Ritrovato nel continente…
perduto: Edgar R. Burroughs

Edgar Rice Burroughs
Il continente perduto
Traduzione di Cristina De Tora
Apparato critico a cura di Carmine Treanni

Homo Scrivens, Napoli, 2023
pp. 260, € 16,00

Edgar Rice Burroughs
Il continente perduto
Traduzione di Cristina De Tora
Apparato critico a cura di Carmine Treanni

Homo Scrivens, Napoli, 2023
pp. 260, € 16,00


Quando un lettore comincia a leggere un autore considerato un caposaldo in un determinato genere o campo, di solito dà abbastanza per acquisito che le opere siano state tradotte, o comunque accessibili e disponibili sul mercato editoriale. Chi invece si occupa di fantascienza o in generale di letteratura fantastica, sa bene, per triste esperienza, quanto certi autori possano essere dimenticati, trascurati e maltrattati dall’industria del libro.
È il caso di Edgar Rice Burroughs, ben noto al grande pubblico per essere l’inventore del personaggio di Tarzan e del suo mondo. La bibliografia definitiva del prolifico scrittore ammonta a oltre ottanta volumi, e di questi oggi ne sono disponibili sul mercato italiano ufficiale (escludendo quindi l’usato e il mercato dei collezionisti) circa la metà, e di questi molti solo in versione digitale. È quindi encomiabile l’impegno, e perciò degno di riconoscimento, che ha spinto la piccola casa editrice Homo Scrivens, a pubblicare – in cartaceo! – un inedito assoluto per l’Italia dello scrittore statunitense con la curatela di Carmine Treanni.
Probabilmente l’operazione è stata permessa anche dalla decadenza, dal 2020, dei diritti sull’autore, scomparso nel 1950, ma questo nulla toglie alla serietà e alla professionalità con cui è stato affrontato il testo. Nel caso specifico si tratta de Il continente perduto, una sorta di ucronia, osservata dal punto di vista degli Stati Uniti (sarà presto chiaro perché la scelta della prospettiva sia assolutamente rilevante).

Il continente perduto
Il racconto è per noi europei particolarmente intrigante, poiché il continente perduto che dà il titolo al romanzo è il nostro, l’Europa. Cosa è successo? È accaduto che gli Stati Uniti d’America, rimasti neutrali nella Prima Guerra Mondiale, hanno approfittato dell’occasione per stendere una sorta di cordone sanitario attraverso l’Atlantico e il Pacifico, isolandosi dal resto del mondo e procedendo poi ad unificare sotto un unico governo l’intero continente americano. Questa cesura, che ha riportato il mondo al tempo precedente a Cristoforo Colombo, nel momento in cui il romanzo prende il via, ovvero nel 2137, dura da ormai due secoli, un lungo tempo in cui nessuno dei mondi separati ha più avuto notizie dell’altro.
Come in ogni ucronia che rispetti i suoi canoni, vi è quindi un evento, una sliding doors, che indirizza il flusso temporale in una direzione diversa da quella che conosciamo nel nostro mondo. È un escamotage molto comune, almeno quanto il trasferimento e l’isolamento spaziale. Lord Greystock e la moglie vengono difatti abbandonati su una sconosciuta spiaggia africana, ma questo permette all’autore da un lato di trattare come ricorrenti i temi che gli stanno a cuore e dall’altro contemporaneamente di svincolarsi piuttosto facilmente da ciò che invece non gli è utile, se non addirittura controproducente.

Edgar Rice Burroughs: le coordinate
I temi tipici della narrativa di Burroughs si individuano difatti tutti sin dalle prime pagine. L’orrore per la guerra e ciò che gli uomini riescono a compiere in quel frangente; l’incontro dell’uomo con la natura selvaggia; l’incontro/scontro dell’individuo razionale e appartenente a una società civile quale quella del XX secolo, con la natura primitiva e spaventosa dell’uomo tribale; la ricerca della propria identità e del proprio ruolo nel mondo. Questi sono i temi fondanti, i pilastri su cui sono costruiti i suoi romanzi. Si tratta di questioni in cui l’americano medio non aveva difficoltà a identificarsi, essendo interrogativi che venivano visti non tanto in senso antropologico, quanto piuttosto come temi politici, che riguardano esplicitamente il ruolo degli Stati Uniti nel mondo, e con cui d’altronde Burroughs stesso si era lungamente confrontato.
Va detto, in ogni caso, che non era suo obiettivo dare risposte, non aveva strade da indicare ai suoi lettori, se non quella dell’onestà e della trasparenza. D’altronde non era un pensatore, o un filosofo, ma scriveva romanzi d’avventura, con lo scopo dichiarato di essere principalmente fonte di divertimento e di evasione. Certo è che lui stesso era stato coinvolto nelle questioni che poneva, e in tutti i suoi cicli, da Tarzan a John Carter, dal Mondo Perduto ai Cicli Venusiani, i dubbi che lo avevano assillato nel corso della vita emergono continuamente, lasciando intendere proprio l’assenza di certezze o di verità acquisite in modo definitivo.

Colonialismo e razzismo
Così, quando il capitano Jefferson Turck è costretto dagli eventi a infrangere il tabu che la sua nazione ha instaurato da due secoli, e a raggiungere Londra, si ritrova in un mondo che non si sarebbe mai aspettato. Potremmo qui dire, come già era stato per Lord Greystoke e il tenente John Carter, che il soldato che Burroughs è stato lungamente non accenna mai ad alcun giudizio moralistico verso ciò che vede; piuttosto, agisce secondo quel pragmatismo necessario a restare in vita e che – fondamentale – gli permette di cogliere gli aspetti positivi presenti anche nelle condizioni più critiche. D’altronde questo era stato anche un trait d’union della vita di Burroughs, costretto continuamente dagli eventi a fare di necessità virtù. Come l’autore ha dovuto fare nella vita reale, così i suoi personaggi sono costretti a rimettere costantemente in discussione la propria identità e il proprio status, minato dagli eventi, che non riconoscono nessuna autorità. Da questo punto di vista, sebbene sia indiscutibile che gli eroi di Burroughs siano maschi, bianchi caucasici ed etero, è altrettanto vero che questa conclamata superiorità dell’occidente sui nemici alieni o primitivi in fondo sembra essere ben poca cosa, se il figlio di Lord Greystock ha ben presente il debito di riconoscenza che porta verso la comunità di scimmie antropomorfe che lo ha allevato, così come tutti i suoi personaggi riconoscono nell’avversario una sorta di nemesi, uno specchio in cui inevitabilmente riconoscersi. Victory, la regina d’Inghilterra, che agli occhi del civilizzato americano appare come fosse a capo di una tribù di Sioux, quando questi le rinfaccia, con un paternalistico sorriso, di essere una barbara, risponde:

“Se usassi quella cosa che chiami rasoio per togliere i peli a [cita un uomo appena catturato, nda] e gli dessi i tuoi vestiti allora tu saresti il barbaro e lui l’uomo civilizzato. Non ci sono altre differenze, solo le armi. Vestito con pelle di lupo, con un coltello e una lancia, nei boschi […]. A che ti servirebbe lì la tua civilizzazione?”

Si percepisce molto chiaramente il pessimismo dell’autore sulla possibilità dell’uomo di innalzarsi davvero dallo stadio ferino. Burroughs era un uomo che aveva avuto un percorso individuale lungo e difficile, costellato da dolore, depressione e sofferenza, e in passi come questo traspare tutta la sua difficoltà nel vedere una possibilità di successo nell’azione umana.
Questo inoltre vale non solo per le persone, ma anche per i luoghi. Il capitano Turck ne Il continente perduto ha ben chiaro come la devastazione provocata dalla guerra due secoli prima sia stata l’origine del mondo selvaggio in cui si ritrova a combattere, e gli è ben presente che qualsiasi guerra può portare a quella regressione. Inoltre, sono continui i passaggi in cui viene sottoposta a vaglio critico la superiorità degli americani giunti in Europa, anche nei confronti delle altre popolazioni – cinesi e etiopi – che hanno assunto un ruolo predominante nella geopolitica (così diremmo oggi) del vecchio mondo. La continua sorpresa degli americani per la totale scomparsa dell’antica grandezza da un lato, e dall’altro la riprova che i comportamenti sleali, il tradimento e la crudeltà siano riconducibili ai cosiddetti uomini civili quanto ai superstiti ricaduti in uno stadio tribale della storia umana, sono concetti che segnano un continuo leit motiv di questo reportage molto anomalo.

L’impero coloniale inglese, che nel nostro flusso temporale ha rappresentato il perno ideale della superiorità del maschio occidentale, in questa alternativa è scomparso nel nulla, lasciando solo una sorta di parodia della sua corona, mentre chi ambiva a sostituirlo come faro della cultura occidentale si scopre facile preda di pregiudizi e comportamenti meschini.
Come in ogni buon romanzo pulp si giunge a un finale hollywoodiano, perché non ci si può dimenticare che si tratta di intrattenimento e l’evasione, ma l’insensatezza del razzismo forse è stata instillata nella sensibilità di tanti lettori proprio da romanzi come questo, così come la comprensione che la pace, per essere, poteva essere solo mondiale.
I dubbi, quelli che spingono gli individui a farsi altre domande, e a volte ad agire di conseguenza, spesso non nascono nelle aule delle università, o nelle sedi dei partiti politici, quanto nelle allusioni e nelle frasi pronunciate dal nostro eroe nel momento giusto. La storia del lungo e controverso rapporto tra immaginario ed emancipazione negli Stati Uniti è ancora da finire di scrivere.