Il fascino indiscreto
del nostro doppio informe

Leslie Fiedler
Freaks
Miti e immagini dell’io segreto
Traduzione di Ettore Capriolo

Il Saggiatore, Milano, 2018
pp. 320, € 27,00

Leslie Fiedler
Freaks
Miti e immagini dell’io segreto
Traduzione di Ettore Capriolo

Il Saggiatore, Milano, 2018
pp. 320, € 27,00


Esistono persone che odiano la loro categorizzazione. Imposta, spesso, da coloro che rientrano nel mainstream e poco affine al sentire di coloro che ne fanno parte. Ciò che permette loro di acquisire un potere nominativo è l’avere una politica, spesso unitaria, comunque sostanziale e basale, che getti nuove fondamenta culturali e descrittive. È accaduto con gli afroamericani, che sono riusciti a trasformare la formula “di colore” e a riappropriarsi della parola “negro”, divenuta un simbolo di ribellione e anticonformismo. Ne sono stati capaci anche le persone portatrici di handicap, che si sono affrancate, nella società e nella pubblicità, dall’idea di essere inferiori e incapaci di sorridere e vivere.

Due lavori dell’artista Thomas Kuebler, scultore del bizzarro, sul tema del freak: Madame Orba e Cletus & Shorty.

Leslie Fiedler sostiene che tutto questo non è invece accaduto per il mondo dei freaks, degli scherzi di natura, dei fenomeni da baraccone. Non solo perché la resistenza culturale nei loro confronti è da sempre più violenta, accesa, vigorosa, ma anche per l’incapacità di avere una visione o politica comune; ognuno cerca di escludere sé stesso dalla categoria, non sente alcun orgoglio o appartenenza, semmai una voglia di fuga e di ritorno alla massa. Un freak non vuole essere tale, non vuole essere visto e analizzato come un elemento distopico: cerca la rassicurante normalità, l’anonimato, il disperdersi fra la folla. Lontano anni luce dai riti di inclusione del film di Tod Browning del 1933, pretende di essere ciò che non è nessun essere umano. Uguale agli altri. Afferma Fiedler:

“Vennero proposti circa trecento nomi, nessuno dei quali piacque ai rimostranti, finché il vescovo di Winchester non li sollecitò a farsi presentare come «prodigi», nome da loro approvato quasi all’unanimità. In America però questo nome non attecchì;”

Nella sua opera del 1978, ora riedita in Italia per Il Saggiatore, Fiedler cerca quindi di riflettere su una cosmogonia di profili, soggetti, realtà appartenenti a questo mondo del bizzarro e inconsueto. Ciò che interessa l’autore è capire cosa affascina e repelle dei freaks, cosa li porta ad essere allo stesso tempo oggetto di scherno e miti dell’immaginario collettivo, elementi di rottura ma anche riflesso del più semplice ed elementare conformismo.
È difficile dire cosa ci attira di un essere altissimo, di una donna barbuta o di un uomo senza gambe. Cosa ci ispiri una coppia di gemelle siamesi, o un uomo che non ha braccia. Siamo spaventati, affascinati, o semplicemente indifferenti? Vediamo queste persone in quanto, appunto, persone, esseri umani, o le consideriamo dei giochi della natura? E anche quando non le comprendiamo, sappiamo rispettare questa loro differenza o reagiamo con violenza al loro tentativo di essere o esserci accanto?
Cinema e letteratura sono ancora molto legate a queste figure, anche se ormai capire cosa è bizzarro, cosa vuole esserlo e cosa cerca di nascondere la sua anomalia è sempre più arduo. Esistono film e serie tv dedicate ai prodigi e ai circhi in cui vivevano, non ultima una stagione di American Horror Story, ma la sensazione è che sia una normalizzazione di facciata, che rappresenta una evoluzione di significanti e non di significati.

Tre dei casi citati da Fiedler: Jack Earle, il gigante poeta, Joseph Josephine, metà uomo/metà donna, presente anche nel cast di Freaks di Browing e i fratelli siamesi Chang ed Eng.

I nani, ad esempio, sono ormai presenti in diverse trasmissioni televisive ma questa emancipazione non è che la fine di un lunghissimo processo che nasce dal mito e attraversa le epoche. Dalle leggende sugli gnomi fino ai castelli medievali e rinascimentali, in cui l’essere piccolo, miniaturizzato, diventa fenomeno, meraviglia. Così simile all’uomo medio, così diverso, così lontano dalle sue sfide quotidiane. I pigmei dell’Africa congiunti alle fate, i nani di corte legati ai piccoli fenomeni dei circhi dei freaks. La ricerca del fenomeno da mostrare e con il quale arricchirsi, afferma Fiedler, raggiunge picchi di crudeltà in Oriente durante tutta la seconda metà dell’Ottocento:

“Bambini piccoli vengono acquistati o rubati in tenera età e infilati poi in un ch’ing, che è un vaso con un collo stretto che, in questo caso, ha anche un fondo mobile. In questo ricettacolo i piccoli sventurati rimangono diligentemente per anni in posizione seduta e con la testa fuori, curati e alimentati”.

Frequenti sono anche, in questo caso soprattutto in Occidente, i tentativi di accoppiare persone nane fra loro per riprodurne le loro caratteristiche, come era solita fare Caterina de Medici, o provare combinazioni insolite con giganti o popolazioni indigene, per ottenere nuovi e più spettacolari fenomeni per le corti.
Quello che, all’apparenza, sembrerebbe quindi il modello di freak più accettabile, comune, è in realtà altrettanto vessato e solo con gli anni ha potuto trovare un suo posto nella società. Diventare anche, nel caso di alcune star televisive come l’attore Peter Dinklage, simbolo di successo socialmente approvato.
Interessante anche il caso delle deformità erotiche, del bizzarro inteso come caratteristiche uniche o difformi dagli standard corporei e sessuali delle persone.
Donne barbute, uomini con doppi peni, ermafroditi e molto altro: è forse questa la categoria più eterogenea presentata da Fiedler, e per questo anche quella più difficile da analizzare o raccontare. Soprattutto, ciò che colpisce è l’interesse quasi morboso che alcuni soggetti hanno per queste persone, arrivando a sposarle, frequentarle, vivere un rapporto di coppia stabile e appagante. Come oggi assistiamo a operazioni chirurgiche volte ad aumentare i seni femminili fino a farli divenire grandi come satelliti lunari, o a sederi che esplodono imbottiti di silicone e protesi, al tempo la deformità non è vista solo come elemento di vergogna, ma esaltata, invero, poiché tutto ciò che nell’altro, nel sesso, si desidera. Accade così di sovente che le donne barbute abbiano diversi spasimanti, o che la famosa venere nera, Saartjie Baartman, diventi una schiava da esibire e prostituire per i ricchi londinesi annoiati. Afferma l’autore:

“Ancora oggi, quando ci troviamo davanti una creatura umana con il seno pieno e i fianchi rotondi ma con una rigogliosa peluria sul mento o il cranio completamente calvo sentiamo incrinarsi-in maniera conturbante ma niente affatto priva di elementi afrodisiaci- la nostra fede nella bipolarità dei sessi” .

Se, da un lato, la vita di questa tipologia di freaks è più semplice, perché ottengono attenzione e anche gratificazioni di tipo personale e fisico, dall’altro è assai più complicata, perché il confine fra amore, ammirazione, feticcio e perversione tende ad essere estremamente sottile e confuso. L’”Io” segreto del sottotitolo italiano all’opera di Fiedler diviene più evidente che con nani, giganti, superuomini o gemelli siamesi: la ricerca del proibito si fa più affannosa, pruriginosa, attenta a esaltare il carattere erotico di persone assolutamente inconsapevoli di queste loro caratteristiche, ignare di attivare negli altri pensieri peccaminosi.

Il manifesto e il cast principale del celeberrimo lungometraggio Freaks di Tod Browing (1932).

Ed è forse, in questa sottocategoria in realtà eterogenea e mai del tutto esplosa, che si ritrova buona parte di quella fascinazione per il diverso che il libro cerca di cogliere. Altre tipologie del bizzarro, infatti, mantengono caratteri più indigesti, generando ostracizzazione e allontanamento. Difficile dire, ad esempio, che un uomo bestiale generi empatia o fascino sull’immaginario collettivo, così come sono risaputi i casi di mobbing sul set di Freaks di Tod Browning da parte del personale degli studios, che ottenne addirittura una mensa a parte per i diversi. Solo vederli mangiare accanto a loro generava disgusto e cattivo umore, fu detto.
Più che di fascino di un “Io” segreto, è forse più giusto parlare di parti di noi che emergono nel confronto con l’altro, soprattutto paure e desideri di essere “uguali a”, inseriti a pieno titolo nel contesto sociale.
La difficoltà di vedere qualcuno estremamente libero ma deficitario, che non vorremmo essere ma di cui ci piace anche la possibile assenza di regole, sovrastrutture, sofisticazioni. Questo non porta ad aspirare alla vita dell’altro, ma semplicemente a definirne non solo negativamente, ma anche con una più attenta riflessione, i caratteri salvifici, positivi, di una condizione svantaggiata e indesiderabile.
Come critico e revisore della cultura e letteratura statunitense, da sempre Leslie Fiedler ha assunto dei pareri molto netti, contraddittori, sui contenuti e i generi. La presenza di elementi omoerotici nei grandi romanzi di avventura o on the road, l’assenza di una varietà etnica rilevante fra i protagonisti delle storie sono solo alcune delle sue considerazioni più controverse, che si sovrappongono perfettamente a quanto emerge in quest’opera. Una grande ricerca di fonti, autori, elementi che però vengono piegati al desiderio di categorizzare un fenomeno secondo delle categorie interpretative molto personali e, in alcuni casi, piuttosto aleatorie.
La tesi del curatore italiano, Vittorio Giacopini, è, se possibile, ancora più forte e affascinante, seppur difficile da accettare: il freak ci spinge a reinventarci, a immaginarci diversi da ciò che siamo, da come ci vediamo, dal mondo che vorremmo fosse nostro. Una tesi, in parte, genericamente valida, poiché ogni confronto con l’altro rende più forti e consapevoli, ma difficile da apprezzare pienamente poiché si corre il rischio di voler esaltare, o meglio reinventare, più che l’ascoltatore l’oggetto della discussione.

La figura del nano attraversa secoli di storia dell’arte e dela cultura. Ecco tre dei dipinti segnalati da Fiedler: Il conte Joseph Borulawski (XVIII secolo), ritratto di anonimo, Il nano del cardinale de Granvelle (1750 ca) di Antonio Moro, Enrichetta Maria d’Inghilterra e il suo nano Jeffrey Hudson (1635 ca) di Anton Van Dyck.

Un freak è di per sé distante dal resto, e per essere tale deve vedere come sua condizione qualcosa che lo ponga fuori dalla norma. Può questo essere un valore a cui aspirare? Forse sì, ma se questa emancipazione è voluta, cercata, non se data alla nascita. Non sappiamo se un focomelico o un pinehead avrebbero preferito risiedere in una villetta a schiera delle periferie borghesi americane piuttosto che vivere tutto come un diverso o alternativo, né se una donna barbuta avrebbe preferito confondersi nella folla piuttosto che generare ammirazione, ma anche attenzione e battute, negli altri. Non essendo una scelta, ma una imposizione, la libertà, la spinta alla reinvenzione personale che portano, è in realtà fittizia.
Un povero non sceglie di esserlo, ma sceglie lo spirito con cui affrontare la povertà; forse, sotto questa ottica, è possibile anche per i freaks guardare al loro animo, al modo in cui affrontano la vita. Definire, tuttavia, la loro essenza come un elemento di per sé fascinoso e positivo, non fa che alimentare, questa volta in positivo, il distacco e la differenza. Come gli spettatori estasiati e timorosi della Venere nera ottentotta, costretta a ballare nuda per i suoi “padroni” bianchi, così ci si illude di affermare nella distinzione un valore positivo, rimarcando in realtà proprio gli aspetti più complessi del vivere da fenomeno bizzarro.
Più che un “Io” segreto, i freaks ci consentono di riflettere su noi stessi e sulle nostre paure, su come accettiamo la differenza o pretendiamo l’omogeneità, sul nostro modo di vedere il mondo e i suoi processi. In questo, ha ragione Fiedler, è un processo più interno che esterno; ciò che muta, nel tempo e negli esempi, è la capacità sociale di includere queste realtà nel proprio tessuto, senza fingere di integrarle pienamente ma riconoscendo loro una semplice evidenza: quella di esistere per loro stessi e non per dare valori, divertimento o significati agli altri.