Storia d’Africa: capitolo
tricolore, anzi nerissimo

Shirin Ramzanali Fazel
Lontano da Mogadiscio
CreateSpace Independent Publishing Platform, 2017

pp. 194, € 11,65

Rino Bianchi, Igiaba Scego
Roma negata
Percorsi postcoloniali nella città
Ediesse, Roma, 2014

pp. 157, € 13,00

Elvira Frosini, Daniele Timpano
Acqua di colonia
Consulenza / Igiaba Scego
Uno spettacolo di Frosini / Timpano
Produzione: Romaeuropa Festival,
Teatro della Tosse,
Accademia degli Artefatti

Shirin Ramzanali Fazel
Lontano da Mogadiscio
CreateSpace Independent Publishing Platform, 2017

pp. 194, € 11,65

Rino Bianchi, Igiaba Scego
Roma negata
Percorsi postcoloniali nella città
Ediesse, Roma, 2014

pp. 157, € 13,00

Elvira Frosini, Daniele Timpano
Acqua di colonia
Consulenza / Igiaba Scego
Uno spettacolo di Frosini / Timpano
Produzione: Romaeuropa Festival,
Teatro della Tosse,
Accademia degli Artefatti


“È davvero giunto il tempo in cui, ad un livello più generale e non solo storiografico, gli italiani conoscano ed ammettano questa storia passata non trincerandosi dietro amnesie, rimozioni, esotismi o addirittura tardive e fuori luogo rivendicazioni”. Così Nicola Labanca conclude un importante saggio storico dal titolo Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana (2002). La storia da “conoscere” e “ammettere” riguarda il vero volto del colonialismo italiano in Libia e nella cosiddetta Africa orientale italiana, composta da Eritrea, Somalia ed Etiopia.
Il lavoro di storici come Angelo del Boca, Giorgio Rochat e lo stesso Labanca ha ormai mostrato che, nonostante il mito degli “Italiani brava gente” sia circolato ampiamente in epoca coloniale, e sia tuttora non di rado rievocato, la presenza italiana in Africa lasciò tutt’altro ricordo nelle popolazioni locali. I regimi coloniali italiani misero in piedi un vero e proprio sistema di segregazione razziale e, specialmente in epoca fascista, si caratterizzarono per una forte aggressività nel corso delle guerre di conquista, rendendo l’Italia protagonista di tristi pagine di storia, fatte di massacri e atti genocidiari.

Sebbene in ritardo rispetto ad altri paesi europei, una certa decolonizzazione degli studi è avvenuta anche in Italia. Ma non si può dire altrettanto per l’opinione pubblica e il senso comune dominante. A eccezione del lavoro pioneristico di Angelo del Boca (1976; 1992), raramente il dibattito su cosa fu il colonialismo italiano è stato portato fuori dall’accademia.

Nostalgie e amnesie
Unica forma di memoria sul tema è stata a lungo la nostalgia, anche da parte di rappresentanti delle istituzioni. Due esempi: la mostra fotografica allestita nel 2004 al Vittoriano, patrocinata da tre ministeri, intitolata L’epopea degli Ascari Eritrei, in cui venne esaltata la fedeltà della popolazione eritrea agli italiani; la decisione del sindaco di Affile, nel 2013, di costruire un mausoleo in memoria del generale fascista Rodolfo Graziani, che nell’Africa “italiana” si macchiò di diversi crimini di guerra.
Fuori dal dibattito accademico, è stata la letteratura, negli ultimi venticinque anni, a giocare un ruolo di rilievo nel ritornare sulla storia coloniale italiana proponendone una visuale differente.
Un testo apripista sotto questo profilo è stato Lontano da Mogadiscio di Shirin Ramzanali Fazel, pubblicato nel 1994, riedito nel 2013 in una versione digitale ampliata e bilingue (italiano e inglese) e ristampato dall’autrice attraverso una piattaforma di pubblicazione indipendente nel 2017.
Il testo ripercorre in maniera non lineare la biografia dell’autrice, nata a Mogadiscio ed emigrata in Italia nel 1971 insieme al marito e alla figlia neonata. Non è un vero e proprio romanzo, né una classica autobiografia.  Si tratta piuttosto di un memoir in cui i ricordi personali di Fazel si mescolano alla storia dei paesi in cui ha vissuto, in particolare Italia e Somalia. Tra le tante suggestioni che Lontano da Mogadiscio offre al lettore spicca la sensazione che italiani e somali abbiano una consapevolezza del tutto diversa del passato coloniale che condividono.
La prima parte del testo, infatti, dipinge Mogadiscio degli anni Cinquanta e Sessanta, la cui quotidianità è fatta di caffè allo zenzero e tè speziati, ma anche di scampagnate in cui, su una FIAT 1400, si va a pranzo da “Da Cristiani” per mangiare pasta fresca al forno e pollo alla diavola; di donne che si dipingono vicendevolmente le mani con l’henna e indossano dei colorati garbasaar sul capo e di passeggiate ai giardini che circondano “l’Arco di Trionfo costruito dagli italiani durante l’era fascista” (Fazel, 2017); e ancora, la scuola frequentata dalla protagonista si chiama Regina Elena e la via principale è Via Roma.
La seconda parte del testo, invece, si apre nel momento in cui l’autrice, a causa della dittatura di Siad Barre, decide di partire per l’Italia:

“Per farmi coraggio mi convincevo che andavo in un paese che in fondo conoscevo già […] Era come se fossi vissuta all’ombra dell’Italia per anni. Ho appreso la storia studiando i moti carbonari, Garibaldi e Mazzini. Il cinema mi ha fatto conoscere la sensibilità di Pietro Germi e la comicità di Totò e Sordi. Ho gustato le specialità delle varie cucine regionali. Le canzoni di Modugno, Mina e Gianni Morandi hanno allietato la mia adolescenza. La lettura della Divina Commedia, di Pavese e Pirandello mi aveva avvicinato alla letteratura italiana. Ora si trattava di verificare se quello che avevo immaginato corrispondesse alla realtà”.

Ma nella verifica qualcosa va storto. Non solo la donna si trova a vivere in un paese in cui il colore della sua pelle conta più del suo nome, ma deve anche fare i conti con qualcosa a cui non era preparata, ovvero l’assoluta ignoranza degli italiani in merito alla propria storia coloniale:

“Io, come moltissimi somali, avevo studiato la lingua italiana e la storia d’Italia, mentre l’Italia non s’era mai degnata di fare altrettanto con noi. Gli italiani ignoravano tutto di noi”.

Fazel ha così messo in scena ciò che Dipesh Chakrabarty ha definito come l’impossibilità, per i paesi un tempo colonizzati, di ricambiare la “simmetria di ignoranza” (Chakrabarty, 2000) spesso riservata loro dai paesi ex colonizzatori. Quello che è stato un rapporto, coloniale, ma comunque un rapporto, tra Italia e Somalia si è trasformato per gli italiani in una manifestazione di indifferenza, se non di completa ignoranza. Il dominio è diventato non riconoscimento.

Memorie critiche e contro-narrazioni
La memoria, rimossa e distorta, diventerà la chiave interpretativa di numerosi testi narrativi che saranno pubblicati negli anni successivi, e sarà il tema principale del bel romanzo della scrittrice italo-etiope Gabriella Ghermandi, Regina di fiori e di perle (2007).
Sulla questione della memoria rimossa si sofferma anche Igiaba Scego in un testo dall’eloquente titolo Roma negata. Percorsi postcoloniali nella città (2014). Scego, nata a Roma da genitori somali, propone ai lettori di accompagnarla in una passeggiata immaginaria per mappare in modo nuovo una “Roma che non mi ha mai detto la verità fino in fondo”.
Laddove in Lontano da Mogadiscio Fazel mostra i segni della presenza italiana in Somalia, Roma negata rappresenta l’altra parte di questa relazione. Scego ci conduce così in una serie di luoghi che recano le tracce di un passato coloniale e fascista troppo frettolosamente messo da parte e a-problematizzato; luoghi che in questo testo vengono risignificati anche attraverso i volti di donne e uomini originari del Corno d’Africa nelle fotografie scattate da Rino Bianchi.
Un luogo in particolare testimonia l’incapacità di compiere una vera memoria autocritica: Piazza di Porta Capena. Qui oggi si trova una targa in memoria delle vittime della strage di New York e Washington dell’11 settembre 2001, accompagnata da una frase del filosofo George Santayana che recita: “Quelli che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo”. Ma in quello stesso luogo, fino a qualche anno fa, si trovava la stele di Axum, un obelisco che, ricorda l’autrice, l’Italia fascista aveva portato dall’Etiopia come bottino di guerra.
La stele adesso, dopo numerose polemiche e ritardi, si trova nuovamente ad Axum. È stata restituita. Ma a Roma, in quel luogo, si è scelto di commemorare una tragedia altrui, un crimine contro l’occidente, piuttosto che mantenere la memoria dei crimini che l’Italia stessa ha perpetrato verso altri popoli. Del resto, afferma Scego, “non tutte le memorie, lo stavo scoprendo con il tempo, avevano lo stesso trattamento”.
Le scrittrici citate, e altre insieme a loro (Erminia dell’Oro, Kaha Mohamed Aden, Cristina Ali Farah, per fare alcuni nomi), hanno proposto un efficace ribaltamento di prospettiva nel modo in cui si parla del colonialismo italiano. Ma le loro biografie, in modi diversi legate tanto all’Italia quanto a un paese del Corno d’Africa, sono responsabili del punto di vista che hanno scelto di assumere. Sembra invece che una prospettiva più propriamente postcoloniale non sia stata abbracciata da scrittori e scrittrici autoctoni, a eccezione di Wu Ming 2 che, in collaborazione con Antar Mohamed, ha scritto Timira. Romanzo meticcio (2012).

Altra recente eccezione nel panorama culturale nazionale è lo spettacolo teatrale Acqua di colonia, attualmente in tour dopo il debutto al Romaeuropa Festival nel novembre 2016, scritto e interpretato da Elvira Frosini e Daniele Timpano.
Lo spettacolo, costruito con toni fortemente autoironici, mette in scena le nostre amnesie e la nostra ignoranza rispetto al passato coloniale e riprende diversi elementi fortemente radicati nella nostra cultura esplicitandone le matrici occidentaliste e coloniali.
Sotto tiro, tra gli altri, Indro Montanelli, Pierpaolo Pasolini, Giuseppe Verdi con la sua Aida, canzoni come Faccetta nera, ma anche la meno stigmatizzata Tripoli bel suol d’amore, scritta nel 1911 in favore della conquista della Libia e reinterpretata numerose volte sino ai nostri giorni. Efficace la scelta degli autori/attori di presentarsi come due persone comuni che del colonialismo non sanno niente, perché “Queste cose in Italia non le sa nessuno. Nemmeno noi”, afferma Daniele. “Nemmeno loro”, risponde Elvira indicando il pubblico.
Una scelta che pone al riparo da toni moralistici, offre la possibilità di mettere in discussione assunti dati per scontati e invita a vedere le connessioni tra il razzismo di ieri e quello di oggi, tra la storia coloniale e i fenomeni migratori contemporanei. Uno spettacolo, Acqua di colonia, che esorta a non considerare il colonialismo acqua passata e che accoglie l’invito delle scrittrici afro-italiane a ritornare su una storia comune per raccontarla da un punto di vista radicalmente diverso rispetto a quello egemonico.
In fondo, il fatto che su quel periodo di storia esistano oggi narrazioni contraddittorie, seppur con una diversa visibilità, suggerisce che le memorie che condividiamo, così come gli oblii che perpetuiamo, non siano dati in maniera definitiva e indiscutibile.

Letture
  • Dipesh Chakrabarty, Provincializing Europe: Postcolonial Thought and Historical Difference, Princeton University Press, Princeton, 2000.
  • Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa orientale, vol. 1, Laterza, Bari, 1976.
  • Angelo Del Boca, L’africa nella coscienza degli italiani. Miti, memorie, errori, sconfitte, Laterza, Bari, 1992.
  • Gabriella Ghermandi, Regina di fiori e di perle, Donzelli, Roma, 2007.
  • Nicola Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, Il Mulino, Bologna, 2002.
  • Wu Ming 2, Mohamed Antar, Timira. Romanzo meticcio, Einaudi, Torino, 2012.