Uno scrittore, un regista
e un certo numero di vittime

Robert Sheckley
La settima vittima
Traduzione di Moira Egan, Damiano Abeni

Nottetempo, Roma, 2012
pp. 403, € 18,50

Elio Petri
La decima vittima
Cast principale:
Marcello Mastroianni, Ursula Andress,
Elsa Martinelli, Salvo Randone.
Distribuzione: CG Entertainment,
2008 (home video).

Robert Sheckley
La settima vittima
Traduzione di Moira Egan, Damiano Abeni

Nottetempo, Roma, 2012
pp. 403, € 18,50

Elio Petri
La decima vittima
Cast principale:
Marcello Mastroianni, Ursula Andress,
Elsa Martinelli, Salvo Randone.
Distribuzione: CG Entertainment,
2008 (home video).


La storia, o meglio, l’assunto di base che fa da trigger alla storia è assai noto. In un futuro prossimo, gli omicidi saranno non solo legali e teletrasmessi, ma finanche incoraggiati, con conseguenze addirittura insperate. Ci si può, in siffatta società, arruolare in un elenco di “Vittime” che fa da contraltare a un registro di “Cacciatori”, con tanto di sponsor e indotto economico (e lavorativo), premi e carriera, per partecipare a The Big Hunt, La Grande Caccia, come fossimo in un reality show ante litteram. Tutto alla luce del sole e nella perfetta legalità. Le ricadute a livello societario sono addirittura incoraggianti: con questa sorta di canalizzazione legale della violenza si sono eliminate le guerre, in una sfoglia di mondo che data la situazione del nostro reale sembrerebbe quasi da invidiare.
Il newyorkese Robert Sheckley (1928-2005) pubblica The Seventh Victim nel 1953 sulla rivista Galaxy, una storia di un pugno di pagine che ebbe un successo non solo letterario ma intramediale notevole. A partire da un adattamento, dallo stesso titolo, per la radio di soli quattro anni dopo. Del 1965 è poi lo straordinario film di produzione italo-francese La decima vittima, del nostro regista più politicamente consapevole del periodo, il più volte sottovalutato Elio Petri. Da non dimenticare, poi, in questa rapida ma necessaria carrellata, la novelization del film a firma dello stesso Sheckley dell’anno successivo sulla scorta del successo del film, cui seguiranno poi altri due sequel nei tardi anni Ottanta.
L’idea seminale di Sheckley ha continuato a germogliare nel terreno fertile dell’immaginario occidentale così colpito dall’emozione culturale della bomba. Si pensi almeno al romanzo di Koushun Takami, poi diventato un manga di straordinario successo, Battle Royale, e alla serie di film, dal grande successo anch’essi, The Hunger Games. Sheckley scriveva all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, un evento che ha cambiato per sempre il nostro modo di concepire il mondo, a partire da una cifra di violenza che assume contorni di sterminio globale. Per semplificare: da un lato la Shoah, dall’altro la Bomba.

Il film di Petri, vale la pena dirlo subito, ha un’ironia e un livello umoristico piuttosto nero, in verità, che nel racconto di Sheckley sono quasi del tutto assenti. Si pensi ad esempio ai claim pubblicitari, che puntellano in modo assai interessante il film: “Contro il pericolo di guerre di massa, iscrivetevi alla Grande Caccia. Solo la Grande Caccia può darvi un senso di sicurezza”; “Perché controllare le nascite quando possiamo controllare i decessi?”; “Suicidi, nella Grande Caccia c’è posto anche per voi”. Ma ritorniamo per un attimo a Sheckley. In diversi suoi racconti, lo scrittore americano cerca di mettere a fuoco le pulsioni violente della nostra società e il modo in cui questa cerca di canalizzarle.
Ne è corollario poi la contrapposizione tra individuo e massa, che più che sbeffeggiare il modello totalitario sovietico sembrerebbe farsi gioco delle contraddizioni del sistema consumistico americano. In questo senso Petri e i suoi collaboratori pigiano il pedale della critica non solo di alcuni degli stereotipi americani, primo fra tutti l’omologazione e la spettacolarizzazione a tutti i costi, ma anche quelli di noi italiani. Tra le scene migliori, in questo senso, del film non posiamo non ricordare quella dei cosiddetti “tramontisti”. Marcello arrotonda le sue entrate imbastendo uno spettacolo dove guida, come un novello profeta, una folla di donne e uomini invitandoli a godere di un tramonto visto dal vivo in riva al mare. Una setta dal sapore neo-zen che cerca, nel recupero delle emozioni vere, grazie a un ritorno alla natura, un controbilanciamento all’estrema mediatizzazione del mondo. A protestare però ci pensano i gruppi quasi sovversivi, con tanto di lancio di pomodori, dei neo-realisti definiti volgari, furibondi per cotanta idiozia. Una scena geniale, e precorritrice anch’essa di tempi e sensibilità, leggasi lo sciocchezzaio dei nostri media, più vicine al nostro oggi.

Protagonisti della nostra storia sono l’indolente Marcello Poletti, interpretato da un grandissimo Mastroianni, che partecipa alla caccia per noia, e per cavarne qualche soldo, anche se, nonostante questo atteggiamento, riveste comunque il ruolo di star internazionale, con tanto di interviste e copertura mediatica alla quale si sottopone con un certo fastidio; e Caroline Meredith, interpretata dalla bellissima Ursula Andress, che è invece animata da uno spirito battagliero e competitivo di ben altra natura. Caroline è vicinissima ad aggiudicarsi il titolo finale che le procurerebbe ulteriore fama e un milione di dollari, cifra non da poco oggi figuriamoci allora, dovendo uccidere, da cacciatrice, la sua ultima vittima, la decima, e non si fermerà davanti a nulla. È lei infatti la cacciatrice, a differenza di quanto avviene nel racconto di Sheckley, dove i ruoli sono invertiti. E questo è già di per sé un dato di fatto non da poco.
A un certo punto del film l’americana Caroline si trova a casa della ex moglie di Marcello con lo stesso latin lover e per puro caso scopre i suoi vecchi genitori nascosti dietro una parete che cela un mini appartamento. Notata la presenza di Caroline, i due non sanno se essere preoccupati o invitarla a bere un caffè. Un indignato Marcello interviene: “Dovevo immaginarlo che eri una spia del Centro raccolta vecchi!”. Bella idea, verrebbe da chiosare, magari da applicare oggi in un paese a crescita zero. “Ma che se ne fa dei suoi genitori?! Io non la capisco”, ribatte una Caroline che viene da una cultura chiaramente diversa. E infatti aggiunge: “Perché non li ha ancora consegnati allo Stato?”. “In Italia siamo per la famiglia patriarcale, non li consegna quasi nessuno. Li teniamo nascosti”, ribatte indignato Marcello. E poi c’è il colpo di genio premonitore della nostra società: “Spesso li trucchiamo anche da giovani”.

Ora ritorniamo indietro, alla scena iniziale del film. È Caroline che vediamo nella prima sequenza, questa volta nei panni della Vittima che si far beffe del suo Cacciatore a Manhattan, nel cuore di New York. Il Cacciatore che insegue Caroline, oltre ad avere una pessima mira e non riuscire in nessun modo a colpirla, e da subito viene squadernata una certa dose di risate, viene fermato da un poliziotto che lo lascia andare subito dopo aver controllato le sue credenziali di regolare partecipante alla Grande Caccia. Così inizia il film, su un filo, da subito, di grande ironia, sottolineata, è importante dirlo, anche dagli accattivanti motivetti jazzy composti da Piero Piccioni e interpretati da Mina, sul finale dei titoli di coda. La scena è inframezzata da un presentatore che (ci) spiega le regole e il significato della Grande Caccia.
Il racconto di Sheckley si sofferma invece sui dettagli del lavoro del protagonista maschile Stanton Frelaine e della sua nuova caccia. Per ribadire subito di che pasta è fatto invece il film, la prima sequenza si sposta da Lower Manhattan a un disco pub dal nome che è tutto un programma: Club Masoch. Qui re-incontriamo il nostro presentatore che dà il via a uno spettacolo dal lieve gusto sadomaso con protagonista Meredith, che schiaffeggia gli avventori di sesso maschile e non viene riconosciuta dal suo assalitore. Prima indossava infatti una parrucca bruna, ora è nascosta da una maschera e da un bikini piuttosto succinto. Meredith fa fuori il nostro sprovveduto Cacciatore usando una mise altamente sexy e che cela una pistola nascosta all’interno di uno striminzito reggiseno. Ironia e erotismo sono insomma le chiavi di lettura privilegiate da Petri. Dove invece nel racconto di Sheckley se la prima era assai lieve, il secondo manca del tutto.

Lo scrittore infatti punta il pedale sui sentimenti, e sull’innamoramento del protagonista maschile, Stanton Frelaine, nei confronti di Janet-Marie Patzig, la sua vittima. “Io ti amo”, le dice Stanton nelle battute finali. La donna riesce ad illudere il Cacciatore al punto da fargli abbassare le difese e sul finale del racconto lo uccide, dopo avergli detto invece che lei non lo ama affatto. E come potrebbe?
La lunga sequenza finale del film è invece assai diversa. Marcello e Meredith temporeggiano e cercano di uccidersi vicendevolmente. Temporeggia che temporeggia nasce però forse un’attrazione. Anche se qui l’ambiguità del film e della sua magistrale scrittura (Tonino Guerra ed Ennio Flaiano, innanzitutto) fanno propendere per un’altra ipotesi: è tutto un gioco (di inganni), e una farsa. Critica alla società dei mass media, si diceva, ma non solo. Sottoposti a una certa critica sono anche i costumi, e allora la questione è forse un’altra e riguarda il rapporto tra i due protagonisti, intesi come confronto del maschile e del femminile.
Braccato da Caroline, o appunto meglio dal registro del femminile, in una sorta di triade formata da Carolina, dalla ex moglie (che lo ha appena depredato del premio della sua ultima caccia) e dall’attuale amante (desiderosa di essere la futura moglie), che cosa fa il nostro latin lover? Sprezza, almeno a parole, la società patriarcale, ma alla fine ne è vittima e deve cedere al suo costume per eccellenza, il matrimonio. Il maschile e il femminile si fronteggiano in questa danza finale di morte, al punto da disorientare lo spettatore che non è più sicuro di sapere cosa stia succedendo. Caroline ottiene davvero quello che vuole, costringendo l’uomo che stava per uccidere a sposarlo? E dal punto di vista di Marcello: sono le donne a cadergli ai piedi o è lui a lasciarsi abbindolare come l’ultimo degli allocchi? Alla fine, nessuno si salva, questo è forse l’intento satirico del film.

Con questo lavoro, Petri usa consapevolmente le forme della pop art, del cinema e dei mass media per mettere in discussione, con grande ironia, la nostra società, qualche anno prima dei suoi capolavori assoluti. Violenza e morte sono diventate puro intrattenimento, ci dice Petri, e la sofferenza dell’altro può essere sfruttata per motivi finanziari sia da aziende scafate, come The Ming Tea Company che sponsorizza, o cerca di sponsorizzare l’uccisione di Marcello da parte di Meredith, e anche il contrario, nella girandola di morte (o presunta tale) della lunga sequenza finale. Ma soprattutto la desensibilizzazione nei confronti della morte e dell’assassinio s’è radicata nell’immaginario collettivo di questa sfoglia di mondo.
A riguardarlo oggi, La decima vittima emerge davvero come un film in netto anticipo sui suoi tempi, e la sua evidente critica sociale viene smorzata e resa poco o nulla stucchevole grazie all’impianto ironico e satirico complessivo. Un film figlio degli anni Sessanta, certo, ma con un preciso sguardo rivolto al futuro.