Il regista e i suoi numi
dietro la macchina da presa

Massimiliano Studer
Shining
Kubrick ed Ėjzenštejn
Pequod, Ancona, 2023

pp. 58, € 12,00

Massimiliano Studer
Shining
Kubrick ed Ėjzenštejn
Pequod, Ancona, 2023

pp. 58, € 12,00


Di Massimiliano Studer è certamente possibile attestare la sua particolare propensione per le sfide culturali, da cui non si lascia certamente intimidire. Dopo aver dedicato la maggior parte della sua carriera e dei suoi studi all’analisi di una figura certo non facile e lineare quale Orson Welles, nella sua più recente pubblicazione per la collana Cinemini dell’editore Pequod, intitolata Shining, sposta la sua riflessione e la messa a fuoco su altri due pilastri della storia della cinematografia, Stanley Kubrick e Sergej M. Ėjzenštejn. Obiettivo del suo studio, dichiarato in apertura, è individuare un percorso di affinità tra i due, e di conseguenza una lettura dell’opera di Kubrick come si trattasse – almeno in alcuni specifici contesti che vengono via via precisati – di una sorta di discepolo del maestro russo. Studer indica sin dalle prime righe, come, per ovvi motivi, sia necessario, e certamente utile a rendere la ricerca più precisa e contestualizzata, individuare le affinità specificatamente in un’opera che ne sia rappresentativa, che ne dia testimonianza.

La scelta cade su Shining, film che dà perciò anche il titolo a questo saggio. Ėjzenštejn non è l’unico grande regista che Studer individua come fonte di ispirazione di Kubrick, vengono difatti fatti anche i nomi di Fritz Lang e di Max Ophüls, ma, sebbene il legame con Ėjzenštejn non sia stato finora analizzato in modo approfondito dalla critica cinematografica, Studer ritiene che siano “[…] molte le analogie stilistiche tra i due cineasti, che appaiono accomunati da una maniacale attenzione al dettaglio, capace di rendere espressiva ogni singola immagine dei loro film”.

Il concetto di obraz
A questo proposito, Studer inserisce come centrale per la sua analisi, e anche per la critica ejzenštejniana, un concetto, espresso da

“[…] uno specifico vocabolo russo, obraz […]. Con questa espressione, infatti, Ėjzenštejn intende la possibilità di rendere un concetto mediante una immagine”.

Si tratta perciò di un meccanismo sia teorico che pratico, che trova la sua applicazione ideale nella tecnica del montaggio. Ciò che intende fare il maestro, e con lui Studer, è sottolineare come questo meccanismo non vada inteso nel senso di una sorta di traduzione della scena nella sua interezza, ma della trasposizione dell’immagine pura, indipendentemente dal testo che vi è annesso, o del sonoro, e che – proprio in quanto pura immagine – porta con sé il concetto che la esplica. Obraz è perciò la trasposizione diretta, immediata, di un’idea attraverso un’immagine. È evidentemente l’antitesi di ogni formulazione didascalica e pedagogica del cinema. Come dice Henri Cartier-Bresson

“per significare il mondo occorre essere coinvolti nella scelta di quanto lasciamo fuori dall’inquadratura. È un atto che esige concentrazione, disciplina spirituale, sensibilità, comprensione della geometria”
(Cartier-Bresson, 2005).

L’isolamento di un elemento dal resto del mondo, il cogliere in quell’immagine il potere significativo, la valenza simbolica, è proprio il concetto di obraz, che questo si ottenga con una moviola oppure tramite l’inquadratura della Leica è un aspetto tecnico, non sostanziale.

Il verosimile filmico
Nella cassetta degli attrezzi utilizzata da Studer, il concetto di obraz è perciò il primo e più importante degli strumenti a sua disposizione, ma non l’unico. Un ulteriore passo avanti ci viene permesso dalla lettura del saggio sul verosimile filmico del filosofo marxista Galvano della Volpe. Questo concetto, ripetutamente da lui espresso nel corso dei suoi studi di estetica, ha come fine, in estrema sintesi, di distinguere la specificità di ciò che viene trasmesso dall’immagine di un film rispetto a ciò che ci perviene tramite quelli che noi oggi – in modo più ampio – chiameremmo altri media (cfr. Della Volpe, 1971). Della Volpe si limita a distinguere il verosimile filmico dal verosimile letterario, avvicinandosi così esplicitamente al concetto di obraz come espresso da Ėjzenštejn. Ciò che accomuna il filosofo e il regista, secondo Studer, è “[…] una concezione dell’arte come fonte di conoscenza, e non come mera espressione del sentimento”, e continua sottolineando che:

“[…] La rilevanza filosofica del termine obraz risiede nella questione riguardante la natura gnoseologica dell’arte cinematografica. […] Il problema filosofico insito […] riguarda proprio le possibilità espressive e comunicative offerte dalle immagini che un regista, quando consapevole e attento, deve saper plasmare a proprio piacimento, per ottenere una precisa corrispondenza tra contenuto narrativo […] e forma visiva. Il rapporto tra forma e contenuto nel film è, dunque, l’essenza stessa dell’arte filmica, e l’obraz è la sua migliore sintesi concettuale”.

Il concetto di conflitto
Il concetto di obraz, che nasce nella tecnica di Ėjzenštejn, mediato dalla lettura filosofica di Della Volpe, diventa perciò per Studer la chiave di volta dell’interpretazione dell’opera di Kubrick. Consolidato questo principio, l’autore ci introduce a un ulteriore elemento chiave della sua lettura, che a questo punto è necessario per transitare dal maestro russo a Kubrick, ed è il concetto di conflitto, che viene definito come “il fulcro estetico di Shining”. Qui, essendo il conflitto familiare centrale per gli aspetti narrativi del film, abbiamo un esempio lampante di come una tecnica filmica si traduca in un elemento funzionale alla narrazione. Ėjzenštejn teorizza esplicitamente questo meccanismo, così riportato da Studer:

“L’inquadratura non è affatto un elemento del montaggio. L’inquadratura è una cellula del montaggio […] Ma che cosa, dunque, caratterizza il montaggio e quindi la sua cellula o inquadratura? Lo scontro. Il conflitto di due pezzi opposti l’uno all’altro. Il conflitto. Lo scontro”
(Ėjzenštejn, 1964).

È quindi il montaggio lo strumento per cui l’obraz transita immediatamente dalla pellicola alla mente dello spettatore, senza soluzione di continuità, e si tratta di una eredità di Ėjzenštejn. Studer porta diversi esempi di come questo meccanismo sia applicato anche nel cinema americano contemporaneo, a partire dal kubrickiano 2001: Odissea nello spazio fino a Apocalypse now di Francis Ford Coppola. A questo punto però, se non si tratta di un unicum, quanto piuttosto di un concetto seminale, riscontrabile in diverse produzioni, perché Shining? Qual è la sua particolarità? È lo stesso Kubrick a indicarci la risposta, nel momento in cui riconosce tra le sue fonti di ispirazione il testo del 1919 di Sigmund Freud intitolato Il perturbante.

Da Freud ad Aristotele
È quindi questo breve ma capitale saggio a completare la trilogia interpretativa che Studer mette in campo: Ėjzenštejn, Della Volpe e Freud. Questi sono i concetti che vengono ritenuti necessari per comprendere la poetica kubrickiana, e in particolare Shining, ma vedremo che sarà necessario un ulteriore supporto concettuale. Kubrick era perfettamente cosciente del fatto che un film horror non poteva essere sostenibile in forma speculativa e intellettuale, bensì doveva far vibrare le corde dell’inconscio dello spettatore, applicando in modo, se possibile ancora più potente, quella immediatezza non riflessiva che deve transitare direttamente dall’immagine, con la massima verosimiglianza possibile. Il perturbante freudiano è esattamente questo, ed è ciò che Kubrick cercava, una immagine apparentemente innocua ma che fosse in grado di toccare l’inconscio dello spettatore e dialogare direttamente con il suo lato oscuro. Le caratteristiche freudiane del perturbante sono note: il titolo originale, Das Unheimliche, evidenzia l’assenza di familiarità (heimlich), pone l’accento su

“[…] il doppio, il confine tra fantasia e realtà che si fa sempre più labile, il perpetuo ritorno dell’eguale, degli stessi destini e delle stesse imprese delittuose […]”.

È però lo stesso Freud, nella celebre chiosa del suo saggio ad aprire ad altre possibilità, quando evidenzia come nel canone poetico, il perturbante assuma caratteristiche totalmente a sé stanti (cfr. Freud, 1989). Ciò che è perturbante nel mondo, verrebbe da dire nel tempo, non lo è nella poesia. Questa considerazione per Studer apre la strada alla lettura dell’ultimo riferimento fondante di questa interpretazione, ovvero la Poetica di Aristotele. Per quest’ultimo, la poesia, rispetto alla storia (ovvero al tempo lineare, alla narrazioni diacronica),

“[…] è cosa di maggior fondamento teorico, […] perché la poesia dice piuttosto gli universali, la storia i particolari” (Aristotele, 1987).

La poesia, conclude perciò Studer, e nell’estetica qui sottesa deve essere inteso per ogni forma di espressione artistica compreso perciò anche il cinema,

“[…] non è la banale creazione di un immagine […] che riproduce in maniera accurata un modello, ma la riproduzione di ciò che è universale in quello stesso modello”.

È con il legame tra Freud e Aristotele che Studer conclude la disamina dell’apparato critico necessario alla comprensione del film, e nella parte che segue verranno affrontate quelle che lui chiama “Traiettorie, anomalie e geroglifici”, ovvero gli elementi tecnici dell’arte cinematografica kubrickiana, al fine di oggettivare la struttura teorica fin qui espressa. Oltre che in Shining, questi temi, come potrà cogliere il lettore, sono presenti in tutta la sua filmografia, e la chiave ci è data difatti dalle parole dello stesso regista, qui poste anche da Studer a conclusione del suo saggio:

“Oggi il cinema opera su un piano molto più vicino alla musica e alla pittura che alla parola scritta, i film hanno la capacità di convogliare concetti e astrazioni senza il tradizionale ricorso alla parola”
(Kubrick in Ghezzi, 1999).

Letture
  • Aristotele, Poetica, Rizzoli, Milano, 1987.
  • Henri Cartier-Bresson, L’immaginario dal vero, Abscondita, Milano, 2005.
  • Galvano Della Volpe, Il verosimile filmico e altri saggi, La nuova sinistra / Samonà e Savelli, Roma, 1971.
  • Sergej M. Ėjzenštejn, Forma e tecnica del cinema e Lezioni di Regia, Einaudi, Torino, 1964.
  • Sigmund Freud, Il perturbante, in Opere. L’ Io e l’Es e altri scritti (1917-1923) (Vol. 9), Bollati Boringhieri, Torino, 1989.
  • Enrico Ghezzi, Kubrick, Il Castoro, Milano, 1999.
Visioni
  • Stanley Kubrick, Shining, Warner Bros, 2019 (home video).