Una polifonia
per Emil Cioran

(a cura di) Fabrizio Meroi,
Mattia Luigi Pozzi e Paolo Vanini

Cioran e l’occidente.
Utopia, esilio, caduta
Mimesis, Milano-Udine, 2017

pp. 260, € 24.00

(a cura di) Fabrizio Meroi,
Mattia Luigi Pozzi e Paolo Vanini

Cioran e l’occidente.
Utopia, esilio, caduta
Mimesis, Milano-Udine, 2017

pp. 260, € 24.00


Il volume Cioran e l’occidente edito da Mimesis, già protagonista di alcune preziose sortite nei meandri dell’opera più recondita di Emil Cioran, offre uno spaccato sul pensiero, meravigliosamente frammentario e contrario a qualunque tentazione sistematizzante, del filosofo di Rășinari e prende le mosse dal convegno tenutosi nelle giornate del 16 e 17 aprile 2015 presso il Dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento. L’opera, caratterizzata da un’affascinante polifonicità, è suddivisa in due sezioni, cui va aggiunta una succosa appendice incentrata sui rapporti, sempre intensissimi, di Cioran con la musica a testimonianza del concerto tenuto dall’Ebony Duo che ha magistralmente concluso la due giorni.
La prima parte, dal titolo La storia come fatalità, si apre con il contributo di Aurélien Demars, membro del Comitato Scientifico del Convegno, incardinato, in estrema sintesi, sulle diverse declinazioni della parola “fine” nell’opera del pensatore transilvano. Se si volesse estrarre un passaggio emblematico dal saggio di Demars, la scelta ricadrebbe su “toute histoire est eschatologique” (tutta la storia è escatologica) in quanto per Cioran “le lieu de la fin se situe dans l’origine” (il luogo della fine si situa nell’origine).
Il secondo saggio, opera di Mihaela Stănişor, anche lei membro del Comitato Scientifico è, come il precedente, redatto in lingua francese, e contiene la fulminante formula “d’une éviscération spectaculaire… à une décomposition lucide” (da una eviscerazione spettacolare… a una decomposizione lucida) con la quale la filosofa rumena riassume mirabilmente la metamorfosi cui va incontro Cioran nel suo passaggio dal sanguigno idioma materno a quello francese algido e distaccato.
Amelia Natalia Bulboaca, nel terzo articolo, sostiene invece che “il Cioran francese deve tutto al Cioran rumeno”, enfatizzando quindi la congruenza della Weltanschauung cioraniana piuttosto che porre in risalto le linee di frattura, una posizione che la studiosa impernia sull’insistenza di un’antropologia tragica e anti-umanistica quale fil rouge della sua intera produzione.
A seguire il saggio di Antonio Di Gennaro nel quale il ricercatore napoletano, autentico agitatore editoriale quanto alla ricerca e alla pubblicazione di materiale nascosto di Cioran, si sofferma su quella che lo stesso filosofo rumeno chiama “svolta della disperazione” mediante la quale egli abbandona gli entusiasmi giovanili circa la storia “di fronte all’inenarrabile catastrofe e alle rovinose macerie” da essa prodotte.
Lo psicanalista Giovanni Rotiroti, già autore nel 2005 del volume edito da Rubbettino Il demone della lucidità. Il «caso» Cioran tra psicanalisi e filosofia, firma il quinto saggio della prima parte. In esso traccia un’analisi comparata delle posizioni di Cioran e di Gherasim Luca circa le ideologie totalitarie caratterizzanti il Novecento che entrambi, su sponde politiche opposte, hanno accarezzato e che li hanno posti in un’aspra disputa da cui Cioran s’è sottratto rinnegando recisamente il suo nazionalismo giovanile.
Chiudono la prima parte i contributi di due dei tre curatori del volume. Nel primo di essi Mattia Luigi Pozzi mette in evidenza le ascendenze della filosofia di Max Stirner sulla visione della storia dell’autore rumeno, in particolare, contrariamente a quanto si potrebbe di primo acchito pensare, riguardo alla sua produzione francese. Il ricercatore della Cattolica di Milano utilizza come base d’appoggio del suo punto di vista una dispensa giovanile redatta da Cioran durante il suo primo anno all’Università di Bucarest dal titolo Max Stirner e l’individualismo anarchico, tuttora inedita in Italia, oltre a vari altri luoghi dell’opera cioraniana.

Nel secondo Fabrizio Meroi, docente di Storia della filosofia presso l’Università ospitante il convegno e suo responsabile scientifico al pari di Paolo Vanini, ci illustra le affinità tra Cioran e Oswald Spengler, tra tutte “la centralità della nozione di destino”, e tra Cioran e Arnold J. Toynbee (secondo entrambi, per esempio, il declino dell’Impero romano viene preso a modello della decadenza dell’Occidente). Il filosofo friulano mette sotto la propria lente inoltre anche l’opposizione radicale del pensatore rumeno rispetto a pensatori quali Albert Camus e María Zambrano.
L’esordio della seconda parte, intitolata Un equivoco metafisico, è affidato al saggio di Bruno Pinchard, terzo membro del Comitato Scientifico, Une autre Roumanie. Dialogue avec Cioran (Un’altra Romania. Dialogo con Cioran) che presenta un’interessante digressione musicale, dal quale, tuttavia, Cioran sembra restare ai margini. Denso di citazioni il successivo articolo di Silvano Zucal. Il commercio di Cioran con tematiche gnostiche porta il rumeno ad approdare a quella che Zucal definisce “gnosi atea” esprimentesi nell’attacco senza quartiere alla nascita, nella consequenziale valutazione ferocemente negativa della procreazione e nella speciale repulsione per la carne paragonata da Cioran, ne Il funesto demiurgo, a una cancrena.
In La domanda metafisica secondo Cioran di Ionut Marius Chelariu la parola-chiave è “malessere” interpretato come autentico motore dell’attività di Cioran che, in Un apolide metafisico, scrive infatti “il malessere costituisce la prima tappa della riflessione filosofica” (Cioran, 2004). Chelariu ci propone una gustosa ed emblematica serie di citazioni da lui stesso tradotte da Singurătate şi destin (Solitudine e destino) disgraziatamente ancora inedito in Italia.
Terzo e ultimo curatore ad apparire sulla scena è Paolo Vanini che nel suo Cioran, Saturno e la Repubblica dei futili si propone di “esaminare il rapporto tra letteratura utopica e riflessione metafisica nel pensiero di Cioran, per evidenziare in che senso la futilità rappresenti un modo d’essere orientato al distacco e al disimpegno”. Se utopia e futilità appaiono inconciliabili, ci avverte Vanini, forse può invece risultare sensato “parlare di un’utopia dei futili”, questi ultimi essendo coloro che, superstiti della “catastrofe definitiva”, si possono finalmente dedicare a “corsi di oblio e di disapprendimento in cui si celebreranno le virtù dell’inattenzione e le delizie dell’amnesia” come Cioran stesso dichiara in Squartamento (cfr. Cioran, 1981).

Le affinità elettive con William Basinski
Il penultimo saggio ci viene proposto dalla studiosa canadese Sara Danièle Bélanger-Michaud (Università di Toronto) in cui si decanta la frammentarietà dello stile cioraniano che farebbe afferire il pensatore transilvano più al “letterario” che al “filosofico” con il benefico effetto collaterale di evitargli la caduta nel logocentrismo violento criticato già negli anni Settanta da Jacques Derrida e che diventa veicolo di una filosofia della storia che Bélanger-Michaud chiama “eschatologie de la chute” (escatologia della caduta). Estremamente stimolante il parallelismo che viene proposto tra la “écriture comme enregistrement de la chute du temps ou de l’histoire” (scrittura come registrazione della caduta dal tempo e dalla storia) in Cioran, l’approccio sonoro del compositore statunitense William Basinski, con particolare riferimento all’opera The disintegration loops nella quale “la musique emerge dans sa mort même” (la musica emerge dalla sua stessa morte) e l’opera di Antoine Volodine i cui scritti sono popolati da “anges mineurs” (angeli minori) cui l’autrice fa riferimento nel titolo del suo contributo.
Conclude la serie degli ottimi saggi, prima di un’appendice ancora curata da Paolo Vanini sui rapporti per molti versi decisivi tra Cioran e la musica (“l’assoluto colto nel tempo” stando ai Sillogismi dell’amarezza), Massimo Carloni, altro vero stimolatore della penetrazione del pensiero del rumeno in Italia. Il ricercatore marchigiano, nel suo Il riso liberatore di Cioran, ci illustra il progressivo “raffreddamento” del riso cioraniano (in perfetta analogia con la stessa deriva esistenziale cui fa riferimento Mihaela Stănişor nel suo articolo) che gradualmente passa da una connotazione “impura, nevrotica, contratta” ad una tendente a mettere in luce il montante scetticismo dell’autore di Rășinari. Il riso cioraniano diviene “rivelazione sulla visione del mondo” e, al medesimo tempo, strumento per la liberazione dal “fardello tragico dell’Io”.
In conclusione, è pure da ricordare la complice cordialità dell’ambiente (chi scrive è stato presente alle giornate trentine) e il legame che l’opera del rumeno è capace di instaurare tra persone che mai, o di rado, s’erano incontrate in precedenza. Molti sono i meriti di Cioran. La creazione di tali legami e di tali relazioni interpersonali non va annoverata tra le meno significative.

Ascolti
  • William Basinski, The Disintegrations Loops, Temporary Residence, 2012.
Letture
  • Emil Cioran, Squartamento, Adelphi, Milano, 1981.
  • Emil Cioran, Sillogismi dell’amarezza, Adelphi, Milano, 1993.
  • Emil Cioran, Un apolide metafisico, Adelphi, Milano, 2004.