp. 352, € 20,00


L’Area X e la distopia biotecnologica di Borne sono luoghi di frontiera, strane narrazioni distopiche con innesti fiabeschi di cui lo scrittore Jeff VanderMeer smonta con perizia l’antropocentrismo. Da qui il senso del titolo Annientamento, il suo romanzo più famoso (primo di una trilogia) dal quale Netflix ha tratto un film diretto da Alex Garland.
Perse in un’area geografica definita ma dai confini in espansione, le scienziate di Annientamento cercano di chiarire il mistero di una biosfera impazzita in cui i codici genetici di tutti i viventi vengono miscelati apparentemente a caso dando luogo a fantasmagorici bestiari e a sconcertanti ibridazioni tra flora e fauna.
Anche il mondo di Borne è popolato da un bestiario fantastico costituito dai frutti dell’ingegneria biotecnologica umana evidentemente andata a male quando l’industria dei gadget ha cercato di riprodurre in troppo poco tempo occhi, cervelli, braccia modellati in milioni di anni di tentativi e di errori da parte di madre Natura. Quest’ultima risponde imperturbabile rimescolando le carte della biosfera e stabilendo nuovi equilibri sostanzialmente indifferenti alla presenza dell’uomo.

Isole totalizzanti e rivelazioni metafisiche
Ma prima di passare alla nuova vita bisogna affrontare una soglia iniziatica, una passeggiata nell’oscurità del bosco: sopravvivere a una zona piena di fatica e terrore. L’Area X di VanderMeer ricorda la Zona di Stalker (film di Andrej Tarkovskij del 1979) e per certi aspetti La foresta di cristallo (romanzo di James G. Ballard pubblicato nel 1964): territori dove le leggi fisiche sono inspiegabilmente stravolte. Per Tarkovskij la Zona rappresenta la vita:

“[…] attraversandola l’uomo o si spezza, o resiste. Se l’uomo resisterà dipende dal suo sentimento della propria dignità, dalla sua capacità di distinguere il fondamentale dal passeggero” (Tarkovskij, 1988).

Rispetto al romanzo da cui è tratto, Picnic sul ciglio della strada (Strugackij, 2006), Stalker tradisce la predilezione del cineasta russo per il viaggio spirituale, con lunghi piani-sequenza contemplativi che sono funzionali a mettere in scena in una sospensione tra Scienza e Fede (cfr. Simone, 2017). Sostanzialmente lo stesso approdo a cui ambisce VanderMeer ma seguendo strade completamente diverse. La scelta di partire per viaggi così impegnativi da un luogo delimitato e dotato di una topografia certa appare un espediente estremamente produttivo per edificare schemi teatrali, per montare tensione emotiva e per estrarre meraviglia dai paradossi che inceppano i meccanismi e le sicurezze del quotidiano.
Una Natura enigmatica e dagli scopi insondabili prende possesso di stanze, condomini, astronavi e menti umane dando luogo a metamorfosi kafkiane o a possessioni psicologiche. Ancora Tarkovskij con l’oceano senziente di Solaris (1972, dall’omonimo romanzo di Stanislaw Lem), ma anche il film Il demone sotto la pelle di David Cronenberg il cui complesso residenziale contaminato ricorda molto il romanzo Il condominio di Ballard (queste ultime sono entrambe opere del 1975 misteriosamente all’oscuro l’una dell’altra).
Nei primi anni Duemila l’Isola della serie Lost ha rilanciato l’espediente dell’unità di luogo codificata in mappe e diari per stabilizzare un aleatorio senso di controllo. Ballard resta il maestro assoluto nel raccontare questi luoghi di transito e mutazione, vere e proprie sabbie mobili della percezione e della psiche, cerniere tra reale e ideale. Isole, condomini e non-luoghi liminali pronti a esplodere.
Ne La foresta di cristallo (Ballard, 2005) l’equivalente della Zona è una giungla africana in cui la vegetazione inizia un processo di cristallizzazione e ogni cosa, inclusa l’aria, diventa come ghiaccio. Un fenomeno che si espande e sembra destinato a inglobare tutto il pianeta, proprio come le fratture interdimensionali di Fringe a cui si cerca di mettere una toppa contenendo gli eventi in una strana sostanza simile all’ambra. C’è sempre almeno un continuum alternativo in agguato. Il nostro è degno di esistere e occupare il suo posto? Chi è degno di abitare queste isole microcosmiche? In che modo dovrebbero evolversi gli inquilini autorizzati a restare?
A proposito di Deserto d’acqua Ballard ha dichiarato: “L’intero regno biologico viene visto come un singolo organismo, un’unica memoria grande e continua” (O’Hara e Sellars, 2012).
Nelle zone di Ballard hanno luogo spesso forme di regressione, trasformazioni per tornare all’utero e ad altre configurazioni esistenziali primigenie. Sull’isola-montagna immaginata dallo scrittore Michel Bernanos (misterioso poeta e autore sci-fi francese morto suicida nei boschi parigini negli anni Sessanta a cui VanderMeer dichiara di essersi ispirato) gli uomini si trasformano in sculture di pietra e diventano parte dello scenario proprio come nell’Area X gli abitanti di un villaggio si sono tramutati in piante. Nel romanzo La Montagne morte de la vie di Bernanos (1977) il fascino che ha ispirato VanderMeer risiede evidentemente nella imperscrutabilità della montagna vivente: alieno proveniente da un altro pianeta o apologo del divino che decide di incarnarsi? Anche qui l’uomo è spettatore impotente.

Annientamento di Alex Garland. Anche le altre immagini provengono dal film ispirato all’Area X, tranne dove indicato.

La fantascienza di VanderMeer si presenta come un affascinante blob mutaforma che getta un ponte tra Howard P. Lovecraft e Ballard, distinguendosi dai suoi maestri inglobando in maniera originale istanze scientifiche e filosofiche entro un caleidoscopio di fantasy, horror e realismo. Il punto cardinale resta sempre smontare costrutti identitari forti. Ma se le molecole organiche nell’Area X sono tutte sottoposte al fantasmagorico vento del prisma genetico che mescola i codici generando straordinarie sorprese viventi, non ci è dato sapere perché. Forse non vi è alcun senso ultimo in queste biosfere fantastiche così come siamo noi umani a dare un senso arbitrario a quella che chiamiamo evoluzione (teoria del caos).
O forse esiste un senso ma conoscibile solo come fa la biologa protagonista di Annientamento: diventare altro, imboccare la via di una mutazione irreversibile, un nuovo status che non prevede la capacità di comunicare quanto scoperto. La mano invisibile che stravolge la genetica viene immaginata come “un’intelligenza che opera attraverso supremi atti di rispecchiamento, restando nascosta in molti altri modi, il tutto senza rinunciare alle basi della sua diversità mentre diventa ciò che incontra” (VanderMeer, 2015).

Mutazioni, metamorfosi e metafore del testo postmoderno
La misteriosa creatura chiamata Borne è come lo Scriba dell’Area X ovvero l’essere che riempie i muri di parole ispirate a narrazioni apparentemente casuali. Parole viventi composte da funghi e spore e che sono in grado di animarsi e modificarsi autonomamente. Borne, dopo aver letto tutti i libri degli umani, è capace di inventarsi nuovi linguaggi e nuove forme di conoscenza. VanderMeer ci mette di fronte affascinanti metafore della letteratura e della sua infinita energia rigeneratrice (cfr. Raimo, 2018).

In fondo Borne è una pedina in un gioco imprevedibile: nasce come parassita, eppure diventa il prescelto per cambiare gli equilibri di questo mondo caratterizzato da biotech senziente e minacciosi orsi volanti. Quando esplodono le scritte composte da materia vivente rinvenute nel tunnel sotterraneo, le scienziate vengono letteralmente contaminate dal testo scritto dall’Area X rendendo vani tutti i tentativi di osservazione e di decodifica del mistero.
Il fatto stesso che le protagoniste siano scienziate sottolinea con forza il fallimento epistemologico dei progetti umani (compresi quelli narrativi). L’immersività rende impossibile l’analisi e, al tempo stesso, regala una visione fugace che dimostra l’esistenza di territori inesplorati (anche per il romanzo) ma, per ora, non esplorabili (cfr. Didino, 2015).
Se il mutamento sociale e tecnologico ha indotto nuovi modi di interpretare il reale (cfr. Kern, 2007) il mondo digitale nel quale viviamo ormai immersi fino al collo ha profondamente mutato la percezione umana assegnando un ruolo sempre più importante alla presenza e alla manipolazione delle immagini che schizzano fuori anche dal testo letterario. La versione cinematografica di Annientamento ha reso ancora più evidente il profondo legame che c’è tra la letteratura di VanderMeer e la cultura visiva con la fantascienza filmica e la manipolazione delle immagini in primo piano.

Uno sguardo carico di pixel e di effetti speciali
I contesti mutanti di VanderMeer sembrano avere in comune con tante audiovisioni fantascientifiche le tecniche di costruzione della suspense in una successione che ricorda i resoconti degli esploratori ottocenteschi: la noia di lunghe descrizioni del lento scorrere del viaggio, viene squarciata dall’improvvisa apparizione di creature terrificanti e inspiegabili. Non a caso le pagine di Edgar Allan Poe, Jules Verne e Lovecraft sono molto influenzate da questa modalità narrativa tra diario di bordo e reportage giornalistico: tutti scrittori che hanno raccontato l’epoca delle ultime grandi esplorazioni geografiche. In fondo i flashback di Annientamento sono speculari al lunghissimo flashback della serie The Terror.

Si scrive tanto nell’Area X ma inutilmente: i diari degli esploratori delle spedizioni passate sono ridicoli tentativi di rassicurare tramite l’oggettività del dato. Simbolicamente ammassati in una forma piramidale costituiscono una sorta di pira funebre o monumento all’impotenza umana che attende solo un gran falò liberatorio. Per Borne, VanderMeer realizza addirittura un bestiario (cfr. VanderMeer e Nyquist, 2018) molto minuzioso distribuendolo via web, comodo indice analitico delle mutazioni concepite.
La complessità degli ecosistemi di VanderMeer rappresenta una notevole modernizzazione del topos fantascientifico della mutazione genetica che si può far risalire a H.G. Wells, almeno a giudicare dalla persistenza nell’immaginario delle idee contenute in La macchina del tempo e ne L’isola del dottor Moreau. Ma oggi i Morlock (cfr. Wells, 2018) con la loro pelle pallida e gli occhi enormi, ci appaiono come il risultato lineare e scontato di un lungo adattamento alla vita nel sottosuolo lontano dal sole.
Le creature più riuscite dell’Area X sono figlie dei sogni e degli incubi plasmati dalle saghe cinematografiche e dalle narrazioni televisive tardo-moderne.
Il design e l’impatto emotivo di La cosa (1982) di Carpenter su tutto. In VanderMeer le descrizioni di creature e habitat sembrano fortemente improntate a quello che Rudolf Arnheim chiama pensiero visivo (cfr. Arnheim, 2013), cornice conoscitiva in cui si annulla la dicotomia tra il vedere e il pensare. In effetti il fallimento delle investigazioni dell’Area X è quasi totalmente dovuto alla percezione visiva e si risolve in una resa incondizionata della ragione a causa del troppo orrore.

Jeff VanderMeer è profondamente consapevole del sistema di immagini in cui tutti siamo immersi e cerca di portare su carta le mutazioni cinematografiche realizzate da ingegnosi effettisti e truccatori prostetici quali H.R. Giger (lo xenomorfo di Alien e altre fantasie esoscheletriche), Carlo Rambaldi (ancora Alien ma anche l’alieno in ET, sintesi tra un nonnino e un gatto), Dennis Muren (l’alieno fatto d’acqua in The Abyss), Stan Winston (le metamorfosi nel telefilm Manimal e i tessuti organici sui robot nella saga di Terminator), Gregory Nicotero (indiscusso re degli zombie e della carne in putrefazione). Dal nutrito mucchio di geniali artisti-artigiani che hanno fatto grande il cinema di fantascienza degli anni Settanta e Ottanta estraiamo Rob Bottin in particolare. Dopo la mutazione da uomo a licantropo in L’ululato di Joe Dante, Bottin è entrato nella storia del cinema con le creature da incubo lovecraftiano di La cosa (Carpenter).
A ben vedere tutte le creature aliene più famose di quella stagione sono biomeccanoidi che traggono ispirazione da elementi naturali e, per questo, si pongono come avanguardie artistiche della connessione Tecnica-Natura. La biotecnologia impazzita di Borne celebra in fondo una nuova alleanza tra ecosistema e artefatti umani, anche se questi ultimi sono totalmente sfuggiti al progetto capitalistico iniziale. Questo è quello a cui punta VanderMeer: fusione di materiali narrativi ben radicati nell’immaginario per produrre nuovo senso. In VanderMeer la “rimediazione” (cfr. Bolter e Grusin, 2000) diventa mutazione memetica e al tempo stesso genetica.
Grazie all’immediatezza visiva, la mutazione e la metamorfosi sono dunque ancora i congegni narrativi ideali per raccontare due cose: da una parte la soggettiva altra (prospettiva vegetale e animale) che ci ricorda i vincoli di una convivenza all’interno di una biosfera; dall’altra il testo postmoderno che deborda i confini dei generi e delle grandi narrazioni classiche.

Come nella terza stagione Twin Peaks (2017) di David Lynch, anche Borne e Annientamento cercano un punto di origine preciso (una zona) per definire l’avvio del nuovo corso scelto dalla Natura e la sua espansione inarrestabile come un virus. Mentre in Borne la novità viene introdotta dall’incidente biotecnologico di origine capitalista, nell’episodio 3×08 di Twin Peaks (Lynch, 2017) tutto parte con la prima deflagrazione nucleare e la minuscola rana generata dal fungo atomico.
La creaturina lynchiana è apparentemente inoffensiva e ricorda l’aspetto innocente del piccolo parassita Borne appena nato o il piccolo D’Artagnan, cucciolo di demogorgone visto nel lovecraftiano Stranger Things. La ranetta penetra nel corpo di una ragazzina che dorme ipnotizzata da una misteriosa trasmissione radiofonica. L’inseminazione (quante scene così anche in Cronenberg) dimostra la sostanziale impotenza degli umani nei confronti di poteri superiori evocabili ma non sempre controllabili. Ultracorpi che ci invadono silenziosi, veleni invisibili come radiazioni e altri agenti cancerogeni che ci penetrano mentre dormiamo, mutanti, supereroi e supervillain di scuola Marvel-DC Comics: la Natura fa il suo corso scegliendo traiettorie misteriose, fiabe che raccontano passaggi attraverso il bosco, transiti inevitabili se ci si vuole evolvere, anche se le tenebre che calano sembrano ogni giorno più minacciose.

Jeff VanderMeer: dopo la mutazione. Un ritratto di The Watchman.

Con le sue catastrofi e le sue strane biosfere VanderMeer compendia tutte le grandi narrazioni mutanti della fantascienza: le visioni contemplative di Tarkovskij, i traumi psico-sociali di Ballard, il body horror di David Cronenberg e John Carpenter, gli effetti speciali prostetici nel cinema degli ultimi quarant’anni, i corpi elettronici scolpiti con i pixel miscelando forme familiari per nuove chimere dell’immaginazione.
È arrivato il momento di nuove soggettive e quindi di nuove fanta-scienze. La prospettiva animale, con il valore aggiunto fantasy/horror, ci costringe a re-immaginare la biosfera e il suo valore, tenendo a debita distanza il soluzionismo tecnologico tipicamente capitalista. VanderMeer ci mostra la via olistica e post-moderna della complessità e della ibridazione.

Letture
  • Rudolf Arnheim, Pensiero visuale, Mimesis, Milano, 2013.
  • James G. Ballard, Il condominio, Feltrinelli, Milano, 2014.
  • James G. Ballard, La foresta di cristallo, Feltrinelli, Milano, 2005.
  • Michel Bernanos, La montagne morte de la vie, Le Livre de Poche, Parigi, 1977.
  • Jay D. Bolter, Richard Grusin, Remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, Guerini e Associati, Milano, 2002.
  • Gianluca Didino, Una strada per il romanzo: Jeff VanderMeer e Tom McCarthy, in Minima et Moralia, 2015.
  • Stephen Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, il Mulino, Bologna, 2007.
  • Dan O’Hara, Simon Sellars, Extreme Metaphors: Interviews with J.G. Ballard 1967-2008, Fourth Estate/Harper Collins, 2012.
  • Christian Raimo, L’idea di futuro che ci avevano scippato. Su Borne di Jeff VanderMeer, in Minima et Moralia, 2018.
  • Arkadi e Boris Strugackij, Picnic sul ciglio della strada, Marcos y Marcos, Milano, 2006.
  • Andrej Tarkovskij, Scolpire il tempo, Ubulibri, Milano, 1988.
  • Jeff VanderMeer, Eric Nyquist, The Borne Bestiary, in MCD Books, Farrar, Straus and Giroux, 2018.
  • H.G. Wells, I capolavori, Newton Compton, Roma, 2018.
Visioni
  • J.J. Abrams, Damon Lindelof, Jeffrey Lieber, Lost, ABC Studios, 2017 (home video).
  • J.J. Abrams, Roberto Orci, Alex Kurtzman, Fringe, Warner, 2015 (home video).
  • John Carpenter, La cosa, Universal, 2008 (home video).
  • David Cronenberg, Il demone sotto la pelle, CG Entertainmen, 2014 (home video).
  • David Kajganich, The Terror, Lions Gate, 2018 (home video).
  • David Lynch, Twin Peaks: Stagione Tre, Universal, 2017 (home video).
  • Andrej Tarkovskij, Stalker, CG Entertainment, 2017 (home video).
  • Andrej Tarkovskij, Solaris, General Video, 2014 (home video).