Schermi infranti
e cuori digitali pulsanti

Marc Augé
Cuori allo schermo
Vincere la solitudine
dell’uomo digitale
Traduzione di Anna Maria Foli

Piemme, Milano, 2018
pp. 168, € 16,50

Marc Augé
Cuori allo schermo
Vincere la solitudine
dell’uomo digitale
Traduzione di Anna Maria Foli

Piemme, Milano, 2018
pp. 168, € 16,50


Il mondo intero parrebbe essere diventato un nonluogo per l’antropologo ed etnologo Marc Augé, che considera il tempo planetario come in perpetua accelerazione ma che nei vissuti si traduce in un paradossale hic et nunc che condannerebbe l’umanità a una ostentazione superficiale e a un oblio immediato. Arrivato oramai in una fase di assoluta solitudine esistenziale e relazionale, l’uomo cerca il senso del suo essere nel mondo con le proprie forze, facendo i conti con i suoi limiti. Il risultato di questa ricerca spasmodica culmina, secondo l’autore francese, in una accettazione volontaria delle illusioni proposte dal web, che si pongono come fascinose e dolci violenze della ragione e della corporeità umana.
Nell’ultima pubblicazione italiana che lo riguarda, Cuori allo schermo – Vincere la solitudine dell’uomo digitale, un dialogo che intrattiene con Raphaël Bessis, dell’Université Paris Nanterre (nell’edizione originale il libro è attribuito a quest’ultimo), Augé sostiene che l’unica difesa a questo neo-pauperismo dell’umano divenire parrebbe essere la presa di coscienza di sé, nonché la lettura critica della società dell’immagine, il passaggio dallo sguardo apatico allo sguardo critico.

(Cyber) Antropologia Critica
Non proprio una prospettiva rosea per l’etnologo del metrò (cfr. Augé, 2017) che nei riguardi della contemporaneità opera una riflessione a tratti truce che, tuttavia, riesce a smuovere il senso critico del lettore. Egli pone innanzitutto una riflessione sul ruolo dell’etnologo e la funzione dell’antropologia per comprendere i fenomeni contemporanei, ricordando come gli studiosi siano condannati a una sorta di strabismo, cioè a osservare i fenomeni e le culture dall’esterno verso l’interno e viceversa, cercando di essere sia empatici che distaccati, insomma, perseguitori dell’utopia del ricercatore, nota fin dai tempi di Lewis H. Morgan ed Edward B. Taylor (cfr. Fabietti, 2015). Ciò che risulta essere importante, secondo l’autore, è lo studio delle relazioni all’interno dei processi di attribuzione di senso, cioè le modalità con cui rappresentiamo attraverso l’uso dei simboli.

La scultura digitale In motion di Adam Martinakis.

Nei contesti contemporanei tuttavia si riscontrano deficit relazionali che scompensano questi percorsi di senso, poiché sempre più spesso siamo di fronte ai nostri limiti, cioè gli altri, che risultano essere sia portatori di novità che di antropomorfi stigmi sociali (cfr. Goffman, 1983).
I confini si scavalcano, si annullano, si vìolano, provocando reazioni spesso violente: non si capisce più chi colonizza chi poiché viviamo costantemente in un contesto multiforme di deculturazione e acculturazione, che si formalizza in una mondializzazione confusionaria (cfr. Augé, 1995).

Immaginario senza futuro
Ciò che caratterizza la contemporaneità, secondo l’autore, è la scelta quasi obbligata degli individui a forme cosmologiche portatili come le scommesse, le corse e i campionati di calcio, nonché forme diversificate alternative ai classici sistemi religiosi, che danno l’illusione di un avvenire. Non soltanto un sentimento di appartenenza collettiva dunque ma anche la soddisfazione intima e personale di un io oramai abituato all’introflessione, al nichilismo identitario dato da una solitudine mascherata, ingannata.
Essendo l’individuo artefice del proprio definirsi non sorprende allora la riflessione dell’autore sulla nuova figura del profeta che, nei contesti digitali in particolare, diventa un Giano educatore, un agente mediano che socializza i colonizzati e rassicura i colonizzatori, rendendosi in tal maniera figura limite e artefice di sincretismi.

Fantasmi dello schermo
L’immagine per Augé sostituisce la persona in quanto produce contemporaneamente due effetti:

“[…] fa fermare, in quanto stupisce e non ha significato, perché annichilisce le procedure di elaborazione del senso che costruiscono l’identità nella relazione. Essa ha in sè stessa il suo proprio significato […]” (Augé, 2018).

L’immagine si è così radicata nel nostro mondo intelligibile che oggi essere significa essere un’immagine, chi è oggetto di desiderio vale di più di chi desidera: ne consegue che la creazione di un immaginario specifico risulta molto più complesso per via di questa sovrabbondanza di figurazioni, ma soprattutto diventa difficile strutturare lo stesso io che diventa come un fantasma, esattamente come le alterità immaginifiche con cui esso si relaziona. Le forme comunicative che contemplano l’uso dell’occhio posseggono un forte carattere commemorativo, riescono cioè a rientrare più facilmente nella memoria degli individui. Ciononostante proprio la riduzione di ogni elemento della realtà a immagine consente un’eccessiva manipolazione, facendo paradossalmente perdere proprio questo carattere mnemonico, optando piuttosto per una disseminazione comunicativa che finisce per mutare le percezioni, le essenze e le identità.

Light Party di Adam Martinakis.

L’utilizzo e l’identificazione assolutamente non evitabili delle immagini come forme di esistenza e di codificazione delle alterità portano a una riconfigurazione della nozione di tempo, che diventa esteso nei contesti globali, altresì un luogo in cui si vive contemporaneamente il qui e ora, la velocità e l’oblio. Per Augé è necessaria una nuova consapevolezza che vada oltre il passivo e superficiale definirsi nel consumo delle immagini, che passa per un altro tipo di memoria che è possibile riscontrare nella percezione del limite come segnale di demarcazione dei confini simbolici e nel riconoscimento dell’altro come complesso finito e significante di sensazioni e di cultura.

Letture
  • Marc Augé, Rencontre avec Marc Augé, in Sciences Humaines, n. 47, febbraio 1995.
  • Marc Augé, Un etnologo nel metrò, Elèuthera, Milano, 2017.
  • Marc Augé, Nonluoghi, Elèuthera, Milano, 2018.
  • Ugo Fabietti, Storia dell’Antropologia, Zanichelli, Bologna, 2015.
  • Erving Goffman, Stigma. L’identità negata, Giuffrè, Milano, 1983.