Persecuzioni, innocenti
e l’enigma dell’altro

Joseph Losey
Mr. Klein
Cast principale: Alain Delon,
Massimo Girotti, Jeanne Moreau,
Robert Kuperberg, Louis Seigner,
Juliet Berto, Suzanne Flon
Titanus/Rai Cinema
01 Distribution, 2017

Joseph Losey
Mr. Klein
Cast principale: Alain Delon,
Massimo Girotti, Jeanne Moreau,
Robert Kuperberg, Louis Seigner,
Juliet Berto, Suzanne Flon
Titanus/Rai Cinema
01 Distribution, 2017


«“Io non la conosco questa legge,” disse K. “Tanto peggio per lei,” disse il sorvegliante […] “Se ne accorgerà”. Franz si intromise e disse “Hai visto, Willem, ammette di non conoscere la legge, e nello stesso tempo afferma di essere innocente”» (Kafka, 2016). A differenza del Joseph K. de Il processo, Robert Klein, il protagonista di una pellicola del 1976, Mr. Klein appunto, conosce bene le disposizioni di legge che il governo collaborazionista della Francia occupata dai nazisti ha emanato contro gli ebrei, ossia una parte del suo stesso popolo, e ne trae profitto, come abile quanto raffinato uomo d’affari, incamerando i beni di quanti sono costretti a lasciare il paese. Come il procuratore del romanzo di Franz Kafka, Klein si ritiene tuttavia innocente: nel suo caso l’accusa è quella di essere ritenuto anche lui, a seguito di un errore o di una calunnia, un ebreo. Esiste, infatti, un altro Robert Klein che si aggira per Parigi, animato dal disprezzo per gli invasori, con il quale il protagonista è scambiato. La distanza fra i due suscita in quello visibile la volontà di rintracciare l’altro.

Indiziato di reato: la caccia di McCarthy
Lavoro che nasce da un soggetto di Franco Solinas, aiutato nella stesura della sceneggiatura da Ferdinando Morandi, Mr. Klein fu diretto da Joseph Losey, il cui esordio nel lungometraggio avvenne con Il ragazzo dai capelli verdi (1948), uno dei più noti manifesti che la settima arte abbia dedicato al tema sempre attuale della tolleranza e del rispetto. Lo stesso regista americano sperimentò in effetti l’amaro destino di chi viene additato come una paria nel suo stesso Paese, paladino della difesa delle libertà, soprattutto nel campo dell’espressione artistica. Il nome di Losey comparve, infatti, tra quelli della lista nera dell’amara stagione maccartista: la denuncia da parte della Commissione per le attività antiamericane lo raggiunge quando si trova in Italia per realizzare Imbarco a mezzanotte (1952), la cui regia fu firmata da un suo collaboratore, Andrea Forzano. Losey pagò così determinate scelte del decennio precedente, quali l’iscrizione al Partito comunista, la vicinanza a persone come Dalton Trumbo e John Howard Lawson e lo stesso Bertolt Brecht, suo dichiarato maestro, del quale fu tanto estimatore di Vita di Galileo, opera anch’essa contro le restrizioni alla libertà di manifestazione del pensiero e che Losey portò a teatro e successivamente al cinema nel 1975 (cfr. Cremonini, De Marinis, 1981).

Il ruolo di Delon e Moreau anche fuori dal set
Klein, quello visibile, ha il volto di Alain Delon, che aveva già lavorato per Losey, vestendo i panni di Ramón Mercader ne L’assassinio di Trotsky (1972). Per la realizzazione di Mr. Klein, il ruolo di Delon non si limitò alla messa in gioco delle proprie doti interpretative, ma anche al suo stesso denaro. In realtà, fu l’attore parigino a proporre a Losey la sceneggiatura di Solinas, capitatagli fra le mani grazie al produttore Norbert Saada: “Si trattava di un soggetto che era già stato rifiutato da molti produttori e registi, tra i quali Costa-Gavras”, dichiarò Delon ricordando il regista (Delon, 2010). “Il tema era considerato troppo scottante: l’Occupazione, la retata del Vel d’Hiv, era una cosa che faceva paura a tutti. Nessuno voleva realizzarlo, tanto che Solinas non ci credeva più, quando a un certo punto Saada lo ha letto e me lo ha raccomandato. Ho iniziato a leggere la sceneggiatura alla fine di una giornata, l’ho finita in serata e ho chiamato Losey immediatamente. Se lo avesse rifiutato, avrei rinunciato al progetto. In seguito, Joe mi ha riferito la stessa cosa a proposito di me: avrebbe voluto fare Mr. Klein con me e con nessun altro” (ibidem). In un ruolo secondario, ma comunque rilevante, troviamo Jeanne Moreau: è Florence, una delle conquiste amorose dell’altro Klein, sposata al nobile Charles (Massimo Girotti). È forse il personaggio che in maniera più efficace aiuterà il protagonista nella sua ricerca, se non dell’uomo, almeno degli indizi eloquenti che ne illustrassero la personalità. Anche l’attrice icona della Nouvelle Vague e di tutto il cinema francese e internazionale, scomparsa di recente, aveva già recitato per Losey, ai tempi di Eva (1962), trasposizione sul grande schermo del romanzo di James Hadley Chase. Il libro era finito tra le sue mani grazie a Jean Cocteau, ritenendola perfetta per il ruolo di Eva: fu lei a trovare i produttori per il film, mentre l’attore Stanley Backer, già sotto contratto per la parte del protagonista della pellicola, suggerì di affidare la regia a Losey, dopo il rifiuto di Jean-Luc Godard (cfr. Masecchia, 2010).

Il borghese gentiluomo, ipocrita e curioso
Maurizio Porro, in un saggio su Losey, aveva sottolineato il profondo legame fra questi e la borghesia, la classe sociale della quale il regista americano diede sferzanti ritratti, nel tentativo di rappresentarla cogliendone in particolar modo, come ne Il servo (1963), gli aspetti più decadenti: per Losey essi hanno origine nella perfezione raggiunta dal peccato in cui la borghesia più eccelle, ossia l’ipocrisia e il non-eroe Klein agisce per desiderio di sapere misto a paura, ma non certo per impegno civile (cfr. Porro, 1978): “Più che preoccupazione, si tratta di una curiosità”, dirà, infatti, il protagonista a un funzionario della Préfecture, raggiunta per conoscere il motivo per cui risulterebbe abbonato al giornale della comunità ebraica. Quest’ultima è un corpo a lui estraneo, dal quale fa capolino ogni tanto qualcuno costretto ad alienare i propri beni, compresi manufatti di grande valore affettivo per poter sopravvivere, “ma, come dice la Bibbia a proposito del Faraone, il cuore di Robert Klein è indurito […] la disperazione degli ebrei gli sta sotto gli occhi ma lui non la vede” (Moravia, 1977). I modi garbati addolciscono l’attività predatoria di Klein, ma non la nascondono e il risveglio della coscienza, se arriva, giunge ormai quando il veleno della curiosità ha già varcato la soglia del pericolo.

Nel segno dell’antesignano “K.”
Che Mr. Klein abbia un’impronta kafkiana è una indubbia intenzione del regista e, soprattutto, di Solinas. Del resto, Michel Sineux aveva scritto su Positif che “il film di Losey accumula gli elementi delle tre opere più importanti di Kafka: la «Metamorfosi» appunto, che è quella di Klein che a poco a poco diventa altro da sé, passa dietro quel famoso specchio in cui fin dall’inizio si guardava; il «Castello», che è appunto quello della continua ricerca di un punto fermo e di un luogo di spiegazione; il «Processo», che è quello cui Klein si sente sottoposto e perseguitato per tutto il tempo” (cfr. Porro, 1978). Spingendoci oltre, nell’individuazione delle tracce che riconducono il film alle opere dello scrittore praghese, si nota l’inclusione di Mr. Klein in un interessante elenco: il critico d’arte e di cinema Alessandro Cappabianca annovera Klein, al pari del Kane di Quarto potere e, soprattutto, del Kaplan di Intrigo internazionale, quali figli della centralità che quelle due “K”, sia Josef che l’agrimensore, hanno imposto all’immaginario occidentale a partire dal primo Novecento (cfr. Cappabianca, 1997).

La narrazione della Grande rafle
La ricerca sempre più energica da parte di Klein nei confronti del suo doppio s’intreccia con la sorte degli ebrei che risiedono nella capitale: la vicenda raccontata si salda abilmente con la storia di uno degli episodi più drammatici accaduti nella capitale francese, ossia l’infame rastrellamento di metà luglio del 1942: Losey, Solinas e Morandi offrono una descrizione particolareggiata del piano che realizzò la rafle, la retata, come la ricordano i transalpini, attraverso scene senza dialogo che narrano la scrupolosa compilazione di elenchi, il preciso calcolo dei tempi d’azione, la pratica organizzazione dello spazio del momentaneo campo di concentramento degli arrestati, quel Vélodrome d’Hiver, un tempo soltanto luogo di passioni e spensieratezza, consegnato poi tristemente alla memoria come lo stadio di Santiago del Cile agli inizi della dittatura di Augusto Pinochet. Il film, che inizia con lo sgradevole medico che visita una donna al fine di procurarle, dietro oneroso compenso, un certificato che possa evitarle un amaro destino, non manca di ricordare il clima d’odio che gli altri parigini versarono sui perseguitati, attraverso i consensi alle vignette dei giornali e agli spettacoli di varietà, sempre più numerosi man mano che ci si avvicinava ai giorni della rafle. Un ulteriore riferimento alle vicende di quanti furono costretti a districarsi dalle serrate maglie dei controlli dei nazisti e dei loro servi francesi va rintracciato nella colonna sonora diegetica del film, quando, rientrando nel proprio appartamento, Klein trova i suoi amici ad attenderlo e una giovane coppia balla spensieratamente sulle note di Tching Kong di Paul Misraki, eseguita dall’orchestra di Ray Ventura: sia l’autore che parte dei musicisti erano ebrei e abbandonarono insieme agli altri colleghi la Francia per il Sud America nel 1941.
Del resto la vicenda di Klein rievoca alla lontana le disavventure capitate a Charles Trenet, il cantautore che Je suis partout, un settimanale distintosi per la sua linea collaborazionista e antisemita, pose alla berlina per la sua somiglianza con il comico ebreo Harpo Marx, attirando i sospetti della Gestapo. Inseguito da alcuni agenti di quest’ultima, verrà ferito a una gamba da una pallottola e costretto poi a trovare al più presto i documenti necessari che provassero l’esclusione di sue origini israelitiche, allontanando da sé le attenzioni dei sostenitori dello scellerato mito della razza ariana.

Letture
  • Bertolt Brecht Vita di Galileo, Einaudi, Torino, 2014.
  • Alessandro Cappabianca, Il nome e la lettura, in Joseph Losey, Franco Solinas, Mr. Klein, Einaudi, Torino, 1977.
  • James Hadley Chase, Eva, Feltrinelli, Milano, 1992.
  • Giorgio Cremonini, Gualtiero De Marinis, Joseph Losey, Il Castoro Cinema-La Nuova Italia, Firenze, 1981.
  • Alain Delon, Era un mago, in Luciano De Giusti (a cura di), Joseph Losey. Senza re, senza patria, Il Castoro, Milano, 2010.
  • Franz Kafka, Il castello, Feltrinelli, Milano, 2017.
  • Franz Kafka, Il processo, Feltrinelli, Milano, 2016.
  • Anna Masecchia, Il corpo di Eva e la scrittura del film, in Luciano De Giusti (a cura di), Joseph Losey. Senza re, senza patria, Il Castoro, Milano, 2010.
  • Alberto Moravia, A proposito di «Mr. Klein», in Joseph Losey, Franco Solinas, Mr. Klein, Einaudi, Torino, 1977.
  • Maurizio Porro, Joseph Losey, Moizzi, Milano, 1978.
Visioni
  • Alfred Hitchcock, Intrigo internazionale, Warner Home Video, 2015 (home video).
  • Joseph Losey, Eva, Import, 2002 (home video).
  • Joseph Losey, Galileo, The American Film Theatre, 1975.
  • Joseph Losey, L’assassinio di Trotsky, Dino de Laurentiis Cinematografica, CIAC, 1975.
Joseph Losey, Il ragazzo dai capelli verdi, Dynit RKO, 2016 (home video).
  • Joseph Losey, Il servo, Universal Pictures, (home video).
  • Joseph Losey, Imbarco a mezzanotte, Riviera Films, Tirrenia Film, 1952.
  • Orson Welles, Quarto potere, Dynit RKO, (home video).