L’angoscioso martirio
di Marilyn Monroe

Andrew Dominik
Blonde
Cast principale: Ana de Armas,

Bobby Cannavale, Adrien Brody,
Julianne Nicholson
Produzione: Plan B Entertainment
Distribuzione: Netflix, 2022

Andrew Dominik
Blonde
Cast principale: Ana de Armas,

Bobby Cannavale, Adrien Brody,
Julianne Nicholson
Produzione: Plan B Entertainment
Distribuzione: Netflix, 2022


Oggettività distaccata e imparziale, attendibilità a tutta prova, situazioni e fatti reali ricostruiti con scrupolo maniacale: le solide convenzioni su cui si fondava il genere biografico si sono miseramente sgretolate sotto i colpi di maglio dello sfrontato Andrew Dominik e del suo Blonde, pubblicato su Netflix lo scorso 28 settembre dopo la presentazione in anteprima all’ultima Mostra di Venezia. Il film del regista australiano, ben lontano dall’essere un cronachistico resoconto degli eventi principali della parabola divistica di Marilyn Monroe, la bionda par excellence, racconta con abbondante uso di ellissi e stile espressionistico-allucinatorio il martirio psichico ed emotivo di Norma Jeane Baker, la dimessa, disfatta, tremebonda fanciulla mora che si contorceva e rantolava all’ombra di Marilyn e della sua abbagliante chioma (la dolente, sincera interpretazione dell’emergente Ana de Armas merita più di un elogio). Il lacerante senso di estraneità provato da Norma Jeane di fronte al suo dirompente doppio di celluloide costituisce il perno drammaturgico su cui si innesta il torrenziale flusso di allucinazioni e deliri del film.
La quarta opera di Dominik, cineasta che con l’insolito western L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford (2007) e il plumbeo e nichilista gangster-movie Cogan –Killing Them Softly (2012) si è conquistato l’attenzione e il riguardo di un nutrito drappello di cinefili, ci mostra – sarebbe meglio dire ci infligge senza alcuna pietà – le innumerevoli pene di cui la vita di Norma Jeane fu punteggiata: dagli inumani maltrattamenti subiti dalla funesta e psicotica madre al senso di vuoto originato dall’abbandono del padre, dalle inconfessabili umiliazioni a cui si sottopose per diventare la sfolgorante Marilyn alla tragica impossibilità di tornare a essere Norma Jeane (ma è mai esistita Norma Jeane?), dai matrimoni stinti e infelici con Joe Di Maggio (il gelido primo appuntamento con l’ex campione di baseball impersonato da Bobby Cannavale è tra i momenti migliori del film) e il drammaturgo Arthur Miller (la recitazione di Adrien Brody è di pura seta) ai due aborti, uno voluto l’altro no, che le diedero il coup de grâce.
Accolto a Venezia da un silenzio vagamente astioso, Blonde sta ricevendo un trattamento ancor più ostile dai recensori della carta stampata e dei siti specializzati (per tacere delle cateratte di critiche rovesciategli addosso dalle indomite vessillifere del femminismo, ai cui occhi è apparso sessista e misogino, e dai difensori del diritto all’aborto, che gli rimproverano di contribuire con vigore alla propaganda anti-abortista).

D’accordo, il film di Dominik è manifestamente imperfetto: c’è un che di programmatico nell’inesausta sequela di sevizie morali e carnali perpetrate sulla povera Norma/Marilyn, e si coglie più di un’ombra di schematismo nel tratteggio della sua psiche disastrata; inoltre può senz’altro indispettire l’intemperanza con cui il regista ricerca l’effetto scioccante (rasentando a volte il granguignolesco o il pornografico o incappando in clamorosi capitomboli, come avviene nell’ormai famigerata scena del feto parlante che ha fatto sogghignare il colto e l’inclita). Cionondimeno, ne siamo stati penetrati. Ne siamo stati tramortiti. Con il suo perpetuo oscillare dal colore al bianco e nero e da un formato dello schermo all’altro, il suo incedere strisciante e rallentato (talvolta fa pensare a un videoclip girato sotto l’effetto ottundente dei barbiturici) e il fascino funereo che emana in ogni singolo fotogramma (a cui senz’altro contribuiscono le musiche di Nick Cave e Warren Ellis), Blonde possiede un indiscutibile potere soggiogante, una forza ipnotica che pochi altri film possono vantare.
Come accennato in apertura, Blonde di Dominik è tutto fuorché un canonico biopic. Non è interessato a rievocare, indagare, ricostruire, dettagliare. Non si basa su fonti e documenti accertati (l’omonimo e celeberrimo libro di Joyce Carol Oates da cui trae spunto è dichiaratamente un’opera di finzione). Non è un film sul mito inscalfibile di Marilyn Monroe, men che meno un film su Hollywood, che viene costantemente relegata al ruolo di sfondo indistinto. È piuttosto un’angosciosa, cimiteriale fantasia cinematografica che narra dell’inesorabile annientamento della piccina Norma Jean Baker a opera della sua mastodontica controfigura (oltremodo emblematica la scena in cui Norma fissa con sgomento la gigantesca riproduzione di Marilyn che incombe sull’ingresso di un cinema); una favola nera come la pece; una storia di afflizione e sperdimento immersa in una perenne atmosfera da incubo; un racconto di gusto gotico disseminato di identità dubbie, doppi e fantasmi, i cui momenti più perturbanti (da menzionare, tra questi, la scena in cui la candida Norma, seduta davanti allo specchio del camerino, si cala meccanicamente nel ruolo della leziosa Marilyn) avranno di certo procurato sottili fremiti di piacere agli adepti di David Lynch, sempre avidi di sconcertanti stranezze.

Ascolti
  • Nick Cave & Warren Ellis, Blonde (Soundtrack from the Netflix Film), Invada, 2022.
Letture
  • Joyce Carol Oates, Blonde, La nave di Teseo, Milano, 2021.
Visioni
  • Andrew Dominik, L’assassinio di Jesse James per mano del codardo Robert Ford, Warner Bros. Pictures, 2008 (home video).
  • Andrew Dominik, Cogan – Killing Them Softly, Eagle Pictures, 2013 (home video).