Peripezie del quotidiano
negli anni dei draghi

Maria Gaia Belli
La Dorsale
L’anno del sale
effequ, Firenze, 2023


pp. 712, € 24,00

Maria Gaia Belli
Ultimo volo
Illustrazioni di Gaia Carlesso


Moscabianca Edizioni,
Roma, 2023

pp. 96, € 9,90

Maria Gaia Belli
La Dorsale
L’anno dell’oro
effequ, Firenze, 2022


pp. 560, € 20,00

Maria Gaia Belli
La Dorsale
L’anno del ferro
effequ, Firenze, 2021


pp. 278, € 17,00

Maria Gaia Belli
La Dorsale
L’anno del sale
effequ, Firenze, 2023


pp. 712, € 24,00

Maria Gaia Belli
Ultimo volo
Illustrazioni di Gaia Carlesso


Moscabianca Edizioni,
Roma, 2023

pp. 96, € 9,90

Maria Gaia Belli
La Dorsale
L’anno dell’oro
effequ, Firenze, 2022


pp. 560, € 20,00

Maria Gaia Belli
La Dorsale
L’anno del ferro
effequ, Firenze, 2021


pp. 278, € 17,00


Nel primo libro del ciclo fantasy La saga di terramare, altresì nota in Italia con il titolo La leggenda di Earthsea, Ursula K. Le Guin ha scritto che una cosa è leggere storie di draghi, un’altra è incontrarli di persona. E, senza dubbio, è quanto accaduto anche a Maria Gaia Belli: autrice della trilogia La Dorsale – data alle stampe da effequ a partire dal 2021 col volume L’anno del ferro, poi seguito da L’anno dell’oro e dal conclusivo L’anno del sale (2023) –, la sua interpretazione di queste creature leggendarie, ormai fortemente codificate, è ben lontana tanto dall’immaginario moderno occidentale quanto dalle usuali rappresentazioni della tradizione orientale. Come potrebbe, altrimenti, aver scritto qualcosa di così distante dal canone se non facendone diretta esperienza?

“Al centro della fiera c’è un recinto montato. […] In un recinto a parte, grande come quello che tiene tutti gli altri animali, c’è un drago. Lo guardo […]. È giallo e sporco, il pelo annodato di fango e le ali magre. Dorme con la testa sotto l’ala”
(Belli, 20221).

Sarà che nel suo mondo “molto semplice” (ibidem), i draghi sono molto semplicemente incontri possibili; assai più frequenti di quelli che si sperimentano, almeno a partire dalla fine della Terza Era, lungo le vie dell’Arda di J.R.R. Tolkien o per i continenti de Le Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R. R. Martin, spopolati dai temibili animali da ben prima dell’inizio della celebre saga.

Fantas(y)tico italiano
Ma è l’intera opera di Belli a essere una visione autenticamente personale di un mondo altro, così reale nonostante l’esistenza comprovata di creature immaginarie: un mondo simile al nostro e, insieme, pienamente rientrante nelle innumerevoli possibilità della narrativa fantastica. Proprio la sua originalità, in virtù dello svincolarsi dagli stilemi tradizionali dei filoni a essa più vicini, la rende facile materia di dibattiti sullo specifico ambito di appartenenza all’interno del sistema, tutt’altro che anelastico, anzi fluido e mutabile, dei generi – un’operazione spesso macchinosa quando non limitante o addirittura sterile e volta, perlopiù, alla comodità merceologica dei testi, sebbene con tutti i suoi limiti.
Se volessimo comunque provare a collocare La Dorsale sullo scaffale tematico di un’ipotetica libreria, potremmo iniziare dicendo che non si tratta di un fantasy all’italiana ma di un fantas(y)tico italiano, con una mitopoiesi che non viene dalle vicende storiche e dal folklore del nostro Paese, e che è lontano dai tropi adoperati tanto da penne nostrane legate alla tradizione estera – una tra tutte Licia Troisi, la “più venduta al mondo” come riportato sul sito di Oscar Mondadori – quanto negli italianissimi, sporchi e cattivi, spaghetti fantasy. Perché La Dorsale non procede per sentieri abitualmente battuti, non si esprime per azioni epiche e chiare contrapposizioni, senza tirare in ballo il Male con la maiuscola, assoluto e raramente sperimentabile, per contrapporlo al grande Bene. Ed è in compagnia di tre giovani protagonisti non-destinati e dalla moralità grigia, senza un anello da distruggere o una Strega Bianca da sconfiggere, che esploriamo porzioni della geografia immaginaria di Belli e impariamo a conoscerne culture, strutture politiche e sociali.

Storie destinate a incrociarsi
Lo facciamo grazie a una narrazione che si focalizza su quanto viene spesso tralasciato in opere più convenzionali: l’introspezione e la quotidianità dei personaggi, qui stratificati dalla sedimentazione di esperienze spesso lontane da ogni forma di clamore; delicate velature che, pagina dopo pagina, vanno a comporre ritratti iperrealisti. I macroeventi, che pure influiscono sulla loro vita e la cui crucialità è sempre più chiara man mano che avanza il tempo della storia, restano sullo sfondo. Perché la storia, anzi le storie raccontate da Belli sono quelle dei giorni, mesi e anni vissuti dai giovani protagonisti: Kami, che abita una squallida capanna tra le montagne con la sola compagnia del vecchio e crudele Generale; Luk, un ragazzino della Città di P., con poca voglia di studiare, una sorellina affettuosa, una madre logorata dal lavoro e un padre che li ha disertati; e il sensibile e insicuro Key, il figlio cadetto di una potente e anaffettiva famiglia di imprenditori del Nord. Tutti e tre, per ragioni e in maniere differenti, giungeranno alla fine de L’anno del ferro alla prestigiosa Accademia e lì le loro vite si intrecceranno; a partire da L’anno dell’oro si aggiungerà al trio l’inflessibile Leila, personaggio già presentato nelle ultime pagine del primo volume. In secondo piano, i draghi.

Un’altra cosa è certa, a proposito del fantastico di Belli: il suo mondo, accostabile per tecnologia ed estetica agli ancora vicini anni Novanta, non è mai tanto lontano da non lasciarci immaginare che certi suoi angoli, magari, possano essere quelli di un altrove poco noto del nostro stesso pianeta: sul mare, a sud, troviamo paesini con piste ciclabili che si svuotano d’inverno, negozietti e persone che indossano le infradito e fanno cose normali; nella Regione c’è la popolosa città di P., frenetica e divisa in quartieri, piena di palazzi, uffici e vetrine luccicanti ricolme di merci; molto ad est si trova la città di V., vecchia, bella e povera; la gente del Sud guarda con diffidenza il Nord ricco e freddo; sull’aspra dorsale si trova l’Accademia, ma soprattutto ci sono diversi boschi, poche persone e “sicuramente molti morti” (Belli, 2021). A inizio volumi, mappe illustrano la geografia de La Dorsale: un mondo costruito sull’immaginario precoce dell’autrice, poi ampliato dal contatto costante con le storie altrui e affinato dagli studi antropologici che l’hanno aiutata a caratterizzare ognuna delle culture presentate.

Le radici del percorso
Un processo di scrittura mentale iniziato durante l’infanzia e poi mutato nel corso del tempo in stesura su carta; un costruire appassionato e faticoso, come del resto costa fatica la genitorialità o il mantenere rapporti intimi di lunga data: è la stessa autrice ad aver affermato che quanto possiamo conoscere tra le pagine della sua saga è solo la forma ultima della realtà da lei immaginata, e che il tempo passato insieme ha reso questi personaggi-giocattoli dei reali compagni di vita, figure familiari tra figli e amici, ognuna con una propria voce autentica. Trait d’union tra diverse narratrici, accomunate unicamente da un’immaginazione senza confini di tempo e spazio e dal valore della loro penna. Come le giovani Brontë, che nella loro infanzia isolata e difficile creano, insieme al fratello Branwell, prima la Confederazione di Glass Town e dopo i regni fantastici di Gondal e Angria, sviluppati con grande e giocosa serietà tramite schizzi, mappe e la stesura di una cronologia densa di numerosi e spesso violenti eventi politici: paracosmi cresciuti in estensione e complessità insieme ai loro autori, animati da una serie di individui che, al pari degli abitanti di Haworth e di ogni altra parte della Terra, attraverso l’esercizio del libero arbitrio vivono vite proprie e saranno loro cari compagni per lunghi, fantasiosi anni di storie. Ma il pensiero va anche alla prematuramente scomparsa scrittrice, intellettuale e attivista Michela Murgia, che per circa un decennio frequenta il sito del gioco di ruolo testuale Extremelot, dove impara a scrivere e a costruire trame: “È lì che ho simulato i caratteri dei personaggi che poi anni dopo sarebbero entrati nei miei romanzi” (Murgia in Lagioia, 2023). E, ancora, ad Ágota Kristóf, dichiarata influenza dell’autrice, che nell’autobiografico L’analfabeta inizia il capitolo Dalla parola alla scrittura con: “Sono ancora molto piccola e già mi piace raccontare storie. Storie inventate da me” (Kristóf, 2005) , per poi mutare la pratica inventiva orale in scrittura di ambienti, situazioni, relazioni interpersonali.

La mente ha ali di drago
Durante i lunghi anni trascorsi da Belli in compagnia dei suoi personaggi, anche il mondo in cui gli stessi operano deve, inevitabilmente, essere cresciuto insieme a loro, evolvendosi e acquisendo nel tempo la sua spiccata originalità anche grazie all’eterogeneità delle narrazioni di cui si è nutrita l’immaginazione dell’autrice. Ali di drago capaci di solcare le distanze tra generi, format e media narrativi. Come anche suggerito dalla stessa Belli in un articolo su Il Libraio, è facile leggere una profonda influenza dei J-RPG Final Fantasy – celebri videogiochi di ruolo alla giapponese – sul suo immaginario: l’apprezzata serie videoludica è caratterizzata da cast corali di personaggi giocanti e da mondi estesi ma essenziali, con un numero ridotto di centri abitati e infrastrutture, intramezzati da vasti vuoti. In particolare, La Dorsale sembra condividere alcune caratteristiche con l’ottavo titolo della serie, uno dei più realistici per ambientazione e concezione degli elementi fantastici: impossibile non pensare alle sue scuole militari (Garden) non così diverse dall’Accademia, dove adolescenti vivono e si addestrano per diventare mercenari d’élite (SeeD); o alla magia che è meno magica di quanto solitamente concepita in un fantasy, con gli incantesimi che non sono altro che para-magia, studiata da normali esseri umani per manipolare l’energia al fine di replicare i poteri delle streghe, esattamente come i draghi di Belli sono creature demitizzate e perlopiù asservite ai bisogni umani. Al pari di FFVIII, insomma, ne La Dorsale elementi fantastici tradizionali non sono stati rimossi ma connotati in maniera insolita.

Il lavoro dell’autrice ha anche molto in comune con l’opera più celebre della già citata Kristóf, la Trilogia della città di K.: le due sono vicine per la concinnità della prosa, essenziale ed estremamente concreta, che descrive senza abbellimenti e sentimentalismi personaggi, luoghi e avvenimenti; nonché per le ambientazioni intenzionalmente poco definite ma chiaramente pervase da crudeltà e povertà materiale, di affetti e giustizia. Una scrittura sottrattiva estremamente loquace, ingannevolmente semplice e quietamente elegante; soprattutto una consapevole scelta stilistica, profondamente connessa alla natura della materia narrata. Perché se il mondo descritto da Belli è di una palpabile ruvidezza, risulta ancora più duro visto dagli occhi di ragazzini che, seppure costretti a crescere anzitempo, restano altra cosa rispetto ai grandi di cui non possono fidarsi: la quasi totalità degli adulti non è adatta a svolgere ruoli e funzioni genitoriali; anche i militari coi gradi superiori, figure di riferimento all’Accademia per i più giovani, spesso mostrano scarso senso di responsabilità verso subalterni e studenti – molti pressoché orfani anche se una famiglia ce l’hanno ancora.

Il fantastico è politica
Anche Loredana Lipperini, grande sostenitrice in Italia del potenziale politico della speculative fiction, in occasione della prima presentazione streaming del suo ultimo scritto, il racconto La strada giusta per la collana di narrativa breve Tetra, ha ribadito che la letteratura fantastica “racconta il nostro mondo, è quella che racconta le nostre contraddizioni, e che cos’è questa se non politica?” (Lipperini, 2023b). E se la letteratura, anche quella fantastica, è politica e le sue storie sono auspicabili mezzi di presa di coscienza, allora il mondo e le vicende raccontati di Belli vanno oltre il piacere dell’intrattenimento offerto della buona narrativa. Del resto la dimensione politica de La Dorsale è evidente fin dal sottotitolo del primo volume: L’anno del ferro non è un riferimento a una lama leggendaria protagonista di mille e più avventure lontane, ma al materiale adoperato per il conio della moneta metallica, appunto i ferri; così come il seguito, L’anno dell’oro, allude alla coppa e alle laute somme di denaro spettanti al vincitore della Navale, famosa gara annuale di cavalieri a dorso di drago. Perché nell’opera di Belli, proprio come nel nostro mondo, il denaro è alla base di una società profondamente iniqua: rappresenta la possibilità di sopravvivere più a lungo; è via di uscita da un’esistenza di fatica e privazioni; e assoluto termine di valore. Non a caso, fin dall’infanzia una delle principali preoccupazioni dei protagonisti è accumulare ferri o preservare le fortune famigliari attraverso matrimoni combinati, necessità che attenuano la naturale centralità dei bisogni tipici della giovinezza – e tra tutti solo Key, che viene da un contesto economicamente privilegiato, può concedersi di concentrarsi anche sulle sofferenze dell’amore.

“Guardo il rosso della carne dietro i vetri, i salami appesi. Il macellaio chiede quanti soldi ho, gliene mostro la metà. Indica cosa può darmi. Ho fame, un sacco di fame. Ma i miei ferri non valgono così poca carne, e io lo so”
(Belli, 2021).

Nonostante l’Accademia sollevi i suoi studenti dalle preoccupazioni del sopravvivere economico, il pensiero dei soldi non abbandona i ragazzi nemmeno all’interno sue mura: Kami partecipa alla Navale per vincere il premio in denaro e pagarsi la libertà; coi guadagni delle gare di lotta, Luk fantastica di prendersi una bella macchina e comprare una casa per la madre e la sorella, infine sistemerà anche i debiti del padre; Key deve fare affidamento solo su sé stesso e trovare, non appena possibile, un buon impiego: la famiglia lo accusa di chiedere e chiedere e non vuole più dargli neppure “un altro solo ferro” (Belli, 2022). Tutti, fin troppo presto, dovranno preoccuparsi di cosa potersi permettere con quanto hanno in tasca. E anche i draghi possono essere letti in chiave economica: preziose risorse, perlopiù in mano all’Accademia, contribuiscono a far girare il denaro e sono loro stessi merce versatile. La malagestione del governo di V.; le ingerenze dell’Accademia; le corporazioni di mercato responsabili del divario tra i quartieri ricchi e poveri della Regione; il Nord in mano a imprenditori padroni, pieno di fabbriche e dipendenti schiavi; la criminalità organizzata efficientemente dedita al mercato nero e al traffico di esseri umani: sebbene la narrazione, molto intima, sia incentrata sulle vicende dei protagonisti, le azioni di questi attori politici, lontani dai singoli individui, producono effetti inevitabilmente percepibili già nel primo libro ed entrano con maggiore prepotenza nel secondo, mettendo in moto la macchina da guerra che, probabilmente, sarà parte fondamentale nel terzo e ultimo volume. Ma il capitalismo non è la sola piaga del mondo de La Dorsale: seguendo il cammino di Kamy, Luk e Key attraversiamo intere aree di mondo dominate da un patriarcato esteso, che permette a un uomo di avere più mogli e per cui la nascita di una femmina ha meno valore di quella di un maschio; ci uniamo a squadre di soldati che vanno di paese in paese a perlustrare ogni abitazione e bottega alla ricerca di merci di contrabbando e che, se le trovano, “bruciano la casa intera” (ibidem); assistiamo a rapimenti di donne e bambini, strappati alle famiglie per finire a sgobbare sodo tutta la vita o peggio; guardiamo chinare la testa dei lavoratori alla vista dei padroni, fino “quasi fino alle ginocchia” (ibidem).

Una schietta, reale critica all’amministrazione del potere da parte delle istituzioni, degli organismi economici e del sistema patriarcale che non viene indebolita dagli elementi fantastici. Semmai, libera dai vincoli dell’aspirazione mimetica della narrativa non di genere, per contrasto ne risulta rafforzata, una totale immersione nel contemporaneo reale. Non a caso Le Guin, i cui scritti è ancora oggi doveroso annoverare tra i più intensi ed efficaci quanto a narrativa politica, difendeva il genere quale straordinario mezzo di comunicazione. Ecco un estratto del suo discorso in occasione della vittoria nella sezione Young People’s Literature, col terzo libro di Terramare, del National Book Award del 1973:

“[…] forse il realismo è il mezzo meno adeguato per comprendere o rappresentare le incredibili realtà della nostra esistenza. […] Chi si occupa di fantastico – che utilizzi gli antichi archetipi del mito e della leggenda o quelli più moderni della scienza o della tecnologia – potrebbe discettare, con la stessa serietà e in maniera molto più diretta di chi si occupa di sociologia, della natura umana per come è vissuta, per come potrebbe essere vissuta e per come dovrebbe essere vissuta. Perché in fondo, come hanno affermato le grandi menti scientifiche, e come tutti i bambini e le bambine sanno, è soprattutto grazie all’immaginazione che acquisiamo percezione, compassione e speranza”
(Le Guin, 2022).

Un fantastico tutto per sé
Al netto delle distanze tra le due autrici, Belli, come Le Guin, articola in termini accessibili e credibili alcune tra le più vivide criticità del nostro presente. Un’operazione svolta all’interno di un contesto di fantasia ma facilmente riconoscibile, che favorisce l’identificazione del lettore e che, muovendo dall’afflizione dei singoli personaggi, porta a una chiara focalizzazione sui problemi che investono la collettività su vasta scala: il fantastico di queste due autrici è, insomma, alieno a ogni alienazione; ugualmente lontano dal mero intrattenimento della narrativa fantastica di consumo quanto da quell’isolamento ottundente di un certo genere di storie, principalmente di cultura borghese, che sembrano lasciare fuori tutto quanto non è schiettamente piccolo e privato. Ma non solo Le Guin.
Ancora con le dovute differenze, per certi versi l’approccio al fantastico di Belli ricorda anche quello di sir Philip Pullman, l’autore dell’apprezzata saga Queste oscure materie, il quale, nonostante non si reputi uno scrittore di genere, ha dichiarato che quanto più profonda e potente è l’immaginazione tanto più vicine alla realtà sono le forme che sogna: i suoi daimon e gli orsi parlanti, le sue streghe millenarie hanno psicologie realistiche e vivono in una sorta di Terra alternativa in cui gli elementi sovrannaturali vogliono essere “convincenti e autentici sotto ogni punto di vista tranne che nel loro esistere effettivamente” (Pullman, 2002), come sottolineato durante il suo intervento sullo scrivere fantasy in maniera realistica alla conferenza inglese del 2002 di Sea of Faith, organizzazione che sostiene la religione quale semplice creazione umana.

Sebbene più smaccatamente fantasy rispetto a quello di Belli, anche il mondo di Pullman è di un innegabile, crudo realismo e attraverso le avventure di Lyra e degli altri personaggi l’autore manipola i tradizionali costrutti del genere, reimmaginando il nostro tempo, la nostra immediatamente percepibile realtà: per citare lo stesso Pullman, la fantasia è capace di dire qualcosa di grande e importante se lo si racconta tramite dei simulacri “con la complessità psicologica, la profondità e l’imprevedibilità che hanno i nostri amici” (ibidem). Come Pullman, dal fantasy tradizionale, Belli tuttavia riprende due grandi temi: quello dell’identità e della trasformazione, qui esclusivamente metaforica: come in FFVIII i ragazzi perdono una parte di sé stessi al loro arrivo ai Garden, dimenticando in varia misura la vita di prima, così Kami, Luk e Key diventano, chi più chi meno, persone diverse all’Accademia; la “bestia” (Belli, 2022) della dorsale, il ragazzotto della periferia di P. e “il principe del Nord” (ibidem) imparano a diventare soldati e, ancor più di questo, adulti loro stessi.

“«Che t’hanno promesso?» voglio sapere. La domanda mi esce come un raschio dalla gola.
Lei [Kami] fa un gesto stanco con le braccia, come a dire di guardarmi intorno. La camera grande, il bagno asciutto, i vestiti e le scarpe […], e fuori dal dormitorio la mensa coi piatti caldi, la stalla coi cancelli di ferro, il drago nero da corsa.
«Vedi, che avevo ragione» mi dico da solo. «T’hanno dato un assaggio e t’è piaciuto, vero? Ti piace il distintivo sulla maglia. La coppa e la medaglia nelle vetrine con il tuo nome […]»”
(ibidem).

Kami, all’inizio della saga quasi una puella fera, è un personaggio esemplare, che ad abilità e conoscenze proprie dell’essere  umano unisce comportamenti e schemi di pensiero più vicini a quelli di una fiera: potenzialmente letale, un puntino tra i boschi della dorsale, la ragazzina selvaggia si immerge nella natura e nel silenzio, pressoché assoluto che sceglie di mantenere; indesiderosa di instaurare una comunicazione con esseri che appartengono alla stessa specie ma non le somigliano, Kami si esprime perlopiù attraverso il linguaggio del corpo e il suo pensiero è legato alla tipicità dell’ambiente che la circonda, segue il ciclo temporale scandito dal susseguirsi delle stagioni, dall’urgenza della fame, dalla ordinarietà della morte. Catturata dai militari, al pari di un drago selvatico, viene lentamente domata all’Accademia, dove ogni aspetto della vita è regolato e la sua identità umana prende forma: bambina rapita, cresciuta tra la neve, gli alberi e le bestie; studentessa iscritta a forza all’Accademia, che desidera tornare al selvatico; imbattibile fantina di draghi, su cui tutti contano, e diligente caposquadra; soldato spietato, che fa cadere l’inferno sulla gente del Nord; genitore premuroso che non esista a lasciare i figli “anche in mezzo alla strada” (ibidem), proprio come fanno gli animali. Allontanata dal naturale, inizia le sue metamorfosi.

“Trovo un cartoncino di plastica. […] Sopra c’è la mia faccia, piccola. Accanto è scritto il mio nome. Sulla carta ho sedici anni, e qui sono scritte tutte le cose di me che non sapevo. Sono nata a est, dalle parti di Città di V. Sono alta un metro e sessantotto. Peso quarantatré chili. Il numero per i miei stivali è il trentasette. So montare un drago e tirare con l’arco. Da oggi vivo in Accademia”
(Belli, 2021).

Perché l’Accademia è insieme madre, che accoglie e alleva bambini con una “doma ‘dolce’” (Belli, 2022), e matrigna delle fiabe, poco clemente verso i suoi figliastri: ricca di risorse, anche l’Accademia può essere letta come agente capitalista intento a sfruttare studenti e soldati, insieme lavoratori alle proprie dipendenze e consumatori a cui promette sempre di più, ma mai in maniera gratuita, rendendo di fatto succubi entrambe le categorie.

“La maggior parte dei nostri draghi […] è addestrata con la pratica della doma ‘dolce’. Cioè con la carne, la ripetizione quotidiana e tantissima pazienza. Non c’è bisogno del bastone […]: basta fargli fare le stesse cose ogni giorno, per anni, e premiarlo quando le fa bene. In questo modo […] non tenterà di scappare […]. Dalla stalla sicura, dal cibo pronto, dagli stallieri che gli puliscono le unghie […]”
(ibidem).

L’Accademia è anche simile a un’isola, quasi un’utopia di sicurezza e benessere tra la linea di picchi che formano la dorsale. Ma sotto lo splendore dei trofei e il buon sapore del cibo della mensa, nonostante la piacevole sensazione di vedersi riflessi con addosso le belle uniformi con gli stemmi ricamati, l’Accademia è molto diversa da come la dipingono i volantini per l’arruolamento, con foto di ragazzini in divisa a cavallo di piccoli draghi, prati ben tagliati, aule luminose e spaziose, perfettamente attrezzate: già a partire dalle pagine iniziali del primo volume, la descrizione che Belli ne dà è decisamente più oscura, distante dall’immagine pulita delle brochure patinate.

“Le mura dell’Accademia sono alte venticinque metri. Nelle reti fuori dalle mura passa ogni minuto il fulmine. Fuori dalle reti, fanno la guardia i draghi. È impossibile guardare dentro, a meno di non essere un soldato”
(Belli, 2021).

Accortamente lontana dagli eccessi di società palesemente autoritarie, La Dorsale parla dei nostri tempi sottili, per la fragilità degli equilibri precari e per l’occultamento di tattiche propagandistiche, prendendo le distanze dalle grandiose campagne di disinformazione di massa e dalla coercizione assolutistica delle storie di Katharine Burdekin, George Orwell, Ray Bradbury, Philip K. Dick, Margaret Atwood o Suzanne Collins. Lo schieramento dell’autrice resta chiaro anche senza le globali vittorie nazifasciste; il prendere il sopravvento di ideologie e dottrine intolleranti alla cultura o della pace; la fondazione di partiti e Stati autocratici; l’istituzione di giochi mortali tra vittime rituali. Gli enti e le organizzazioni de La Dorsale sono allora più simili a quelli di opere a noi socialmente e temporalmente più vicine, come la Base Sonno di Karen Russell (I donatori di sonno) o The Circle di Dave Eggers, e gentili come la distopia del governo pseudo-socialista di Karin Tidbeck, Amatka: più che addentrarsi negli spazi serrati delle stanze delle oligarchie, dove si traffica per accumulare e distruggere, è affacciandosi alla finestra e guardando il mondo che c’è fuori, le altezze dell’ingiustizia e la profondità della diseguaglianza sociale, che troviamo la dimensione politica di Belli.

A sottolineare la vicinanza alla realtà del lettore, la brutalità delle gerarchie quotidiane e lo sfruttamento bieco del capitalismo tornano in Ultimo volo, breve spin-off autonomo pubblicato di recente da Moscabianca Edizioni. Protagonisti del racconto sono la postina Lisa, giovane madre di famiglia massacrata dai lunghi turni, e il drago Lampo con cui consegna lettere e pacchi via ali; mentre le loro esistenze assai simili si riducono a cicli di pasti veloci, poco riposo e troppo lavoro, all’orizzonte si profilano le nubi scure di un conflitto che minaccia tempesta: in poco più di un centinaio di pagine, attraverso spaccati di vita di gente normale, che resta al di fuori dei grandi accadimenti della Storia con la maiuscola, l’autrice racconta i pericoli della guerra e dell’appetito cannibale del potere.

Volare lontano
Queste le caratteristiche che fanno del romanzo d’esordio di Belli e delle storie che seguono testi incredibilmente maturi: similmente a quanto accaduto con Queste oscure materie di Pullman, sebbene l’opera dell’autrice sia presentata come una lettura adatta anche a un pubblico giovane, e certamente apprezzabile da una parte della Generazione Z, i temi adulti de La Dorsale, la sua complessità, la brutalità del suo mondo e delle emozioni che suscita rendono chiaro che, con molteplici livelli di lettura, la saga è una proposta perfettamente su misura per lettori esperti ed esigenti – compresi quelli che, di norma, evitano le tanto stigmatizzate letture di genere. Forse perché non si tratta di storie scritte pensando a uno specifico pubblico di riferimento: la penna dell’autrice ha lasciato parlare letteralmente in prima persona i suoi protagonisti, permettendo alle loro voci, di capitolo in capitolo, di esprimersi chiare e autentiche, senza mai sottovalutare l’intelligenza di chi le ascolta, ribelli alle logiche affossanti di targhetizzazione e tropi.
Del resto è l’immaginazione, dio-creatrice onnipotente, che dà forma alle oscure materie dentro e fuori di noi, modellando nuovi mondi per ognuno e che tutti possono, anzi dovrebbero davvero, poter avere l’opportunità di visitare.

Letture
  • Margaret Atwood, Il racconto dell’ancella, Ponte alle Grazie, Milano, 2019.
  • Margaret Atwood, I testamenti, Ponte alle Grazie, Milano, 2019.
  • Maria Gaia Belli, Cos’è la fantasia: tra sogno a occhi aperti, fuga dalla realtà, salvezza, malattia, Il Libraio.it, 19 ottobre 2021.
  • Katharine Burdekin, La notte della svastica, Sellerio Editore, Palermo, 2020.
  • Ray Bradbury, Fahrenheit 451, Mondadori, Milano, 2023.
  • Suzanne Collins, Hunger Games. La trilogia, Mondadori, Milano, 2014.
  • Philip K. Dick, L’uomo nell’alto castello, Mondadori, Milano 2022.
  • Dave Eggers, Il cerchio, Feltrinelli, Milano, 2022.
  • Ágota Kristóf, L’analfabeta. Racconto autobiografico, Casagrande, Bellinzona, 2005.
  • Ágota Kristóf, Trilogia della città di K., Einaudi, Torino, 2014.
  • Nicola Lagioia, Le persone facili si dimenticano, Michela Murgia no, Lucy sulla cultura, 23 agosto 2023.
  • Ursula K. Le Guin, La saga di Terramare, Mondadori, Milano, 2020.
  • Ursula K. Le Guin, Discorso di accettazione del National Book Award, in I sogni si spiegano da soli, Sur, Roma, 2022.
  • Loredana Lipperini, La strada giusta, Tetra, Viterbo, 2023a.
  • Loredana Lipperini, presentazione in diretta streaming de La strada giusta, Scrittori a domicilio, 7 aprile 2023b.
  • George R.R. Martin, Il trono di spade. Un gioco di troni, Mondadori, Milano, 2019.
  • George R.R. Martin, Il trono di spade. Uno scontro di re, Mondadori, Milano, 2019.
  • George R.R. Martin, Il trono di spade. Una tempesta di spade, Mondadori, Milano, 2019.
  • George R.R. Martin, Il trono di spade. Un banchetto per i corvi, Mondadori, Milano, 2019.
  • George R.R. Martin, Il trono di spade. Una danza con i draghi, Mondadori, Milano, 2019.
  • Philip Pullman, Writing Fantasy Realistically, Sea of Faith Network, 2002.
  • Philip Pullman, Queste oscure materie. La trilogia completa, Salani, Milano, 2013.
  • George Orwell, 1984, Mondadori, Milano, 2020.
  • Karen Russell, I donatori di sonno, SUR, Roma, 2023.
  • Karin Tidbeck, Amatka, Safarà Editore, Pordenone, 2018.
  • J.R.R. Tolkien, Il Signore degli anelli, Bompiani, Firenze-Milano, 2023.
  • J.R.R. Tolkien, Lo Hobbit. Un viaggio inaspettato, Bompiani, Firenze-Milano. 2018.
  • Licia Troisi, scheda pagina Oscar Mondadori
Visioni
  • Hironobu Sakaguchi, Final Fantasy VIII, Square,1999.