Contro la città-merce,
la resistenza dalle favelas

Marielle Franco
Laboratorio favela.
Violenza e politica a Rio de Janeiro
Traduzione di Francesca De Rosa
e Alice Izzo

Tamu Edizioni, 2021
pp. 224, € 15,00

Marielle Franco
Laboratorio favela.
Violenza e politica a Rio de Janeiro
Traduzione di Francesca De Rosa
e Alice Izzo

Tamu Edizioni, 2021
pp. 224, € 15,00


Il 14 marzo del 2018 Marielle Franco, consigliera comunale di Rio de Janeiro ed esponente del Partito Socialismo e Libertà, di ritorno a casa dopo aver partecipato all’iniziativa “Giovani nere smuovono le strutture”, viene assassinata a colpi di arma da fuoco. Il mandante non è ancora noto, ma che si tratti di una vera e propria esecuzione appare evidente. A tre anni di distanza dall’omicidio esce per Tamu Edizioni Laboratorio Favela. Violenza e politica a Rio de Janeiro, che raccoglie discorsi e interviste rilasciati durante la sua attività politica e la sua tesi di laurea magistrale.
Si tratta di un progetto editoriale nato in Argentina (Tinta Limòn, 2020) e che la casa editrice napoletana, intenzionata a parlare dai Sud e con i Sud, riprende affinché Marielle Franco non sia semplicemente un’icona priva di spessore, una martire resa celebre unicamente dalla propria morte. Come sottolineano Francesca De Rosa e Alice Izzo, traduttrici e curatrici dell’edizione italiana, il senso di Laboratorio Favela non si esaurisce nella commemorazione della donna e della sua lotta, ma intende anche restituire la capacità di Marielle Franco di tessere connessioni tra il lavoro teorico e pratico, tra l’impegno politico e l’analisi sociologica. Proprio la scelta di accostare i testi dei suoi interventi politici alla tesi di laurea si rivela efficace nel mostrare come l’attivista e la studiosa si implichino a vicenda. È grazie a questa complementarietà che mette a fuoco con estrema chiarezza quanto gli spazi sociali e materiali, frutto di relazioni di potere violente e di diseguaglianze strutturali, siano la cornice, spesso invalicabile, entro la quale si articolano le esistenze. In altre parole, non poteva fare a meno di posizionarsi:

“Sono una donna nera ma ho detto spesso che prima di rivendicare e comprendere cosa significa essere una donna nera in questo mondo, io ero già una favelada. Sono nata e cresciuta nella Maré. Per chi non è di Rio, la Maré è un complesso di diciassette favelas; il termine complesso si riferisce all’agglomerato urbano, e non al fatto che sia un quartiere difficile, perché Rio è complessa in ogni suo quartiere”.

Occupare lo spazio pubblico
La storia di Marielle Franco, che si esprime spesso attraverso la prima persona plurale, non potrebbe essere più lontana dal tropo narrativo del “successo personale”, della favelada che diventa consigliera e si riscatta individualmente, della donna che lascia la favela per entrare nelle istituzioni e acquisire potere. Al contrario, il suo obiettivo era quello di occupare e favelizzare il comune, aprendolo a tutte quelle soggettività che ne sono espulse:

“Gli spazi istituzionali misogini e razzisti hanno bisogno di essere occupati dalla lotta politica per vedere rappresentate, di fatto, tutte le nostre aspirazioni. Per dare valore alla vita, sono io la candidata perché noi siamo necessarie. Io sono perché noi siamo!”.

Occupare gli spazi della politica è l’unica risposta possibile all’occupazione militare che lo Stato attua nei territori delle favelas, un’occupazione di cui Marielle Franco dà prova proprio nella sua tesi di laurea, intitolata Upp. La riduzione della favela a tre lettere. Le Upp (Unità di polizia pacificatrice) rientrano nelle politiche di pubblica sicurezza adottate dallo Stato di Rio de Janeiro allo scopo di combattere la criminalità e il narcotraffico all’interno delle favelas. Questo sulla carta. Ma le Upp sono corpi di polizia militare, non civile, che introdotte stabilmente nelle favelas rappresentano una forma di dominio statale militare sul territorio.

Mediante un’analisi documentale sulla loro installazione, le fasi del loro intervento, gli obiettivi dichiarati e i risultati attesi, ci mostra come di fatto non sia avvenuto alcun cambiamento positivo per gli abitanti delle favelas: non ci sono meno morti negli scontri con la polizia, né tra i favelados né tra i poliziotti; non si sono ridotte le sparizioni né sono diminuiti gli sfratti. E, contrariamente a quanto dichiarato in fase di implementazione di questo progetto, non vi è stato alcun incremento delle politiche sociali. La sua tesi si gioca sulla voluta ambiguità tra ciò che appare come utopia – la pace – e che invece si configura come ideologia, ovvero la criminalizzazione della povertà funzionale al capitalismo neoliberale che sta investendo Rio de Janeiro. L’obiettivo reale non è il benessere degli abitanti delle favelas, ma il profitto privato a cui la politica si piega. Lo si capisce, osserva, se si osservano gli strumenti messi in campo: la militarizzazione e non, seppur prevista, l’attivazione di politiche pubbliche e sociali. Le Upp non rappresentano un cambiamento, ma solo un altro soggetto che controlla le favelas attraverso le armi. In seguito al loro insediamento si registra un unico miglioramento: quello della speculazione edilizia e degli investimenti. Insomma, aumentano i profitti, ma a discapito dei favelados, perché la sicurezza che si persegue riguarda chi abita fuori e non dentro la favela, è la sicurezza di coloro che sostengono grandi eventi e grandi investimenti in città. L’obiettivo è quello di implementare quella città degli affari che ha bisogno che vi sia una porzione di popolazione che rimanga in una condizione di oppressione e di non-diritto.

Un’operazione per la quale è necessario il consenso di coloro che non sono oppressi e che rende funzionale una certa visione della favela, quella che non racconta della sua vitalità, dei movimenti sociali che la attraversano, dei progetti educativi e culturali che la animano, delle proteste che la mobilitano. Per Marielle Franco le Upp sono una chiara espressione del rafforzamento di uno Stato penale, uno Stato cioè che si serve ideologicamente del discorso sull’insicurezza sociale per ottenere il consenso rispetto a politiche repressive e di controllo. Del resto, in un quadro globale in cui è egemonica la visione neoliberale dell’esistenza, in fondo la povertà è sempre pensata come una colpa individuale e mai come il frutto di diseguaglianze radicate in società strutturalmente oppressive.

La Favela: laboratorio di conoscenza e resistenza
Il suo lavoro teorico e pratico si articola simultaneamente sul piano delle rappresentazioni simboliche e su quello delle strutture materiali. Perché se il capitalismo, specialmente nella sua degenerazione neoliberista, presuppone e alimenta diseguaglianze strutturali di razza, di genere e di classe, per farlo produce costantemente rappresentazioni ideologiche. Ecco che il titolo della tesi, Upp. La riduzione della favela a tre lettere, intende proprio sottolineare come la favela sia stata ridotta ideologicamente a quel racconto egemonico necessario a ottenere il consenso per occuparla militarmente, per realizzare quello che senza mezzi termini chiama “un vero progetto politico di sterminio della popolazione nera e di periferia”. Laboratorio favela però consente di conoscere non solo Marielle Franco, ma quello che forse è il vero soggetto di questo libro: la favela. Perché se, come si legge nel manifesto scritto da un insieme di collettivi della Marè, le favelas “sono il risultato di decenni di incompetenza e negligenza della gestione pubblica”, forse proprio per questo è solo dalle favelas che può partire la resistenza alla città degli affari e alla città-merce. Con questo orizzonte sempre in mente, ha provato a raccontare un’altra favela:

“Vogliamo riflettere sull’idea delle favelas e delle periferie come luoghi di produzione o, per meglio dire, di potenza. Chi abita questi spazi, per contrastare la mancanza di azioni dello Stato ha trovato varie forme per resistere e gestire la propria vita, attraverso l’arte, le abitazioni, la mobilità o gli incontri. Tutti questi elementi ci rivelano il tema centrale della questione: che tipo di città è in ballo? Da un lato, la città-merce, sostenuta dai profitti privati, dai grandi investimenti, e da una specie di pulizia di quella parte della popolazione che non può essere assorbita che viene spinta verso il sistema penale o le periferie. Dall’altro un progetto di città di diritto, che cerca di superare i problemi della sicurezza pubblica, ormai da anni centrali a Rio de Janeiro, e di costruire un’amministrazione e delle politiche pubbliche che cambino la rotta di questo percorso egemonico”.

La sua tesi si conclude con una proposta: le Upp, da Unità di polizia pacificatrice, dovrebbero essere trasformate in Unità di politiche pubbliche. Ma perché questo passaggio possa avvenire la narrazione egemonica sulla favela deve essere combattuta. Come si evince dai discorsi e dalle interviste che aprono il libro, si può dire che è esattamente il percorso che Marielle Franco aveva intrapreso in quanto consigliera comunale, un mandato vissuto non come una carica personale ma in quanto espressione di un soggetto collettivo. Il suo programma politico è espresso chiaramente e continuamente: mettere in campo misure serie di politiche pubbliche e sociali affinché soggetti da sempre ai margini possano occupare il centro.

L’intersezione su cui ha lavorato prevalentemente, come studiosa e come consigliera comunale, è quella tra genere, razza e città. Nei suoi discorsi le donne delle favelas sono sempre presenti, sono coloro che oltre ad affrontare il maschilismo istituzionale del Brasile devono fare i conti con il razzismo strutturale e la precarietà lavorativa, sono donne la cui vita è articolata in un perenne stato di emergenzialità. Per loro e insieme a loro ha lottato, tra le altre cose, per tutelare il diritto all’aborto, per supportare le madri lavoratici nella conciliazione tra lavoro e famiglia, perché potessero occupare spazi di responsabilità nella politica e nelle istituzioni. E se riconosce e denuncia senza sosta le forme di dominio a cui sono soggette, non per questo si adegua alla rappresentazione egemonica della “donna della favela”. In altre parole, non racconta solo un’altra favela, ma anche un’altra donna della favela, perché la favela resistente e la favelada in lotta si implicano a vicenda:

“Benché l’esperienza di queste diseguaglianze, che attraversano tutta la storia del Brasile, abbia un impatto maggiore sulle periferie e sulle favelas, queste donne non possono essere definite da una passività impoverita, contrariamente alla rappresentazione che viene fatta di loro nel discorso e nei media dominanti. Queste donne hanno assunto ruoli centrali nella rivendicazione di politiche pubbliche per sfidare le disparità e allargare la dimensione umana dei diritti civili. In questo modo, sono riuscite a promuovere cambiamento nei loro quartieri, aprendo nuovi spazi nell’immaginario popolare e nelle relazioni sociali. Nel loro ambizioso impegno, dalle arti alla pratica sociale e politica nei distretti marginali, la presenza di queste donne risuona in tutta la città”.

Per una pratica politica globale
Uno degli elementi di maggior valore del suo percorso politico e teorico è lo sguardo contro-egemonico. Proprio lavorando sulla categoria di favela e sulla categoria di donna della favela, Marielle Franco si mostra capace di portare in superficie il costante tentativo di lesione e negazione dei diritti che avviene in Brasile per mano dello Stato. Nei suoi discorsi esprime ciò che appare sempre più evidente: il processo democratico che si era avviato nel 1985 “sta morendo soffocato”. Ma oltre a denunciare e decostruire, ha provato a invertire questa tendenza, ha proposto un percorso politico in cui la sicurezza non sia pensata in ottica securitaria ma sociale. La sua strada non poteva essere quella della militarizzazione del sociale e della vita quotidiana all’interno della favela, senza che fosse pensata o prevista alcuna forma di protagonismo di chi quello spazio lo abita. Il giorno del suo assassinio, pronunciò queste parole:

“Le morti hanno colore, classe sociale e territorio. Sicuramente la sicurezza pubblica non si costruisce con più armi, ma con politiche pubbliche dirette a tutti i settori, alla salute, all’istruzione, alla cultura e alla creazione di reddito e di posti di lavoro”.

Marielle Franco si è spesa contro l’affermazione di uno Stato penale e neoliberale, nel quale le azioni pubbliche vengono valutate e attuate secondo una logica manageriale e non in relazione al bene comune. In questo senso, per quanto in Brasile queste tendenze stiano assumendo forme marcate e violente, Laboratorio Favela interpella tutti coloro che come lei, in diverse parti del mondo, sognano “una città dove la vita sia al di sopra del profitto”. In questo progetto di una città di diritto vanno collocate la sua vita e la sua morte, affinché non rimanga solo un’icona da celebrare, ma una compagna di lotta cui affiancarsi.