In un ambiente multiutente,
dove dimora l’immaginazione

Alice Paltrinieri
0;0
a cura di Davide Silvioli
Sottofondo Studio, Arezzo 

13 novembre – 4 dicembre 2021

Alice Paltrinieri
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a cura di Davide Silvioli
Sottofondo Studio, Arezzo 

13 novembre – 4 dicembre 2021


In un ambiente multiutente, il pubblico di una mostra è un semplice componente della net.art e dunque è parte di un gioco con attori tutti ugualmente determinanti. Non solo, un ambiente del genere vede coinvolti oltre ai creatori (artisti), agli intermediari (curatori) e ai componenti (pubblico), anche un complesso sistema di luoghi espositivi (istituzioni, case private e altre gallerie) chiamati a svolgere il proprio specifico ruolo all’interno di inaugurazioni multiple e in simultanea, senza le quali non esiste l’opera. Entrare in una mostra di questo tipo significa avere a che fare con tecnologie che conteggiano e rappresentano i visitatori come elementi costitutivi di un’opera che diventerà tale solo dopo il suo passaggio. È così che in questo multiverso, simulazioni generate al computer, piattaforme digitali in rete o progetti in fieri che restano oggetto di analisi fino alla redazione del catalogo, offrono anche all’arte contemporanea la possibilità di essere abitata da quei luoghi che si trovano più facilmente nella letteratura di fantascienza.
L’aspetto di questo intangibile è così imponderabile che si potrebbe dire che una mostra d’arte interattiva incide e modifica l’ambiente facendosi guidare da ciò che trova. È intrisa di sfere immateriali, di dimensioni parallele e di giochi di percezione nei quali il significato e il ruolo che svolge l’informazione circa il progetto da realizzare è uguale alla collocazione nel mondo del reale. Ancora una volta la dimensione più immediata di questo tipo di ambienti infatti è la mente. Qui reale e virtuale non sono più opposti incomunicabili. La percezione delle poche immagini ha una densità discorsiva tale da diventare esperienza proprio perché mira a diventare conoscenza specie laddove cerca di comunicare a noi la nostra stessa esistenza. Per questo motivo, la diversa costruzione sequenziale di ciò che vediamo impone in modo continuo e incessante il riesame della nostra concezione tridimensionale dello spazio.

Un momento dell’esibizione 0;0 di Alice Paltrinieri (foto: Andrea Severi).

L’obbiettivo dell’esibizione 0;0 è di analizzare il rapporto e la dipendenza reciproca tra la presenza fisica e quella digitale e il loro non essere più in grado di smettere di riarticolarsi. L’artista Alice Paltrinieri sembra volerci dire che le progettualità concepite prima e dopo la nascita della tecnologia informatica hanno una sorta di tratto comune giustificabile con l’uomo posto dietro le tecnologie. Entrambe cioè hanno voluto e vogliono ancora esaminare lo sviluppo e l’impatto sociale della scienza e della tecnologia giocandosi la tradizionale nozione di spazio ed evidenziando la dipendenza reciproca tra il tangibile reale e l’intangibile digitale. L’esibizione 0;0 non si pone alcun tipo di esplorazione tra le concezioni ideali, trascendentali o materiali dello spazio, eppure ci stimola a chiederci se davvero gli spazi generati da videocamere e computer possono influenzare la nostra conoscenza convenzionale dello spazio e in che modo.
La rappresentazione dello spazio, intrinsecamente invisibile, è un compito complesso, che la Paltrinieri esplora con un progetto espositivo site-specific e uno specifico format di mostra che intende scardinare in primis la tradizionale relazione tra dispositivo espositivo e pubblico. I movimenti di quest’ultimo vengono registrati dai sensori (opportunamente riportati in esposizione in tempo reale sotto forma di dati su supporto video e in futuro anche su QRcode) attivando la fuoriuscita di fumo e il rumore degli apparati tecnici. In seguito, l’opera si trasforma in un’azione collettiva concepita come un corpo in continua evoluzione da concludersi solo nella lettura e registrazione della totalità dei conteggi. La conoscenza così ottenuta sarà rappresentata da una serie di visualizzazioni dei calcoli, letti direttamente dall’artista. È plausibile pensare che l’infografica che deriverà non riguarderà necessariamente questa realtà, ma sarà il diagramma di una specie di architettura di relazione costruita dall’elaborazione di dati disponibili prodotti anche da incroci imprevedibili.
Il progetto si ispira alle riflessioni sulla sincronicità avviate dalla quantistica di inizio Novecento e dunque continua a parlare di quel misterioso fenomeno per cui due particelle sparate da un’unica fonte in due direzioni diverse sono in grado di modificarsi istantaneamente a vicenda. L’opera considera questo linguaggio fisico come attivatore di dinamiche atte a spezzare automatismi fisici e mentali e ci invita a cercare la testimonianza del nostro corpo, del suo passaggio e della sua presenza per ricomporlo in una tabella statistica che sembra avere lo scopo di accertare l’esistenza del reale al di fuori della percezione.

Un altro scatto da 0,0 di Alice Paltrinieri (foto: Andrea Severi).

L’artista sembra essere convinta cioè che quel mondo microscopico che obbedisce a leggi diverse rispetto a quello macroscopico (e che ha posto gli scienziati in difficoltà quando hanno cercato di descriverlo), possa essere interpretato dall’azione artistica proprio perché questa è naturalmente votata a indagare tutto ciò che  non è riconducibile a un rapporto di causa-effetto.
La mostra così concepita diventa quell’ambiente multiutente in grado di riflettere sul movimento del corpo nello spazio, in un duplice modo: da un lato grazie al movimento reale realizzato ogni qual volta il visitatore attiva con la sua presenza la cellula fotoelettrica e dall’altro in modalità asincrona al momento in cui si concluderà la mostra e l’artista si avvierà alla seconda parte dell’opera attraverso la lettura dei dati. L’opera pone l’accento sulle pratiche artistiche che frammentano i confini fisici e concettuali del corpo, estendendoli verso altre realtà o forme di vita, ma non si limita a questo singolo aspetto. L’opera – ci dice l’artista – cambierà forma e sostanza nel corso della giornata e offrirà diverse esperienze a seconda delle condizioni atmosferiche registrate per tutta la durata del progetto. Con questa variabile, l’artista intende sondare nuove possibilità di stare al mondo e osservare, al di là delle apparenze, le strutture profonde che governano i comportamenti umani.
L’opera riflette anche sulle altre possibili esplorazioni fisiche dello spazio privato, proponendo col modello di inaugurazione multipla tra Roma, Arezzo e Perugia la creazione di dinamiche paradossali laddove si rende possibile che uno spazio molto frequentato accenda quelli meno attivi e viceversa.
L’utopia che ne deriva sembra diventare strumento per “aprire” il corpo che possediamo in questo spazio-tempo nel quale ci è consentito di agire, portandolo verso nuovi mondi e concezioni possibili. Una sorta di recupero del ruolo dell’immaginazione come valore di costruzione della conoscenza. Un’impossibile linearità sequenziale del tempo costruisce insomma un ambiente complesso nel quale ciò che possiamo davvero fare è esserci e partecipare.