Colazione per campioni
della creatività: Buondì

Campagna Buondì Motta
Agenzia: Saatchi & Saatchi
Direttore creativo:
Agostino Fontana

Casa di produzione:
Filmmaster Productions

Regia: Ben Callner

Campagna Buondì Motta
Agenzia: Saatchi & Saatchi
Direttore creativo:
Agostino Fontana

Casa di produzione:
Filmmaster Productions

Regia: Ben Callner


Carosello ha rappresentato per vent’anni in Italia un mondo in bianco e nero in cui la pubblicità, come la vita, era gentile, sorridente, a suo modo onesta e felice. Una via alla promozione e allo spot creativa ma semplice, regolata da rigide e indissolubili regole.
Tutto sembrava splendere e non c’era nulla da conquistare, o da ottenere con eccessiva fatica: la réclame era una forma d’intrattenimento amata e rispettata, che forniva indicazioni precise sui comportamenti di consumo da adottare. Anche all’estero si vedeva alla pubblicità come a un mondo fatato e magico, fatto di famiglie sorridenti, di lussi, di amori indissolubili e di buoni sentimenti; pubblicità intesa come calore, fabbrica di desideri e, alle volte, d’ideali morali ed etici verso i quali tendere.
Con gli anni, tuttavia, questo rapporto si è andato incrinando, tanto che oggi, soprattutto le nuove generazioni, sembrano essere assuefatte a questo tipo di promotion “classica”, che non le conquista o affascina più.

Ormai “immunizzati” o distanti da alcuni linguaggi, i giovani non ne riconoscono significati e simboli, finendo per rendere il lavoro delle agenzie inutile e oneroso. Per non finire nel dimenticatoio delle tante idee uguali, nel flusso di mille detersivi usati da madri sorridenti o macchine guidate nel nulla da uomini sicuri ed eleganti, serve quindi un cambio di prospettiva, un salto che da anni negli altri paesi, soprattutto anglosassoni e del nord dell’Europa, è stato fatto e consolidato.
Puntare al sorprendente, all’inconsueto. Ironia, dissacrante e pungente, non sempre con una finalità promozionale riconoscibile in maniera limpida.

L’ironia e l’Oddvertising come risposta
A partire dagli Anni Novanta, il termine Oddvertising ha assunto un ruolo sempre più rilevante nel campo pubblicitario internazionale. Identifica quelle pubblicità o spot in cui non c’è una chiara esaltazione del prodotto commercializzato, ma bensì una forte ironia e cinismo, che possono coinvolgere anche l’oggetto del desiderio che dovrebbe essere promosso. Sono le gomme che non ti rendono più bella ma rendono più brutti gli altri, sono gli orologi che permettono agli amati di fare peti assieme, o, ancora, sono le assicurazioni che deridono chi non ha avuto l’intelligenza di stipulare una polizza con loro, prima di una inevitabile e tragicomica fine.
Rispetto alla pubblicità classica, ciò che cambia non è solo il tono, la cornice interpretativa, ma soprattutto il messaggio. Se il fine commerciale rimane evidente, non è altrettanto sicuro per i moderni pubblicitari che esso si possa raggiungere attraverso una pura e assoluta esaltazione del proprio prodotto: ciò che piace, intriga, sviluppa empatia nello spettatore è una vicenda più onesta, ironica, meno patinata, alle volte volutamente provocatoria e dissacrante. Ecco così i figli che trovano i genitori cinquantenni intenti a fare giochini sessuali nel nuovo salotto Ikea, o le bionde americane che, in onore al loro stereotipo di genere, non sanno distinguere un I-Pod rispetto a un test di gravidanza, finendo per festeggiare la nascita di due gemelli perché si accende un sensore.

La provocazione, l’uso irriverente del politicamente scorretto funzionano bene per veicolare un messaggio chiaro di coolness, che rimane nelle menti degli adolescenti e favorisce non solo il singolo prodotto ma la brand image in toto.
Programmi importanti della televisione americana come il Superbowl diventano così, negli spazi commerciali, terra di conquista dell’oddvertising, così come anche la pubblicità sociale scopre il potere dell’ironia, e non solo dell’allarmismo per le sue comunicazioni. Il Governo australiano, nel 2011, ha deciso, ad esempio, di far “divertire” un giovanotto con tre ragazze insanguinate: è l’unico modo, ci dice il claim, per “avere” tre “Bloody Mary” (cocktail che prende il nome da Maria la Sanguinaria) senza rischiare la vita al volante.

Il paradosso italia, famiglie felici che adottano gattini
E l’Italia? Schiacciata dal peso di una politica sempre troppo conservatrice in ambito commerciale e dal buon mito del vecchio Carosello, il panorama dell’advertising nazionale non ha saputo per anni allinearsi a quello degli altri paesi occidentali. Ha, anzi, ancor di più premuto su un mantenimento dello status quo, su situazioni e realtà consolidate piuttosto che sull’innovazione e il benchmarking.
Il buonismo è diventato manierismo, il familiare una prigione dalla quale sembra non esserci, se non in rari casi, una possibilità di uscita. Un universo simbolico di bambini sorridenti, di gattini da salvare, di donne bellissime ma inesperte della vita attende lo spettatore, sempre più annoiato e in fuga da modelli di vita tossici e distanti dalla sua quotidianità.
Le poche esperienze di oddvertising italiano, come le controverse campagne della Diesel, rimangono confinate a brand di respiro internazionale, che le usano per i loro prodotti in mercati esteri o su televisioni satellitari.
Nulla sembra essere cambiato dalla diva in bianco e nero che comprava il sapone Lux: oggi c’è il colore, forme e immagini più sinuose, ma rimane lo stesso inquietante vuoto dietro le bolle e la vasca piena di schiuma. La sensazione che madri e figli, tutti biondi, sempre in orario, fastidiosamente magri anche quando mangiano il fabbisogno energetico di un villaggio rurale in un unico pasto, siano degli alieni inviati a denunziare la nostra inadeguatezza è sempre forte, presente.
Esistono però dei tentativi, timidi ma sempre più decisi, di uscire da questa impasse. Aziende che promuovono una nuova immagine più moderna, ironica. Fra una polemica e l’altra, un tentativo di censura e critiche al limite del surreale, qualcosa si muove nella giusta direzione. Il mercato pubblicitario italiano si scopre non più gattino, non ancora leone, ma già lince.

La Motta rivoluziona la sua immagine: meteore per tutti
Nel 2017 Motta decide di cambiare la sua immagine tradizionale. Da fabbrica tradizionale e storica, con pubblicità classica per i suoi prodotti dolciari, a pioniera del politically uncorrect e dell’oddvertising italiano. Nascono così spot di successo assolutamente antitetici alla linea fino a quel momento seguita. Nipoti sbeffeggiate perché non amanti del Tartufone, i canditi trattati come dei poveri emarginati per i quali provare solidarietà. Nessuno si salva dall’ironia dissacrante della Motta, prodotti classici rivisti attraverso una nuova prospettiva.
Tuttavia, è soprattutto con la serie di spot per i Buondì che la Motta ottiene visibilità, critiche, vendite.
La trama. C’è una bella, insopportabile, bambina. Con il sorriso a trentasei denti (trentadue erano troppo pochi) più luminoso e finto possibile. Un incrocio fra Miss America e un politico abbronzato con la bandana in fronte. Ha fame, ma non di un semplice cornetto. Non vuole uno yogurt, una ciotola di cereali, del muesli. Vuole la perfetta colazione che sappia bilanciare gusto e leggerezza.

Parole non casuali, viste e riviste in mille altri spot, pubblicità, avvisi per le brave madri e casalinghe. La sua altrettanto perfetta e bella madre, però, non può soddisfare il suo desiderio. Ignara dell’esistenza dei Buondì, convinta del suo ruolo, scommette che se esistesse un tale prodigio, il Sacro Graal delle colazioni, lei lo avrebbe già portato sulla sua tavola. “Che mi colpisse un meteorite se esiste!”, dice spavalda. E un meteorite, lesto, la colpisce subito. La bambina ne esce un poco meno linda e sorridente, ma sempre alla ricerca della colazione perfetta. Cosa che costerà anche al papà, e poi a un ignaro postino, i medesimi danni. Fino alla pubblicità definitiva, uscita in questi giorni: tutta la terra, non avendo riconosciuto la soluzione nei Buondì, diventerà una landa disabitata.
Ironia, richiami a film e altri spot, un tono giocoso che esalta il proprio prodotto in maniera assolutamente inconsueta e insolita: le chiavi di una strategia comunicativa efficace risiedono sia nella differenziazione, sia nella consapevolezza che anche in Italia, soprattutto le nuove generazioni, hanno ormai ridotto gap e differenze culturali con i coetanei stranieri, omologando con essi gusti e forme espressive.
Puntare su un linguaggio riconosciuto e riconoscibile, già presente in molti prodotti di mainstream, può sembrare quasi avveniristico nella pubblicità italiana, ma è, invece, assolutamente consueto in altri settori del marketing e della cosiddetta industria culturale: cinema e tv, da qualche tempo, puntano su format e contenuti già provati e “testati” sul pubblico di altri Paesi, e così avviene anche per la produzione di beni e servizi.
Scardinare la classicità della pubblicità, quindi, dovrebbe essere naturale e in linea con il resto del mercato; diviene tuttavia una operazione ardua per i pionieri come la Motta, che devono contrastare un fronte eterogeneo di avversari, alle volte irrazionali nella loro critica e disapprovazione.

Critiche, incremento vendite e nuova brand image
Ogni trasformazione o innovazione porta con sé un complesso e caleidoscopico insieme di opinioni e giudizi. Se le vendite, infatti, hanno premiato questa audace strategia comunicativa e di marketing, l’opinione pubblica e il mondo pubblicitario italiano si sono divisi fra apocalittici e integrati, fra sostenitori della nuova via pubblicitaria e tradizionalisti. Molti esperti del settore hanno sottolineato la poca attenzione al prodotto, alle sue caratteristiche, alla promozione classica.

Altri, invece, ne hanno esaltato il carattere innovativo, internazionale, fresco.  Ancora più netta è stata la divisione sui social e nell’opinione pubblica virtuale: frattanto che molti compravano i Buondì postando la foto dell’acquisto, giocando sul fatto di essersi risparmiati un meteorite sulla testa, altri criticavano le scelte fatte e il messaggio diseducativo dello spot.
Secondo un’idea bizzarra, per la quale una pubblicità debba insegnare i valori e sostituirsi ad una agenzia di socializzazione, gli haters si sono scagliati di volta in volta contro una madre troppo fredda e distante, un padre assente, un postino impiccione, una bambina trascurata nelle sue necessità.
L’unico scampato alle critiche, per assurdo, è stato il meteorite in sé, mentre molti hanno puntato il dito contro l’esaltazione di un incidente violento a danni di una famiglia tradizionale. C’è anche chi ha sottolineato che ambientare lo spot in giardino, fuori da un contesto intimo, simboleggiasse l’allontanamento dalla tradizione e lo sposare culture estere dove l’aggregazione avviene fuori dalle mura domestiche. Molti altri, semplicemente, si sono fatti due risate e hanno pensato fosse stata realizzata una bella pubblicità.

In conclusione: puntare sulla creatività ed ironia servirebbe anche in Italia
Quello che colpisce, nell’esperienza della Motta, non è tanto il fatto che la sua campagna sia efficace, o che sia la migliore campagna possibile per promuovere i suoi prodotti dolciari. È il tentativo di porsi come innovativa rispetto a un mercato vecchio e attaccato ai suoi schemi e regole, che preferisce implodere piuttosto che aprirsi alle novità, alle trasformazioni.
In una cornice così poco attenta al cambiamento ogni esperienza, anche non sempre perfetta, di oddvertising o di marketing aggressivo diventa infatti più forte proprio perché si allontana dal resto dell’ambiente. Non essendoci un vero e proprio termine di paragone, o esperienze similari, ecco che l’innovatore, in questo caso Motta, riceve consensi e dissensi in quanto tale e non sulla sua reale efficacia; questo significa, in fondo, che al di là di un buon giudizio personale sulla campagna, ciò che funziona realmente è il presentare qualcosa di diverso, di non comune.
Ironia, creatività, alle volte eccesso e cinismo: linguaggi già presenti nella televisione e nel cinema che necessitano di un proprio spazio commerciale, e che i Buondì, con i loro asteroidi, hanno saputo conquistare e colonizzare per primi. In attesa di altri, forse altrettanto coraggiosi, che proveranno a rompere persistenti modelli di consumo. Magari per un sapone, un detersivo per pavimenti, un maglione che infeltrisce.