Un Lich per conquistare
un mondo sintetico

Kugane Maruyama
Overlord
Sviluppo e distribuzione (online):
Yamato Animations, Youtube, 2015–

Kugane Maruyama
Overlord
Sviluppo e distribuzione (online):
Yamato Animations, Youtube, 2015–


Il filone della narrativa relativa al mondo degli MMORPG (Massively Multiplayer Online Role-Playing Game) ha travalicato negli ultimi dieci anni l’universo cartaceo delle light novel per approdare in quello degli anime. In principio fu Sword art online, una serie scritta da Reki Kawahara e illustrata da abec per l’etichetta editoriale Dengeki Bunko dal 10 aprile 2009 in poi, molto esplicativa sul tema, che ha permesso di ragionare con occhio nuovo sulla eventuale immersione in una realtà di gioco virtuale.
Molti emuli si sono succeduti nel tempo ma con Overlord, ora arrivato alla terza stagione sul canale youtube di Yamato Animation, si ottiene qualcosa di diverso. Si inizia con il consueto canovaccio del genere e in questo caso in particolare quando Yggdrasil, il gioco MMORPG in realtà virtuale più popolare dell’epoca sta per chiudere i battenti e con esso anche i vari giocatori devono abbandonare i loro amati personaggi. Tra questi spicca Momonga, alias Suzuki Satoru, a capo di una gilda tra le più potenti con sede nella virtuale Grande Catacomba di Nazarick, ormai abbandonata dai suoi affiliati per sviluppare la propria vita sociale all’esterno di quel mondo. Momonga tuttavia decide di rimanere e attendere con ritualistico fatalismo il collasso dei server a mezzanotte, ma qualcosa va storto. Alle 24:01 si ritrova ancora seduto sul suo trono, i comandi di interfaccia non rispondono e gli NPC, fino a pochi momenti prima appendice muta della volontà del giocatore, acquisiscono coscienza propria.

Da prigioniero a carceriere (?)
Momonga, spaesato, in questo momento incarna l’ignorante digitale, ma soprattutto l’immigrato digitale (cfr. Giuseppe Riva, 2014) che non riesce a capire l’accaduto, non riesce a contattare nessuno, è solo con la sua coscienza rimediata, è solo in questo universo di dati, in un complesso di sua creazione ma deterritorializzato, uno spazio ludico che parrebbe mostrarsi come prigione, in maniera non dissimile a quanto mostrato nell’episodio U.s.s. Callister della serie Black Mirror, ma che ben presto si dispiega fino a divenire baluardo per la conquista della propria identità.
Infatti Momonga, ribattezzatosi Ainz Ool Gown, non è più un semplice giapponese in cerca di divertimento, non più lo stacanovista blasé archetipo del Giapponese nevrotico, ora è il signore assoluto della gilda, circondato da servitori fedeli, instancabili, che lo venerano in quanto entità creatrice che non li ha abbandonati, e dunque degno di assoluta fiducia e dedizione apodittica. Già dai primi passi si può notare come l’anime si discosti enormemente da altre serie del suo genere: spariscono le barre della vita dei personaggi, indice che il mondo non sia propriamente lo stesso del videogioco e che finisce invece per prefigurarsi come un’altra dimensione a tutti gli effetti, autonoma, autosufficiente e viva nelle sue dinamiche. Il protagonista inoltre non è il classico eroe che deve compiere imprese per crescere, al contrario, è già al massimo delle sue potenzialità, ma diversamente da Saitama l’eroe apatico della serie One Punch-Man, trovandosi in un mondo altro ha nuove regole con cui fare i conti, nuove pericolose interazioni che potrebbero mettere dei seri dubbi sulle sue reali potenzialità, come avviene già verso la fine della prima stagione e ancor più nella seconda.

Il protagonista Ainz Ool gown in veste di Overlord della grande catacomba di Nazarick.

Lich Lord
Ainz-sama, l’appellativo nipponico utilizzato dai suoi servitori, è un protagonista atipico e segue la natura del suo avatar prima e nuovo essere poi, un lich. Il termine lich deriva dalla parola in inglese antico līc, cadavere, ed è entrata nel vocabolario del fantasy moderno con diverse accezioni specifiche, tutte riferibili a qualche forma di creatura non-morta dotata di poteri magici legati comunque alla necromanzia e alle arti oscure.
È interessante notare come non sia una figura legata a contesti positivi o comunque una figura accostabile per semplice associazione visuale al concetto di bene, e non è un caso.
Il processo di de-umanizzazione che subisce Momonga dal momento nel suo ingresso in questa realtà priva di uscita è lento e inesorabile, come il nostro in determinate situazioni di razionalizzazione e/o di violazioni del proprio universo simbolico (cfr. Dario Antiseri, 2005) che passa quasi in sordina e diventa collimante con la natura originaria del suo avatar.
Questi, scelto per affiliazione, estro, o comunque per simpatia per quella tipologia di personaggio, uccideva, mutilava, torturava, incantava, ma ora è lui il suo avatar. Durante i primi episodi della serie Suzuki opera un ragionamento interiore costante nel momento in cui compie delle azioni che nel mondo umano sarebbero da considerarsi atroci, ma col tempo si rende conto di non provare più nulla verso questa tipologia di situazioni macabre e decide di abbandonarvisi, obliando di fatto parte della propria coscienza (cfr. Hannah Arendt, 2010).
Lo strumento narrativo del lich implica anche una riflessione sullo stato di fine vita: il lich è padrone della morte, ma in questo caso si presenta come avatar, come estroflessione digitale confusa di un sé di carne, spogliato (in tutti i sensi) di ogni barlume di umanità. Morte simulata in questo caso è morte realizzata, ma è anche morte controllata e morte giocata. La dimensione beffarda del non-morto in questione, che anche senza le sue macumbe ci ricorda la paura della morte, raggiunge livelli estremi: è difatti l’antieroe che machiavellicamente ed egoisticamente cerca di sopravvivere in un mondo oscuro, di cui sa poco e nulla, attraverso complotti, rituali, invasioni. Lo scopo di Ainz è la conquista del mondo per scovare qualche altro giocatore intrappolato come lui (ci par di capire dalle sue stesse riflessioni) ma la realtà è un’altra. È la conquista di una soggettività persa che coscientemente abbandona il suo ultimo involucro di carne per concretizzarsi e mostrarsi nella sua parte più obbrobriosa, lo scheletro bianco, che torna come monito oltre che come signore dei non-umani della gilda. Il bianco della rinascita, simboleggiato nella muta del serpente bianco nella cultura orientale (cfr. Santarato), trova un nuovo spazio mostruoso in Overlord che ci ricorda oltre le potenzialità assurde dei mondi virtuali di giocare con la morte anche di essere terreno per la rinascita (anche orrenda) di nuove forme identitarie.

Letture
  • Dario Antiseri, Ragioni della razionalità. Vol. 2: Interpretazioni storiografiche, Rubbettino, Catanzaro, 2005.
  • Hannah Arendt, La banalità del male, Feltrinelli, Milano, 2010.
  • Giuseppe Riva, Nativi Digitali. Crescere e apprendere nel mondo dei nuovi media, il Mulino, Bologna, 2014.
  • Enrico Santarato, Serpente, simbolisignificato.it