Un oscuro scrutare
cronotopie ricorsive


Blake Crouch
Recursion. Falsa memoria
Traduzione di Pierluigi Fazzini

Fanucci, Roma, 2020
pp. 304, € 17,00


Blake Crouch
Recursion. Falsa memoria
Traduzione di Pierluigi Fazzini

Fanucci, Roma, 2020
pp. 304, € 17,00


Esiste una terra desolata di ricordi morti?
Quale linea temporale può dirsi prima, originale e non causata?
La risposta precipita nell’epilogo interstiziale aperto tra i diversi livelli che frammentano, suturano e intersecano le vite di Barry ed Helena, un detective della Polizia di New York e una neuroscienziata di formazione stanfordiana, due identità fluttuanti alla ricerca del senso di memorie private e collettive.

Il libro: una trama in loop
Novembre 2018. Barry Sutton sale al quarantunesimo piano del Poe Building, la torre art déco conficcata nel panorama di grattacieli dell’Upper West Side di New York. Una donna è seduta vicino a un macabro gargoyle, con le gambe che penzolano nel vuoto. Barry è stato chiamato per convincerla a non compiere il tragico gesto programmato. Intorno, un sudario di nebbia avvolge vetro e acciaio, mentre il rumore della città pare spezzare l’ovattata consistenza di quel dolore privato. A esserne vittima è Ann Voss Peters; a esserne causa è il senso di oppressione e di ingestibile straniamento prodotto dalla sindrome della falsa memoria (SFM), che porta a vivere una vita nei ricordi di un’altra esistenza.

“«Una mattina, circa un mese fa, invece di trovarmi nella mia casa a Middlebury, in Vermont, all’improvviso ero in un appartamento qui in città, con un dolore lancinante alla testa e il sangue che mi usciva dal naso a fiumi. All’inizio non avevo idea di dove fossi. Poi ricordai… anche questa vita. Qui e ora, sono single, faccio la consulente finanziaria e ho ancora il mio cognome da nubile. Ma ho…» è visibilmente presa dall’emozione «ricordi dell’altra mia vita in Vermont. Ero la madre di un bambino di nove anni di nome Sam. Avevo un’impresa di progettazione di giardini con mio marito, Joe Behrman. Mi chiamavo Ann Behrman. Eravamo tanto felici quanto chiunque avrebbe diritto di esserlo.»”.

Così spiega Ann a Barry, nell’ultimo tentativo di sopravvivenza. Eppure, il peso che deriva da un passato perso chissà dove è più forte e Ann, distrutta dal ricordo di un figlio che è stato cancellato, con grazia disinvolta, si lascia cadere. Ha così inizio l’indagine personale di Barry per capire cosa si nasconda nelle pieghe di una patologia misteriosa e distruttiva.

Ottobre 2007. In un altro tempo, Helena Smith continua a sperimentare nel Dipartimento di Neuroscienze di Palo Alto, lo sguardo immerso a cogliere le fluorescenze generate da una ragnatela di sinapsi. Il suo obiettivo è giungere a processare e mappare la memoria per consentirne il recupero quando demenza e Alzheimer ne avranno eroso ogni naturale sussistenza. Sfidando le preclusioni di un ambiente protetto, Jee-woon Chercover fa irruzione nell’ufficio claustrofobico di Helena per proporle una sovvenzione a sette cifre e la disponibilità di una squadra di programmatori che diano concretezza a uno studio così promettente. Dietro Jee-woon Chercover c’è Marcus Slade, oscuro magnate pronto a sfruttare, bramosamente frenetico, fino all’estremo, ogni potenzialità intravvista nelle ricerche di Helena. Per realizzare i propri propositi, Marcus trasforma una piattaforma petrolifera dismessa, in precedenza acquistata, in una fortezza laboratoriale sperduta in mezzo all’oceano. È qui che genio e interesse si congiungono fino a trasformare la benevola “piattaforma immersiva per proiezioni di ricordi episodici, espliciti e di lungo termine”, pensata da Helena, nel dirompente “seggio della memoria”, voluto da Marcus. Il complesso dispositivo, in grado di alterare la sequenza della storia, inizia a funzionare.
La comune tensione verso la scoperta della verità (dove e perché ha origine la sindrome della falsa memoria; che cosa è in grado di provocare, ultimamente, il seggio della memoria) porta le strade e i tempi di Barry ed Helena, in principio diverse e distanti, a incrociarsi, fino a fondersi in un rocambolesco intreccio di vite vissute in una replica di anni, da un punto di partenza comune a una serie di esiti diversi, mentre, intorno, il destino collettivo dell’umanità è sull’orlo del collasso.
Un numero esponenziale di linee temporali tesse l’intreccio di centoquarantaquattro anni consumati tra la vita e la morte, fino al ristabilimento della linea prima, quella originale.
Forse…

L’estetica temporale di Blake Crouch
Barry ed Helena sono i protagonisti che abitano la storia oltre la storia raccontata da Blake Crouch (romanziere e sceneggiatore statunitense, già autore di Dark Matter) nel disturbante Recursion. Falsa memoria. Il tema centrale, la riscrivibilità dell’ordinaria sequenza temporale, è sviluppato con un certo grado di consapevole eccentricità rispetto al canone consacrato dal genere fantascientifico. Ne deriva un’originale e accattivante trasformazione dell’estetica del romanzo, che sottopone il cronotopo di bachtiniana memoria (cfr. Bachtin, 1979) a una continuativa distorsione, fino all’implosione di inversioni e curvature in un’inedita forma di linearità impura. Particolarmente riuscita è la trasfigurazione, reale e simbolica, cui è sottoposto il dispositivo in grado di alterare sequenze esistenziali e narrative. Non si tratta di raggiungere e attraversare una soglia spaziale, un diaframma dimensionale esistente tra realtà e meta-realtà (si pensi, in via esemplificativa, al varco che rende sperimentale il retrobottega di Al Templeton in 22/11/63 di Stephen King, o alle plurime edizioni di wormhole che si trovano disseminate tra le pagine di Isaac Asimov, Ron Hubbard, Carl Sagan e rendono in un certo senso classico il pur bellissimo e per altri versi avveniristico Interstellar di Christopher Nolan), né semplicemente di azionare un congegno meccanico più o meno sofisticato, di antica, recente, o futuristica fattura (anche a questo riguardo i riferimenti sono sovrabbondanti, dall’ormai classica macchina del tempo di H.G. Wells, alle apparecchiature di Michael Crichton, alla DeLorean di Emmett “Doc” Brown, che dalla pellicola di Ritorno al Futuro è balzata nell’immaginario pop degli anni Ottanta).

Non si tratta neppure di attivare una combinazione fruttuosa tra l’inquietante, ma attraente proprietà topologica di cunicoli e scorciatoie e la forza prodigiosa di strumentazioni di varia natura e tipologia (come pure avviene all’incrocio tra nostalgia e modernità nella filosofica serie Dark realizzata per Netflix da Baran bo Odar e Jantje Friese).
La soluzione è fenomenologica e percettiva, tutta calibrata sulla complessità di corpo e memoria. Il processo, originariamente ideato da Helena per restituire la possibilità del ricordo a chi sia affetto da patologie degenerative, viene lucrativamente snaturato da Marcus Slade fino a un potenziale epilogo distruttivo. Alla base sta la convinzione (maturata da Helena) che l’esperienza del mondo si compia in differita, non potendosi dare simultaneità tra l’acquisizione di informazioni sensoriali e la rielaborazione neuronale degli stimoli generati. Il presente sarebbe, pertanto, illusorio; non un punto o un momento, ma un lasso di tempo arbitrariamente deciso, un paradosso ingannevole.

“«Perché la memoria … è tutto. Fisicamente parlando, un ricordo non è altro che una specifica combinazione di neuroni che si attivano insieme, una sinfonia di attività neurale. Ma in pratica è un filtro tra noi e la realtà. Tu pensi di stare gustando questo vino, di stare ascoltando le mie parole, nel presente, ma non è così che funziona. Gli impulsi neurali che provengono dalle tue papille gustative e dalle tue orecchie vengono trasmessi al tuo cervello, che li processa e li scarica nella memoria di lavoro, quindi nel momento in cui stai provando qualcosa, questa è già passata. Già un ricordo.»”.

Nello sviluppo (progettato da Marcus), le acquisizioni scientifiche raggiunte sono piegate a un disegno manipolatorio: intervengono ricorsivamente, riassemblando fatti e relazioni, segmentando e modificando scelte, decisioni, azioni. Così spiega Marcus a Helena:

“«Una volta mi hai detto che la memoria è la nostra unica vera finestra sulla realtà. Penso che avessi ragione. Qualche altro momento, un vecchio ricordo, avviene nel «presente» tanto quanto quello che sto dicendo adesso, ugualmente accessibile: come passare per una porta e andare nella stanza accanto. Dobbiamo solo convincere i nostri cervelli della cosa. Dobbiamo creare un corto circuito nei nostri limiti evolutivi ed espandere la nostra coscienza al di là del volume sensoriale.»”.

La storia cambia, e con la storia cambia il volto delle cose, dopo che individui, sperimentatori volontari o su commissione, si immergono in una vasca di deprivazione sensoriale (che ammicca alla vasca costruita artigianalmente per consentire a Undici, eroina indiscussa della fortunata serie Netflix Stranger Things, di esercitare i suoi poteri) per essere sottoposti agli effetti di un cocktail paralizzante che li porta a essere corpi vuoti di fronte alla morte. La morte di uno (solo) decreta la fine di questa (attuale) realtà. A resistere è solo una coscienza frankensteinizzata, bombardata, dopo il collasso di ogni altra funzione vitale, con il rilascio di ricordi in precedenza mappati. L’inizializzazione del programma di riattivazione della memoria apre alla dislocazione, facendo rivivere la coscienza attuale nel corpo del passato: l’individuo, decomposto, torna a riannodare i fili della propria esistenza, cambiando quanto di inaccettabile o doloroso il destino gli aveva assegnato al primo giro terreno. Il revenant non è fantasmatica creazione di scrittura gotica, ma potente demiurgo che anticipa il corso degli eventi, ormai noti perché precedentemente vissuti, tra soppressioni, espunzioni, rideterminazioni.
L’ingresso nel tempo apparentemente compiuto ha un impatto visivo straordinario e in questo tratto distintivo radicalizza la propria singolarità: la porta a ritroso si apre in uno spettacolo di luci imbandito per un uomo morto, tra esplosioni di colore in un cervello affamato di ossigeno e sangue, attraverso una successione di lampi ravvicinati e brillanti, che gli stimolatori delle sinapsi neurali hanno prodotto. Un miracolo cromatico diviene segno di una scandalosa regressione rigenerativa.
Torna la questione della eterodirezione perturbante che la riattivazione del singolo nel passato impone a chi è vicino o a chi con lui sia già entrato in accidentale contatto.

Sorprendente è, invece, il modo di immaginare il punto di sutura tra vecchia e nuova storia, quando la coscienza che ha ripercorso il tempo torna là dove il suo viaggio era iniziato. La convergenza temporale di linee che si rincorrono produce ricordi morti, un convulso succedersi di immagini e sensazioni che non sono false, ma solo concluse, in quanto appartenenti a una sequenza temporale che qualcuno ha fatto terminare. Come permanenze congelate, che sanno di un eterno ricorsivo, i ricordi morti tornano e sovrastano d’angoscia le vite intrappolate in un loop potenzialmente infinito.
Ogni volta la storia collettiva è ferita e un mondo intero svanisce. Ad annunciare il ricongiungimento della più recente con tutte le precedenti scansioni temporali è, ancora, un segno sensoriale, che inaugura un’ossessiva e traumatica estetica del ritorno: una epistassi violenta colpisce ogni essere umano nel punto relativo in cui termina la dissonanza cognitiva e un dolore acuto, provocato da un’improvvisa pressione, colpisce il bulbo oculare. Olfatto e vista sentono e vedono per primi il peso della ripresentazione.
A complicare lo scenario è la diffusione dell’invenzione. La tecnologia conosciuta come “il seggio della memoria”, resa di pubblico dominio, diviene causa di uno scontro geopolitico che raggiunge, a ogni edizione, i limiti dell’apocalisse nei contorni agghiaccianti di un possibile olocausto nucleare.

“SUICIDI DI MASSA SEGNALATI IN TUTTO IL MONDO.

Le riprese fatte dal cellulare in una strada cittadina mostrano i corpi che rimbalzano sul marciapiede come una specie di orribile grandinata. […]
Un telecronista dall’aspetto logoro sta cercando di mantenere un po’ di professionalità. «Russia e Cina hanno appena rilasciato una dichiarazione congiunta alle Nazioni Unite, accusando gli Stati Uniti di furto di realtà nel tentativo di impedire alle altre Nazioni di usare il seggio della memoria. Hanno promesso di ricostruire immediatamente la tecnologia e hanno avvertito che qualsiasi ulteriore utilizzo del seggio sarà visto come un atto di guerra. Gli Stati Uniti non hanno ancora risposto…»”.

L’anarchia del presente e l’eterna resurrezione di coscienze deformate aprono a una versione tecno-scientifica di quella terra desolata che già Thomas Stearns Eliot aveva versificato. L’escatologia laica, che si offre come unico rimedio, è decretare la morte dei ricordi morti, riducendo l’interminabile ricorrenza dei cicli alla limitata estensione del segmento. La tensione raggiunge il parossismo per confluire in quell’ultimo “tempo-ora” così sovraccarico di senso (come nella lezione offerta da Walter Benjamin; cfr. 1962), da ricomprendere schegge di futuro e di tempo messianico, spiragli o buchi neri in cui è attratto il tempo della redenzione, che questa volta non vive di rinascita, ma di fine.
Una chiusura magistrale, che lascia sospesi e straniti.
The time is out of joint. Il tempo è conclusivamente disassato.
Che cosa rimane del reale? O, più profondamente, che ne è del reale?

Letture
  • Michail Bachtin, Estetica e romanzo, Einaudi, Torino, 1979.
  • Walter Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino, 1962.
Visioni
  • Matt e Ross Duffer, Stranger Things, Netflix, 2016-in corso.
  • Christopher Nolan, Interstellar, Warner Home Video, 2017 (home video).
  • Baran bo Odar, Jantje Friese, Dark, Netflix, 2017-in corso.
  • Robert Zemeckis, Ritorno al futuro, Universal Pictures, 2015 (home video).