Osservati dalla Luna:
uno sguardo perturbante

Il video Moon-CCTV di Matias Guerra
è stato proiettato in prima nazionale nell’ambito del festival Luna50 –
Eventi per il 50° anniversario
dello sbarco sulla Luna
(Pisa 4 – 20 luglio 2019).

In questa versione è stato presentato con interventi musicali
dal vivo dell’autore alla Rassegna
di Piane di Bronzo (Tuscania)
il 14 agosto scorso
(foto sopra di Zeno Tentella).

Il video Moon-CCTV di Matias Guerra
è stato proiettato in prima nazionale nell’ambito del festival Luna50 –
Eventi per il 50° anniversario
dello sbarco sulla Luna
(Pisa 4 – 20 luglio 2019).

In questa versione è stato presentato con interventi musicali
dal vivo dell’autore alla Rassegna
di Piane di Bronzo (Tuscania)
il 14 agosto scorso
(foto sopra di Zeno Tentella).


All’interno di una sorta di Festival che si è tenuto a Pisa, dal 4 al 20 luglio 2019, a cura dell’Università e con la collaborazione del Comune e di altri Enti del territorio, abbiamo parlato della Luna cercando di intrecciare linguaggi e discipline di studio diversi. La Luna dei poeti e dei filosofi è stata messa in dialogo con quella degli scienziati, degli storici dell’arte e dei musicisti nell’intento di ottenerne un’immagine più sfaccettata e complessa. È all’interno di questa rassegna che è stato proiettato in prima nazionale il video MOON-CCTV (2019, 30’) di Matias Guerra (sul quale abbiamo già pubblicato una riflessione di Sandra Lischi, ndr).
Si tratta di un video i cui soli linguaggi sono quello delle immagini in movimento e della musica, in questo caso elettronica, ma privo di parole e nel quale l’esperienza familiare del nostro guardare la Luna è rovesciata in un paradossale opposto del trasformarci, noi terrestri, in oggetto inconsapevole del suo sguardo.
Cinquanta anni fa siamo allunati e da lassù abbiamo guardato la Terra. Abbiamo portato via pietre da quel suolo a lungo fantasticato nei secoli, per studiarle. In quello stesso suolo abbiamo piantato una bandiera e abbiamo continuato da giù a guardare la Luna con i telescopi, sempre più precisi e potenti. Non di meno abbiamo continuato anche a sognarla come non l’avessimo mai violata e a guardarla da lontano, a occhi nudi, confidandole tormenti e felicità.
Guardiamo la Luna nelle notti chiare. Alziamo verso di lei lo sguardo nelle ore solitarie che scandiscono il nostro muto interrogarci sul destino, su amori inattingibili, su segni e alfabeti che ci sembra di non sapere più decifrare. La guardiamo anche quando sentiamo di poterci lasciare andare a una felicità che ci pare impossibile capiti proprio a noi. La guardiamo poi quando abbiamo bisogno di staccarci dalle catene dei nostri desideri più cogenti per mettere tra la loro realizzazione e il qui e ora tutta la distanza possibile.

Guardiamo la Luna e cerchiamo risposte alle nostre domande e alla nostra inquietudine. Interrogandoci sul senso ci concentriamo sul silenzio tutto attorno e ci pare che la notte e tutte le stelle che la ricamano tolgano intensità drammatica ai nostri problemi quotidiani. Preoccupazioni, conflitti, dissidi e ostacoli che ci parevano insormontabili si fanno improvvisamente piccoli di fronte all’immensa cupola del cielo e al lucore lunare che trasfigura tutte le cose ammantandole di sé.
È nella notte che ci smarriamo. Chiudiamo gli occhi, allentiamo la tensione delle membra, ci adagiamo, lasciamo che le immagini del giorno appena finito si disperdano da qualche parte insieme alla luce incoraggiante del sole, e che al loro posto se ne insedino altre sfuggenti, enigmatiche, analogiche e giustapposte piuttosto che connesse le une alle altre.
È sempre nella notte però che cerchiamo disperati di ritrovarci dopo esserci smarriti; è nella notte che combattiamo persino il richiamo istintuale del sonno, quando siamo preda di un grande dolore, di una delusione o della morte di una speranza. Non riusciamo a dormire, ci pare di non avere più alcuna certezza e capita di alzare gli occhi al cielo, non per cercare chissà quale divinità benevola o malevola, ma per allontanarli dalla Terra che ci incatena alla gravità. A volte la vediamo lassù, la Luna, la sentiamo così lontana e così vicina che ci fa rabbia quella sua indifferenza algida, quel suo ruotarci intorno nella propria orbita e sparire e riapparire di notte in notte.

Nel video MOON-CCTV di Matias Guerra, l’occhio che guarda non è più il nostro che si posa sulla Luna, ma quello di lei che si volge verso di noi, e la Terra le appare come compresa nel buco di un enorme telescopio che si staglia nel nero dello schermo. Questo rotondo sguardo della Luna però non sembra legato ad alcun sentimento e nemmeno a emozioni o stati d’animo. È uno sguardo descrittivo a distanza che serba il potere di togliere o donare significato all’esistenza; anche perché non si tratta forse di un solo occhio, di un solo telescopio o di un solo sguardo. La sensazione è quella di molteplici occhi telescopici che dalla Luna inquadrano a caso situazioni, persone ed esperienze diverse. Unico elemento unificante è la musica, che sembra svolgere il ruolo di una sorta di basso continuo, una specie di base sulla quale appoggiarsi nella vertigine che si impadronisce di noi quando attraverso lo sguardo della Luna, moltiplicato per cento, per mille possibili occhi, ci accorgiamo sgomenti che non ci sono nessi tra persone, esperienze, volontà, desideri e paure a meno che noi non decidiamo di crearli. Prendiamo allora consapevolezza della nostra responsabilità nel generare legami possibili o nell’ignorarli, nel dotare di senso le esperienze o nel subirle passivamente.

Ogni frammento di realtà catturato all’interno del cerchio occhiuto vive di vita propria e i terrestri sembrano esprimersi in un vigoroso quanto inutile agitarsi, ora camminando in fretta tra la gente, ora avvitandosi sui propri passi, ora restando immobili a guardarsi attorno quasi ruotando su sé stessi, come in certi movimenti stereotipati e afinalistici che connotano la condizione di follia.
I terrestri che attirano lo sguardo della Luna vanno per lo più di fretta, presi dall’ansia di piccole faccende da sbrigare. La distanza dello sguardo lunare ci mostra dunque mentre ci agitiamo, perfettamente ignari di essere visti e in maniera inconcludente ma non dissimile dall’animale altro che ogni tanto finisce nel cerchio visivo, dopo essere stato selezionato tra i meno capaci di generare tenerezza negli esseri umani. Ecco che l’occhio della Luna si posa sul coleottero a pancia in su che agita inutilmente le zampe, e sul serpente arrotolato su se stesso che mantiene un’immobilità statuaria simile a quella della morte, non fosse per il suo occhio vivido, puntuto e vigile che ci fissa. Comprendere lo sguardo della Luna significa allora essere disponibili a uscire da noi stessi e a guardarsi dal di fuori, impietosamente, forse senza più riconoscersi.
È una Luna perturbante quella di Matias Guerra, che sentiamo tanto più lontana quanto più ne avvertiamo la presenza.

Il perturbante infatti è il familiare che non ci sembra più tale, che non riconosciamo come nostro, che è uguale a sé stesso e diverso da sé stesso nello stesso tempo. È il volto di una persona a cui siamo legati sul quale cogliamo improvvisa un’espressione come di odio o di malvagità, o un guizzo nello sguardo che lo rende all’improvviso torbido e inaffidabile. Il perturbante è la deformazione di oggetti, volti e paesaggi che definisce la dimensione onirica. È la trasfigurazione di un frammento di realtà operata attraverso una foto o un dipinto che la rendono uguale ed estranea a sé stessa. È il nostro sogno che ci è impossibile comprendere e persino raccontare a noi stessi, privo com’è di nessi logici, ed è il nostro passato, a cui possiamo attingere solo con gli occhi attuali e non più con quelli di quando era vita vissuta, carne e lacrime, sudore e tremiti.
Il perturbante è anche la paradossale compresenza di due volti opposti di una medesima esperienza, è il non riconoscere sé stessi allo specchio, come capita nei momenti di transizione del ciclo di vita, durante importanti trasformazioni psicofisiche e fisiologiche, quali quelle dell’adolescenza. Il perturbante è la compresenza della luce del giorno e della notte, o anche il rovesciamento del punto di vista, come accade in certi dipinti surrealisti; quando René Magritte ci mostra una stanza nell’improbabile visione che se ne potrebbe avere da fuori o oggetti opachi sovrapposti ma dipinti come fossero trasparenti.

Guardarci tramite l’occhio della Luna, nel video di Matias Guerra, è un po’ come guardarci attraverso ciò che ci accade nel sogno, che ci appartiene e non ci appartiene nello stesso tempo. Il sogno è infatti qualcosa che noi stessi creiamo attraverso gli elementi della realtà, ma togliendo loro il senso consueto, deformandoli o cambiandone il contesto. Ed è così che ci sentiamo guardando il video e lasciando affiorare le emozioni potenti che stimola: protagonisti ed estranei rispetto alla nostra stessa immagine riflessa nell’occhio multiplo della Luna.

Letture 
  • Sigmund Freud, Il perturbante, in Opere complete, Bollati Boringhieri, Torino, 2013.
  • Maria Antonella Galanti, Smarrimenti del Sé. Educazione e perdita tra normalità e patologia, ETS, Pisa, 2012.