Cola blues incandescente
dalla musica di Carla Diratz

Carla Diratz & The Archers Of Sorrow
Blue Stitches
Formazione:
Carla Diratz (voce, tastiere),
Martin Archer (sassofoni, clarinetti,
tastiere, elettronica),
Charlotte Keeffe (tromba),
Nick Robinson (chitarra),
Adam Fairhall (organo, piano elettrico),
Dave Sturt (chitarra basso),
Adam Fairclough (batteria)
Discus Music 2024

Carla Diratz & The Archers Of Sorrow
Blue Stitches
Formazione:
Carla Diratz (voce, tastiere),
Martin Archer (sassofoni, clarinetti,
tastiere, elettronica),
Charlotte Keeffe (tromba),
Nick Robinson (chitarra),
Adam Fairhall (organo, piano elettrico),
Dave Sturt (chitarra basso),
Adam Fairclough (batteria)
Discus Music 2024


Per inquadrare il personaggio, l’artista, la performer Carla Diratz, è forse necessario fornire dei riferimenti musicali che pongono l’ascoltatore all’interno di territori distinguibili, approdi in parte sicuri, anche se di certo e immodificabile in questo caso c’è molto poco. Siamo dalle parti del Rock In Opposition (RIO), con qualche eco canterburiano, un certo sperimentalismo anni Settanta coniugato con propaggini post rock, lontane reminiscenze punk e atmosfere abrasive, improvvisate, oltre ad un vago sapore di Peter Hammill e i suoi Van Der Graaf Generator. In questo insieme di spezie si avventa la voce aspra, rauca, sanguigna, della cantante francese, artista certo poco conosciuta dal grande pubblico ma attiva da molti anni nel sottobosco sperimentale europeo e americano, al centro di svariati progetti musicali e che, a marzo di quest’anno, ha pubblicato il secondo disco con The Archers Of Sorrow, Blue Stitches, dopo l’esordio, nel 2021, con The Scale. Ma, si diceva, la Diratz è stata attiva in passato in diverse situazioni dalle valenze interessanti e con notevoli spunti di valore. Prima fra tutte la sua collaborazione con Dave Newhouse, membro fondatore dei Muffins e mente geniale al centro di musiche non convenzionali ma sempre affascinanti.

Le precedenti collaborazioni
Diratz, l’album pubblicato nel 2017 dalla New House Music, l’etichetta di Dave, è un documento sonoro prezioso, forse la cosa più vicina a Canterbury fatta dalla cantante francese, con atmosfere calde, delicate, struggenti ballad (Bataclan, in memoria delle vittime della strage del 13 novembre 2015), sommesse sperimentazioni e suite di stampo jazz rock. Il tutto attraversato da una voce così particolare da segnare in maniera indelebile tutto il disco. Disco che oltre a Newhouse vede la presenza del chitarrista Bret Hart, un vero battitore libero, tra field recordings e audaci esperimenti sonori, e, in qualità di ospite il chitarrista Mark Stanley, collaboratore storico dei Muffins e con il quale la Diratz pubblica, nel 2018, Double Dreaming, per la Gentle Chaos Music.  Un progetto variegato, forse meno efficace rispetto a quello con Newhouse ma che mostra la vibrante ed erosiva voce veleggiare sopra un mare di suoni effettati e ritmi elettronici, un terreno che talvolta ricorda certi suoni dark/new wave ma con un gusto particolare per la ricerca sonora e un solido richiamo a RIO.

Il duo è una formula che la cantante francese aveva già affrontato in passato, in particolare nel progetto con il bassista Corentin Coupe: The Electric Suite, album pubblicato solo in digitale su Bandcamp nel 2011, contiene una manciata di brani dal forte sapore post rock, distorti e allo stesso tempo minimali, solcati da un furore compresso, misurato e tenebroso. Di maggior fascino è l’altro duo con il chitarrista francese Pascal Vaucel, con il quale la Diratz autoproduce e pubblica (reperibile anche su bandcamp) nel 2019 pRéCis . AiMaNt, affresco sonoro variegato, tra un rock ricercato e contorto, movenze hard (Dharma Song), stralunati blues (Movoid Blues), lande rumoriste e una convincente, originale rilettura di Sea Song, gemma prelevata dal capolavoro dil Robert Wyatt, Rock Bottom. Proprio questa puntata verso i territori di Canterbury ci porta dritti alle più recenti collaborazioni della Diratz. The Eclectic Maybe Band è il progetto messo in piedi dal bassista degli Univers Zero Guy Segers, storica band belga tra i principali protagonisti della scena RIO, e responsabile di due ottimi album, il secondo dei quali, Reflection In A Moebius Ring Mirror, pubblicato dalla Discus nel 2019, vede la partecipazione di Carla Diratz, a fianco, fra gli altri, del solito Dave Newhouse, il trombettista Jean-Pierre Soarez degli Art Zoyd, il chitarrista Michel Deville, membro dei Wrong Project (gruppo di ascendenze canterburiane), Martin Archer, sassofonista e boss dell’etichetta Discus Music oltreché fondatore dell’Orchestra Of The Upper Atmosphere, usciti di recente con un nuovo eccellente album, Theta Six.

Una band spumeggiante
A differenza di ciò che accadeva negli Univers Zero, la Eclectic Maybe Band è meno compulsiva, claustrofobica, vincolata, e le fluide e liquide composizioni di Reflection In A Moebius Ring Mirror suonano come un particolare intreccio di jazz rock, psichedelia e un morbido prog appena dissimulato da suoni RIO. In questo stralunato e mutevole panorama la voce della Diratz risalta appieno nelle sue corde aspre venate da eccentricità temperate. Plana sulle composizioni incidendole in profondità, le accarezza con energia rovente, le plasma e ne viene conformata, connettendosi intimamente alla musica del gruppo ma allo stesso tempo risaltando nella sua unicità. La cantante sembra mostrare al meglio le sue doti in una situazione ampia, ricca di sonorità, idee, spunti, sensibilità differenti, come in effetti è la Eclectic Maybe Band. E probabilmente l’ottimo risultato ottenuto in questo lavoro sollecita la fervida mente di Martin Archer, con il quale la Diratz registra e pubblica, nonostante le difficoltà dovute alla situazione pandemica, The Scale, a nome Carla Diratz & The Archers Of Sorrow, nel 2021 sempre per la Discus Music.

La formazione, oltre a Martin Archer ai fiati, tastiere ed elettronica, e la Diratz alla voce, vede alle chitarre, tastiere e loop Nick Robinson (già in passato a fianco di Archer), al basso Dave Sturt (dal 2009 nei Gong e spesso in tour con Steve Hillage), alla tromba Charlotte Keeffe (una frequentatrice dell’area della libera improvvisazione londinese, con London Improvisers Orchestra, Paul Dunmall e Alex Ward), e alla batteria Adam Fairclough. Il disco è un piccolo gioiello che ricorda in parte proprio l’Orchestra Of The Upper Atmosphere. Il brano eponimo è come fosse il manifesto dell’intero lavoro, un tappeto ipnotico con scie di chitarre distorte, brevi riff di fiati a ricordare i Soft Machine, e la voce abrasiva, con un lontano sapore da chanteuse, che trafigge il brano. Stesse coordinate in I Am With You, con una ritmica più serrata, ancora echi Softs e la Diratz che delinea immaginifiche linee vocali, intrecciata nel finale a uno scuro sax baritono. Ma notevoli sono anche i brani più meditativi, sorta di aree improvvisate, come Le Sang Et Les Larmes – Etude 1, dove la voce rauca e allo stesso tempo smussata, improvvisa sorretta da un pianoforte delicato, colmo di spazi e silenzi. Da segnalare anche Merry-Go Round, con una tromba a caratterizzare un inizio libero per poi virare in un’atmosfera cupa, inquieta, basso distorto e i fiati che contrassegnano l’andamento regolare sul quale la voce è libera di declamare. Particolare è anche Dove Mi Hai Lasciata, un prog con riferimenti ad Hammill e ai Van Der Graaf Generator, cantata in un italiano turbato e malinconico. Dopo questo sommario excursus dell’attività musicale di Carla Diratz tutto lascerebbe pensare ad un nuovo lavoro più o meno sulle stesse coordinate fin qui adottate; einvece grande è la sorpresa all’interno di Blue Stitches, nuovo album sempre con la medesima formazione di The Scale (in aggiunta abbiamo il solo Adam Fairhall all’organo) e, ovviamente, pubblicato dalla Discus di Archer. Se il primo brano, Drops Of Remembrances, splendida raffigurazione di stampo canterburiano, mantiene intatte le aspettative e le premesse, dal secondo pezzo in poi l’intero disco è un appassionato viaggio a forti tinte blues, una straordinaria immersione nelle lande afroamericane reinterpretate con originalità e coinvolgimento.

Va detto subito: mai una voce così sporca, aspra, malinconica e rude come quella della Diratz avrebbe potuto essere più adatta a questo tipo di musica; tanto da farci dire, perché solo ora ci si è cimentati così tanto intensamente con le radici blues. Ma, per sgombrare subito il campo, trattandosi di musicisti e musiciste atte a sperimentare, reinterpretare, stravolgere e trasformare la materia sonora, il blues di Blue Stitches è quanto di più lontano possa esserci dalle consuete dodici battute, assoli di chitarra e i vari stilemi spesso adottati in maniera sterile da numerosi gruppi e/o progetti che si richiamano a questa musica. Si prenda ad esempio Consumed, secondo brano del disco: un magma sonoro distorto dove la consueta successione armonica I IV I V IV V IV I viene dilatata, lacerata, con la voce che graffia l’ascoltatore insieme a un’armonica che sussurra il respiro blues. “Il tempo ha consumato l’ombra dei miei passi”, canta la Diratz, e sembra di essere all’interno di un viaggio doloroso, dove la musica non concede né respiro né conforto. Recalling The Fear è un rock blues rallentato, organo e sax baritono che solo apparentemente svolgono le tipiche funzioni di accompagnamento, una lava incandescente che fornisce il tappeto armonico e le striate di chitarra elettrica a evocare un blues profondo, acido. Inner Island, inizio quasi in solitudine, con il battito di piede e voce e armonica a ricordare il Delta, è un piccolo affresco al cui interno si stagliano gli interventi della notevole tromba della Keeffe, a urbanizzare il brano.

Non mancano le atmosfere delicate e struggenti, come nell’anomala ballad The Void, una goccia di nuda verità nel testo della Diratz, o i rimandi al jazz fumoso dei locali anni Quaranta, in I’ll Be Gone, la West Coast sfigurata e senza più sogni di I’m A Drifter e il prog blues di Place I’ve Been. Un lavoro di altissima qualità nel quale ogni tassello è al posto giusto: le chitarre acide e psichedeliche di Nick Robinson, i fiati evocativi e penetranti di Martin Archer, la ritmica a volte ossessiva e a volte briosa ed elegante di Dave Sturt e Adam Fairclough, i tocchi gospel dell’organo e le sterzate jazzy del piano di Adam Fairhall, le libere folate della tromba di Charlotte Keeffe. Un mondo sonoro nel quale la particolare vocalità di Carla Diratz ed i suoi intensi e viscerali testi trovano il loro ambiente naturale dove poter ledere le note, trasfigurare il blues facendone riemergere l’autenticità, la vitalità di una musica veramente senza tempo. È un’operazione che ricorda uno dei maestri della reinterpretazione e reimmaginazione della forma musicale afroamericana per antonomasia, quel Captain Beefheart forse troppo poco valorizzato e seguito.
Blue Stitches conferma, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che il blues è una radice feconda, vitale, basta saperla trattare con intelligenza e originalità, evitando le pallide riletture così come le sterili riproposizioni. Certo, se poi si possiede una voce come quella di Carla Diratz, diventa tutto molto più semplice.

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