Internet, bugie
e il debito coloniale


Nei primi anni Novanta, agli albori della posta elettronica di massa, molti hanno provato il brivido di aprire degli strani messaggi ricevuti da misteriosi mittenti africani, a volte portatori di cognomi importanti (per i pochissimi che s’interessassero alle vicende politiche del continente). Nel testo delle e-mail un sedicente figlio di un principe o la vedova di un ex-capo di Stato o il direttore di una banca o la figlia di Jonas Savimbi o la moglie di Yasser Arafat, con gentilezza e una certa dose di fantasia più o meno ispirata a vicende reali, tentava di convincerci ad aiutarlo a sbloccare una grossa somma di denaro nascosta da qualche parte e “intrappolata” dai recenti eventi politici che affliggevano il paese africano in questione. Il nostro aiuto sarebbe stato generosamente ricompensato con una percentuale della somma, che ammontava a qualche decina di milioni di dollari. Il trasferimento di tanti soldi, però, comportava una serie di meccanismi burocratici e il pagamento di tasse, spese di gestione ed eventuali “unzioni”, che lo sconosciuto ci chiedeva di anticipare per portare a termine l’affare. Naturalmente, una volta che il destinatario accreditava la somma richiesta per le operazioni di trasferimento, il misterioso straniero scompariva senza lasciare traccia.
Questo genere di truffa per via informatica, che dopo vent’anni di Internet di massa ha fruttato più di 80 miliardi di dollari e nel 2014 mostrava una crescita del 5% l’anno, si è guadagnata l’appellativo di “Nigerian 419 scam”, truffa alla nigeriana, dove 419 è l’articolo del codice penale del paese che disciplina le pene per la frode. Questo perché quelle e-mail (e negli anni Ottanta le lettere cartacee) provenivano soprattutto dalla Nigeria, sebbene anche dalla Costa d’Avorio, il Ghana, l’Angola, il Burkina Faso, il Sud Africa e una breve coda di altri paesi africani.
Leggere quei messaggi, in un’epoca in cui la mole delle nostre cartelle della posta in entrata era ancora gestibile e i filtri anti-spam non erano scontati, procurava una certa eccitazione allucinatoria nel figurarsi la storia che il malfidato straniero ci raccontava in quelle opere di un’involontaria scam mail art giunta da un affollato internet café dell’Africa Sub-Sahariana sulle scrivanie solitarie del personal computing nel Nord del pianeta. La maggior parte dei destinatari, probabilmente poco interessati al potenziale letterario e sociologico, non si prendeva nemmeno la briga di leggerle prima di cestinarle. Eppure il fenomeno è cresciuto, il suo giro di affari anche, e oggi lo scam è l’occupazione principale di un numero enorme di giovani abitanti delle metropoli dell’Africa occidentale.

Istruiti, benestanti e incantati dalla rete
Ma com’è possibile che i colletti bianchi letterati del Nord del mondo si facciano abbindolare dal “fratello gemello del Capitano Anthony Onyearugbulem” (ex-governatore militare dello Stato di Edo nella Repubblica Federale della Nigeria), che ha bisogno di trasferire in Europa 81 milioni di dollari depositati dal fratello a suo nome in una “compagnia segreta”? O dal Dr. Anthony Kamala, medico specialista keniota in servizio presso il “Government Specialist Hospital of Nigeria”, che ha tentato invano di salvare la vita a un uomo d’affari tedesco trasportato in ospedale da “buoni samaritani” insieme a una piccola scatola piena di documenti che attestavano il deposito di 18 milioni di dollari presso una “diplomatic security company” nigeriana, “compresa la foto della cassetta usata per depositare il denaro”? O ancora da James Cone, unico erede di un ricchissimo commerciante di cacao di Abidjan che sul letto di morte gli ha confidato di essere stato avvelenato dai suoi soci poiché in possesso di 12 milioni di dollari depositati su un conto provvisorio di Abidjan e da trasferire urgentemente altrove? Tanto più se James chiede anche di essere adottato, dato che è “un ragazzo di soli 26 anni”…
Com’è possibile, dicevamo, che una truffa apparentemente tanto evidente possa contribuire da decenni a far perdere migliaia di dollari a vittime scolarizzate e spesso esperte di business management? Mentre i governi e l’FBI si concentrano sulla prevenzione e la punizione, e gli scambaiter su un’irritante pratica di “resistenza civile” fondata sull’umiliazione pubblica dello scammer, antropologi e sociologi provano a rispondere a questa e all’altra domanda: chi sono gli scammer e perché sono metropoli dell’Africa Sub-Sahariana come Lagos e Abidjan a detenere il primato della truffa via Internet?

La risposta più convincente al primo interrogativo rileva innanzitutto un elemento filologico: i racconti descritti in queste email riproducono la “nostra” visione dell’Africa. Se l’immaginario coloniale era una cartolina di safari e viaggi avventurosi nella giungla, quello post-coloniale costruito da media, istituzioni e organi della cooperazione internazionale è un’orgia di guerra, corruzione, instabilità politica e crisi perpetue, oro, diamanti e arretratezza culturale. E a questo immaginario, e al fardello dell’uomo bianco, si ispirano gli scammer, imitando contenuti e linguaggi dell’informazione, dal New York Times al Guardian alla BBC, la cui copertura delle notizie dall’Africa quasi mai si discosta dall’evocazione di un eterno inferno di violenza, corruzione e “sottosviluppo”. Un immaginario che viene restituito al mittente in tutta la sua rassicurante coerenza, spesso con punte di raffinata ironia: “io e le mie tre figlie siamo intrappolate in riprovevoli norme tradizionali”, “il mio problema principale è che all’età di 30 anni non ho mai gestito una tale somma di denaro, sono confuso su come gestirla e su cosa farci, dato che qui non ho nessuno di cui fidarmi”. Ma se la magia si compie c’è probabilmente anche un’altra ragione, che risiede nella finzione, o meglio l’illusione, come elemento integrante del capitalismo globale; l’incertezza sulla provenienza, il dubbio, la natura occulta dei movimenti di capitale non sono soltanto condizioni plausibili per i business men, ma anche gli elementi della sottile e opaca demarcazione tra lecito e illecito, vero e falso, astratto e materiale, che caratterizza la circolazione del denaro nel capitalismo globale.
Mentre YouTube, il web 2.0 e la diffusione di smartphone e social network contribuivano a opacizzare ulteriormente i confini della realtà, in Africa proseguiva il boom di Internet e telefonia mobile avviato dieci anni prima con la liberalizzazione dei mercati della comunicazione, vessillo dello “sviluppo” sventolato a gran voce da governi e istituzioni internazionali e terreno di grossi affari per gli investitori stranieri. Il costo è minimo, le strutture scadenti, le tariffe altissime rispetto al resto del mondo ma centellinate attraverso il meccanismo del prepagamento, in modo da svuotare lentamente le tasche sgonfie dei “netizen” africani nei cybercafé delle metropoli del continente. Internet continua a esplodere, insieme ai conflitti armati (in Africa e non solo).
Quello che scoppia in Costa d’Avorio a inizio millennio coincide con l’ascesa nell’Africa francofona di un genere musicale e di danza lanciato da DJ ivoriani che vivono a Londra e a Parigi, il Coupé Décalé. Una dance elettronica su ritmi di derivazione soprattutto congolese che si arricchirà negli anni di diversi stili e influenze, prodotta da gruppi di DJ e non che inventano danze, atteggiamenti e un gergo ironici se non umoristici (si vedano Guantanamo di DJ Zidane o Grippe Aviaire di DJ Lewis) che riassumono uno stile di vita basato sulla festa e il divertimento.

Nel linguaggio comune ivoriano couper significa “truffare”, décaler “decollare, volare via”. “Truffa il bianco e prendi il largo” è il messaggio, che si innesta sulla ricezione della cultura e dell’estetica hip hop americana iniziata decenni prima qui come in Senegal, Camerun, Nigeria. I DJ si chiamano Lino Versace, PS One, DJ Dollar, DJ Arafat, la figura di riferimento e tra i padri fondatori è Stéphane Hamidou Doukouré, in arte Douk Saga (morto nel 2006), fondatore a Parigi del gruppo Jet 7 e promulgatore della filosofia della sagacité: “fregare il bianco” per riappropriarsi del “debito coloniale”, per poi divertirsi, ballare, sfoggiare e offrire soldi e champagne per condividere la riuscita sociale. In una parola, travailler, quel termine francese incluso nel motto nazionale di cui il gergo sarcasticamente si appropria ribaltandone il significato.

In un momento in cui, sia dal basso che dall’alto, per diverse ragioni, c’è bisogno di costruire un’identità “ivoriana”, il Coupé Décalé si afferma tra i giovani dei centri urbani come modello di vita, in cui l’Europa rappresenta soltanto uno strumento di riscatto e accesso ai consumi di una generazione che preferisce i cellulari e le discoteche ai fucili e non è molto attratta dalla prospettiva di farsi “integrare” nei ghetti d’Europa. In Europa si va perché viaggiare è vita, emancipazione, mondanità, ma si sta giusto il tempo di darsi un’immagine più “global”, divertirsi, guadagnare dei soldi col minimo sforzo per poi decollare, tornare in Africa a festeggiare e condividere con la famiglia e i pari, ferrea norma di inclusione sociale che distingue il “bon travailleur” da quello ignobile.

Oppure, visto che costa fatica, risorse e rischi, in Europa non si va e il progetto si mette in pratica da un cyber café di Marcory, dedicandosi al broutage, come chiamano la truffa online in Costa d’Avorio (da brouter, letteralmente “brucare”, a indicare un’attività di nutrimento priva di fatica e praticabile su terreni altrui), che nella sua versione 2.0 consiste nell’adescare donne e uomini in cerca di amore, sesso o semplicemente compagnia e convincerli a mandare soldi per aggirare gli ostacoli che separano i loro promessi amanti da un biglietto aereo per il primo appuntamento. Soldi che invece basteranno a evadere gli obblighi sociali e familiari, a comprare qualche vestito di marca, un orologio o un cellulare e soprattutto a divertirsi la sera al Diesel, al Facebook, al Vip Bar o in un altro maquis di Abidjan, ormai per gli amici la saga-cité.

Letture
  • Sasha Newell, The Modernity Bluff: Crime, Consumption, and Citizenship in Côte d’Ivoire, University of Chicago Press, Chicago, 2012.
Visioni
  • Joël Akafou, Vivre Riche, Vraivrai Films, 2017.
  • Henning Wagenbreth, Cry for Help. 36 Scam-Emails from Africa, Ginko Press, Corte Madera (CA), 2006.