Prodotti di una ideologia:
grecità, Europa e Occidente

Giuseppe Cambiano,
Filosofia greca e identità dell’Occidente
Le avventure di una tradizione
Il Mulino, Bologna, 2022

pp. 792, € 50,00

Giuseppe Cambiano,
Filosofia greca e identità dell’Occidente
Le avventure di una tradizione
Il Mulino, Bologna, 2022

pp. 792, € 50,00


Rick Riordan è l’autore di una fortunata serie di libri per ragazzi dedicata a un adolescente americano di nome Percy Jackson. Lo scrittore, come probabilmente hanno fatto molti altri genitori nel corso dei secoli, la sera raccontava ai suoi figli storie ispirate dai miti greci. Qui è sorta l’idea di un mondo dove gli dèi greci convivevano con noi, camuffati nel mondo attuale. Analogo destino riguarda la collocazione dell’Olimpo. La montagna sacra degli ateniesi dalla natia Grecia nel corso del tempo si è trasferita prima a Roma, e ora a New York, magicamente invisibile e sospesa sulla cima dell’Empire State Building. Questo sorprendente trasloco, evidentemente necessario all’autore per poter raccontare ciò che accade ai suoi personaggi, è giustificato agli occhi del lettore in quanto conseguenza del legame indissolubile che esisterebbe tra la cultura greca e l’Occidente. Lo spirito della cultura occidentale avrebbe quindi le sue origini ad Atene, per trovare in seguito casa nell’Impero romano e incarnarsi oggi negli Stati Uniti d’America. La combinazione assolutamente postmoderna di elementi provenienti da tradizioni culturali e mediatiche apparentemente inconciliabili è esemplare di ciò che Giuseppe Cambiano discute nel suo ultimo, voluminoso e sostanziale, per quanto non definitivo, saggio sul tema. L’autore sin dai primi paragrafi esplicita l’obiettivo del testo:

“[…] si può legittimamente dubitare, e obiettivo di questo libro è mostrarlo, che la Grecia sia sempre stata considerata terra di origine della filosofia e che la filosofia sia una sua esclusività poi fatta propria in determinati momenti dall’Europa e dall’Occidente come contrassegno di identità”.

Rick Riordan ci dimostra quanto questa identificazione tra Grecia, razionalità e Occidente sia radicata nel nostro immaginario, invadendo anche la cultura pop disneyana. Al contrario, è invece da ribadire quanto il tema affrontato dallo studioso torinese, figura centrale e indiscussa dell’odierno panorama culturale della filosofia italiana, sia completamente estraneo alla mitologia contemporanea, sebbene ci offra gli strumenti per analizzare anche quest’ultima, identificando il suo come un approccio storiografico, caratterizzato da un estremo rigore filologico.

Momenti della filosofia italiana
Giuseppe Cambiano dopo aver tenuto per oltre trent’anni la cattedra di Storia della Filosofia all’Università di Torino, è dal 2003 professore emerito alla Scuola Normale Superiore di Pisa, uno dei fiori all’occhiello della cultura filosofica italiana, e rappresenta quanto di più antitetico esista oggi rispetto ai quotidiani inutili battibecchi dei talk show televisivi e alla spettacolarizzazione del lavoro culturale, che in lui rimane legato alla dedizione e all’impegno, molto più che a una non meglio definita ispirazione. Con questa opera consacra una carriera che lo ha visto insegnare per oltre mezzo secolo, oltre a firmare un impressionante numero di volumi, e che lo pone definitivamente nel pantheon di coloro che hanno fatto la storia della filosofia nel nostro paese, tra Mario Vegetti, Giorgio Colli e Eugenio Garin, a fianco del suo professore di tesi Nicola Abbagnano e a Pietro Chiodi, di cui fu assistente all’inizio della carriera e che rimase per lui fulgido esempio di figura umana, oltre che professionale. La sua prosa si contraddistingue per chiarezza e precisione, e il volume, nonostante la mole non indifferente e l’approccio sia multidisciplinare sia plurilinguistico che lo contraddistinguono, è accessibile a chiunque abbia studiato filosofia al liceo.
Cambiano qui affronta una revisione dettagliata dell’intera storia della filosofia, dalle origini fino agli ultimi anni dell’Ottocento, con la prospettiva di individuare nel testo filosofico stesso gli elementi che ci permetterebbero di rileggere questa disciplina alla luce di un nuovo paradigma che la scolleghi da una serie di concetti che ne rappresenterebbero solo una modalità, non l’essenza. Si discute quindi dell’idea stessa di identità, e a seguire dell’identità europea e di quella occidentale. Le prime parole del testo sono perciò quanto di più programmatico:

“Democrazia greca, Impero romano e diritto romano, cristianesimo e Medioevo latino, umanesimo, rivoluzione scientifica e così via: questi gli ingredienti convocati di volta in volta per caratterizzare l’identità dell’Europa o addirittura dell’Occidente. Non di rado sono chiamati «radici» con una metafora erronea che induce a pensare a una sorta di sviluppo biologico a partire da esse fino all’oggi”.

Il racconto della tradizione
È chiaro, perciò, che a fondamento dell’analisi si trova una radicale critica a ogni idea di progresso e di riduzionismo, ma non vi è nulla di ideologico in ciò, quanto piuttosto una visione genealogica degli eventi che tenta sì di far emergere affinità, ma che in ogni caso vanno collocate nel contesto di situazioni storiche spesso lontane secoli tra loro. Cambiano qui si rifà esplicitamente al volume di Eric Hobsbawm L’invenzione della tradizione, dove lo storico inglese scompone i meccanismi e i processi che portano a far sì che elementi relativamente recenti della vita quotidiana e degli eventi pubblici, assumano il carattere di un qualcosa di antico e derivante da un passato remoto che – proprio per lo status di originario che andrebbero ad assumere – sarebbero meritevoli di rispetto (cfr. Hobsbawm, 1987).
Questo processo, per Cambiano, avviene continuamente nella storia delle filosofie e della loro relazione con le altre componenti del sapere umano: religione, sapere scientifico, forme del potere e dell’espressione politica, ed è proprio per questo che è necessario evidenziare la temporalità dei legami, contestualizzandoli.

Socrate, Antistene, Crisippo ed Epicuro, (IV-III sec. a.C.), British Museum, Londra.

Il volume si chiude con l’analisi della visione nietzschiana della filosofia greca, e quindi con la fine dell’Ottocento. Cambiano riconosce che “rimangono ancora aperti orizzonti vastissimi da esplorare”, e individua almeno tre direzioni in cui procedere: quella temporale, che completerebbe così l’orizzonte del suo lavoro, giungendo sino a oggi; quella spaziale, con l’obiettivo di connettervi le civiltà rimaste estranee al volume o analizzate solo in piccola parte, e Cambiano stesso ne cita diverse; e infine quella linguistica, legata a mondi che per problemi di “ignoranza linguistica”, come lui stesso la definisce, non hanno potuto essere presi in considerazione, se non indirettamente. A proposito di quest’ultimo aspetto sono esemplari le pagine relative a Matteo Ricci, al gesuita tedesco Athanasius Kircher e a Leibniz in relazione alla ricezione della Cina, della sua storia e del suo pensiero nell’Europa del Seicento, ma che per motivi appunto strettamente linguistici sono limitate alla visione della componente europea, senza poter analizzare cosa fu compreso e assimilato della nostra cultura in Cina.
Senza dubbio la necessità di procedere alla pubblicazione del volume, sebbene come si è detto l’autore stesso ne riconosca l’incompletezza e l’esigenza di proseguire il cammino da lui indicato, è dovuta a limiti di età, e al timore di non essere in grado di concludere adeguatamente l’opera, ma vi è anche un motivo strutturale, in quanto a Cambiano preme particolarmente definire i dettami metodologici e indicare gli obiettivi da raggiungere, ciò da cui serve prendere le distanze. Inquadrare criticamente il tema dell’identità, stigmatizzare lo sfruttamento della riflessione filosofica a fini autocelebrativi, ribadire la distanza incolmabile esistente tra grecità, razionalità, Europa e Occidente, questo è il centro della riflessione portata avanti da Cambiano. Un tema di una attualità indiscutibile e che Cambiano voleva evidentemente connettere al dibattito in corso, oltre a dimostrarci – se ce ne fosse stato bisogno – quanto la riflessione filosofica di qualità deve stare lontana dalle luci del varietà.

“Quel che mi pare emergere da queste indagini è che la filosofia greca è stata nel corso dei secoli molte cose, non di rado dissonanti tra loro, come dissonanti erano state le filosofie in competizione che l’avevano originariamente caratterizzata: nessuna singola filosofia greca definitivamente seppellita, nessuna definitivamente trionfante. Questo ha consentito a popoli, culture e lingue diverse di assorbirla, senza che essa diventasse dominio esclusivo di qualcuno di loro, nonostante ricorrenti tentazioni nazionalistiche di rivendicare una parentela privilegiata con essa. Il concetto di identità è un concetto pericoloso: non di rado serve, ricorrendo anche all’ausilio di singole filosofie antiche, a negare l’altro e il diverso, a cui tuttavia è inestricabilmente legato. […] Gli sguardi sulla filosofia greca, capace di ospitare l’altro al suo interno, hanno non di rado imposto confronti, talora soltanto immaginari, con altre culture e altre forme di pensiero, soprattutto quando anche queste conoscevano linee alternative al loro interno, in particolare l’India e la Cina. In questo senso la filosofia greca continua a essere un cantiere aperto, come un cantiere aperto è ancora l’Europa, e, al limite, l’umanità intera, non più caratterizzata dai molteplici «noi» in conflitti esiziali tra loro, che continuano a infestarla, ma fatta di molte alterità coesistenti. […] La dimensione aperta e plurima della filosofia greca potrebbe allora riemergere dalla necessaria apertura di una Europa sulla via della costruzione di una sua identità accogliente entro una identità ben più ampia, contro la tesi dell’incommensurabilità tra culture”.

La dimensione aperta della filosofia
Questa lunga citazione merita di essere riportata integralmente proprio per il suo status di manifesto programmatico per una nuova filosofia. Questa, insieme a chi se ne farà portatore, tenterà di trovare in sé stessa quanto le è necessario, per assumere – platonicamente – il suo ruolo nella società civile e nella ricerca di una via condivisa per l’umanità intera. Qui Cambiano chiarisce nel modo migliore possibile la sua prospettiva, e a noi lettori appare chiaramente il compito che l’autore si prefigge con questo libro: un cambio di paradigma, la proiezione sul passato della critica all’ideologia totalizzante e razionalista che l’Occidente ha incarnato, al fine di riproporre le diverse forme che il pensiero ha assunto in un contesto non più hegeliano. Vedremo quindi nel tempo quanto quest’opera riuscirà a influenzare le nuove generazioni di studiosi, grazie anche alla forma che gli ha dato il suo autore, un excursus che percorre l’intera storia della filosofia, individuando momenti cardine per la costruzione (e la de-costruzione) della formula identitaria dell’Occidente. Dopo aver ricordato le dispute tra le diverse scuole del pensiero greco, soprattutto in relazione alle influenze e ai debiti provenienti dalle culture barbare (egiziani e indiani in primis, ma anche ebrei e caldei), Cambiano sposta la sua attenzione sull’epoca bizantina (legata al cristianesimo) e sul contemporaneo mondo islamico, che, molto più dei loro contemporanei europei si impossessò dell’eredità di Platone e Aristotele.

Platone, Socrate e Aristotele nella rivisitazione pop di Inowlas (DeviantArt).

Proseguendo negli anni, attraversando il medioevo, si giunse al tempo della rivoluzione scientifica. Anche in questo caso il nuovo paradigma, appropriandosi dell’idea di una ragione centro di ogni azione e comportamento, fece in modo di proiettarla sul passato, e sulla filosofia greca, costruendosi così un’origine gloriosa e antica. Non è questa però la sede adatta per ripercorrere le molte e diversificate reinterpretazioni che Cambiano ci offre di alcune figure centrali della nostra cultura, come quelle di Pico della Mirandola e Giambattista Vico, qui citati solo a titolo esemplificativo, e spostiamo così l’attenzione direttamente sulla sezione conclusiva di questo percorso, ove da un lato con Hegel si formula la definitiva invenzione dell’Europa, dell’occidente e della sua tradizione, dall’altro con Nietzsche si consuma la crisi di un modello che si scopre fittizio, figlio di una ideologia. In ogni caso, ciò che il percorso di Cambiano mostra, e dettagliatamente, è l’assenza di una forma costante e condivisa di rilettura del passato, e come nel corso dei secoli questa sia sempre dipesa dalle necessità politiche del momento e da ciò che la dottrina più in voga aveva bisogno di portare in risalto.

Filosofia e libertà
Durante l’illuminismo la connessione tra filosofia e libertà divenne un elemento cardine del dibattito. La filosofia avrebbe potuto svilupparsi solo in Grecia proprio perché questa fu contestualmente la patria delle libertà personali e politiche, in opposizione all’Oriente, dove il sapere era prerogativa di una casta sacerdotale. Contemporaneamente però la filosofia del tempo vedeva sé stessa come un superamento di quella greca, e quindi non mancò di evidenziare i limiti metodologici ed epistemologici, sottolineando come il sapere greco fosse stato dimenticato dalla storia, mentre l’unico sapere che non poteva essere messo in discussione, e quindi valido tout court, nasce dall’osservazione, ovvero dall’esperienza sensibile.
L’ambito che più di tutti gli altri poteva essere ancora di un certo valore per l’uomo moderno era quello etico. Lo stesso ordine di critiche fu rivolto dalla cultura settecentesca verso i nuovi mondi che sempre più prepotentemente entravano nel dibattito in corso tra gli studiosi. Ancora una volta, come già in passato, le scuole europee cercarono di piegare le informazioni derivanti da una sempre maggior conoscenza del mondo orientale alle proprie necessità identitarie, ricercando per le dottrine autoctone una origine autorevole. Fu però con Hegel che questo schema divenne un punto di non ritorno. Dal 1816 fino al 1831, anno della sua morte, nelle università di Jena, Heidelberg e infine a Berlino, dove insegnò, non ci fu nemmeno un anno accademico in cui mancò di sottolineare, scrive Cambiano, come “Al nome Grecia, l’uomo colto in Europa, soprattutto noi tedeschi, si sente a proprio agio come a casa propria”.

Glitch art: Platone visto da lkinPark.

L’identificazione della Grecia con l’Heimat, la casa di ogni tedesco, il focolare, era compiuta: “Se fosse concesso avere una Sensucht, una nostalgia – egli diceva – sarebbe per tale terra, per tale situazione”, prosegue Cambiano. Non si trattava più di più un singolo aspetto del sapere, come la razionalità, e nemmeno il legame tra filosofia e libertà politica, oppure il senso della bellezza, i fondamenti del metodo scientifico, la ricerca di una causa per l’essere del mondo, ognuno di questi è un segmento, un aspetto settoriale, valido ma parziale. Tutto ciò secondo Hegel nasce in Grecia perché il loro spirito (Geist) li aveva resi liberi, e questo spirito è il protagonista della riflessione filosofica, ciò che accumuna ogni altro aspetto dell’esperienza. Hegel può sentire di condividere la sua Heimat con il mondo greco perché ne condivide lo spirito, e quindi la filosofia. Precisa Cambiano:

“[…] Il nesso tra filosofia e libertà, che poteva anche spiegare perché la filosofia fosse sorta in un popolo determinato e si fosse limitata nel suo sviluppo a popoli particolari e a particolari periodi temporali. La libertà del pensiero è condizione necessaria per l’inizio della filosofia, intesa come un venire all’esistenza del pensiero affrancato dalla naturalità, capace di portare qualcosa all’universalità, e quindi ormai consapevole della sua libertà. Solo nel pensare, afferma Hegel, lo spirito è pienamente libero”.

L’ultima filosofia
Cambiano prosegue la parte conclusiva dell’opera dedicandola ai post-hegeliani, nel senso più ampio del termine, ovvero a coloro che non hanno potuto evitare di confrontarsi con la terminalità del pensiero del filosofo tedesco. Tra questi troviamo, tra gli altri, Feuerbach, Marx, Kierkegaard, Schopenhauer e infine Nietzsche. Quest’ultimo dedicò almeno la prima parte della sua attività proprio all’analisi della cultura greca e della sua ricezione nel nostro tempo. La critica nietzschiana, che affianca il tema del dionisiaco a quello dell’apollineo, è finalizzata a scollegare la grecità dalla razionalità, lasciando al logos lo spazio che gli spettava, ma non più la centralità assoluta di cui aveva goduto. La cultura greca, per Nietzsche molto superiore a quella sua contemporanea, che ne rappresentava la decadenza, sapeva fondere le due componenti dell’essere umano, dando a ognuna delle due il peso dovuto.

“[…] in Grecia il filosofo era incatenato dalla necessità a una vera civiltà, che noi non abbiamo più: tendeva infatti al «medesimo scopo» per il quale in quei secoli era sorta la tragedia, avendo di fronte «la vita in una rigogliosa compiutezza» senza dissidi tra desiderio di libertà, bellezza e impulso verso la verità”.

È chiaro che una visione della grecità costruita sull’estetica di Winckelmann non era compatibile con questo approccio. Ancora una volta dobbiamo sottolineare la necessità di condensare in poche righe interi tomi, e lo stesso dilemma deve affrontare Cambiano, che dedica al pensiero del filosofo uno spazio superiore a quello offerto a qualsiasi altro. Il volume, come si è visto, si apre con una sorta di intervento programmatico. La chiusa, alla luce del pensiero di Nietzsche, illumina il cammino che fin qui è stato percorso e pone indicazioni ulteriori circa il futuro:

“Insegnando l’eterno ritorno Nietzsche tornava la dove era partito, in una sorta di composizione ad anello, circolare come tale dottrina. In tutto l’arco della sua opera la riflessione era ritmata dal confronto con la filosofia dei Greci, attraverso annessioni ed esclusioni, con scomparse e riaffioramenti carsici, presentazioni paradigmatiche e condanne, le quali mostravano la sua capacità di mobilitare alternative presenti nel pensiero antico contro la decadenza del suo presente. In qualche modo egli compendiava la vicenda di millenni attraversata dalla filosofia greca, a conferma che essa non era un monolite, ma un territorio solcato da alternative. Se la filosofia greca era entrata a far parte dell’Europa, nella quale Nietzsche includeva chiaramente anche l’America, si trattava di una identità fatta di molteplici differenze. È forse questo il lascito più importante, l’introduzione della pluralità e delle differenze come costitutive di una identità capace di ospitarle, anche se contrastanti”.

Letture
  • Eric Hobsbawm, L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 1987.
  • Friedrich Nietzsche, La filosofia nell’epoca tragica dei Greci, Adelphi, Milano, 1991.