Note sull’estasi metodica
di Jean-Loup Charvet

Jean-Loup Charvet
L’eloquenza delle lacrime
Traduzione di Annamaria Carenzi

Medusa edizioni, Milano, 2021
pp. 132, € 16,00

Jean-Loup Charvet
Il canto degli angeli
e la voce delle passioni
Traduzioni di Maria Elisabetta Craveri,

Anna Maria Brogi, Riccardo De Benedetti
Edizioni Medusa, Milano, 2021
pp. 106, € 13,00

Jean-Loup Charvet
L’eloquenza delle lacrime
Traduzione di Annamaria Carenzi

Medusa edizioni, Milano, 2021
pp. 132, € 16,00

Jean-Loup Charvet
Il canto degli angeli
e la voce delle passioni
Traduzioni di Maria Elisabetta Craveri,

Anna Maria Brogi, Riccardo De Benedetti
Edizioni Medusa, Milano, 2021
pp. 106, € 13,00


Nel 1974, Philip K. Dick dedica uno dei suoi romanzi più riusciti a un musicista inglese, cantante e liutista, vissuto nella seconda metà del XVI secolo, John Dowland. Il romanzo si intitolava Flow my Tears, the Policeman Said, e Dick in diverse occasioni ha affermato che si trattava del suo musicista preferito. La sua composizione più nota si intitola, per l’appunto, Flow my Tears, e lo scrittore appose come esergo al romanzo la prima strofa della canzone.

Flow, my tears, fall from your springs,
Exiled forever, let me mourn
Where night’s black bird her sad infamy sings,
There let me live forlorn”.

John Dowland è un compositore molto noto, almeno nell’ambito della musica rinascimentale e barocca, e sono innumerevoli le influenze che, nel corso del tempo, si riscontrano a partire dalle sue opere. Flow my Tears: Larmes Baroques è il titolo dell’unico album pubblicato da Jean-Loup Charvet e dal suo ensemble di musica barocca, chiamato Les Passions de L’âme, anch’esso chiaramente dedicato a Dowland e alla sua canzone, e da lui ispirato. Malato di tumore al cervello, Jean-Loup Charvet morì nel 1998 a soli trentasette anni, e ha guidato il suo gruppo fino a pochi giorni prima della precoce scomparsa. Era simultaneamente intellettuale e artista, uomo estremamente erudito e colto, legato a un modello di cultura interdisciplinare, radicalmente antitetico all’idea stessa di specializzazione. I suoi scritti contengono una vasta gamma di riferimenti e collegamenti, propri di un sapere grazie al quale poteva sperimentare, congiungere, unire e dividere, immergersi e sorvolare, ma mai accettare un limite.
Storico dell’arte, musicologo e contraltista dedicò la sua breve vita, almeno quella artistica, a un tema che, come pochi altri, accomuna ogni uomo, in quanto tutti esposti alle passioni dell’anima, ovvero la “storia delle lacrime”.

“Si può scrivere una storia delle lacrime? La lacrima dice proprio ciò che non si racconta, ciò che più non si racconta, ciò che ancora non si dice. In una eloquenza silenziosa, la lacrima si enuncia scomparendo, sorridendo. La forma pronominale: la lacrima non scorre, essa s’insinua. Non si impara nulla piangendo; piangere non ha niente a che vedere con l’acquisizione di un sapere. Piangere è prima di tutto distinguere, distinguere il proprio corpo dalla propria anima, in questa distinzione così stranamente e ostinatamente solidali. Le vere lacrime non si spiegano. Sotto il loro peso la nostra ragione deve solamente cedere. E la nostra intelligenza limitarsi ad ammirarle. Rispettando la loro nobile e indomabile autonomia. Le lacrime si rivelano ciò che nell’uomo tace, sono le parole del silenzio”.

Queste parole sono l’incipit de L’eloquenza delle lacrime, il saggio incompiuto a cui Charvet ha dedicato la vita. Dopo questa dichiarazione di intenti mirabilmente riunita in tre frasi il testo procede cercando legami, sciogliendo nodi e aprendo percorsi di rara raffinatezza. Oggi l’editore Medusa ha ripubblicato il corpus delle poche e brevi opere dell’artista francese. Nel volume appena citato, rispetto alla precedente edizione, pubblicata una prima volta nel 2001, a ridosso della precoce scomparsa, è stato aggiunto un importante saggio: Le Lacrime nell’epoca barocca, un paradosso eloquente. Inoltre, nella ristampa di un secondo volumetto intitolato Il canto degli angeli e la voce delle passioni, sono stati riuniti i testi e gli articoli scritti nei pochi anni che ha vissuto, e apparsi principalmente in riviste di settore, o in luoghi in un certo qual modo predestinati ad accogliere certi pensieri, come per esempio tra gli allegati ai programmi dei concerti. Di fatto probabilmente si tratta dell’opera omnia di questo geniale studioso. È un corpus di dimensioni modeste, ma dotato di grande profondità e spessore, di un’acutissima capacità di creare ponti tra elementi apparentemente diversi tra loro.

Nicolas Tournier, Le concert (1630 – 1635).

Si veda, ad esempio, il saggio Contralti e castrati: la voce degli angeli, la voce del cuore, dove a partire da una questione di carattere squisitamente musicale, ovvero l’utilizzo dei castrati come cantanti, vengono portate alla luce le questioni sottostanti di carattere morale ed etico, ma anche quelle – impensabili, a uno sguardo non approfondito – di ordine politico ed economico. Vi si citano Jean Jacques Rousseu, Marin Mersenne, Pierre Corneille, Jean Racine e la cosiddetta Querelle des Bouffons, avvenuta tra gli artisti italiani e quelli francesi proprio a proposito dell’uso dei castrati nelle rappresentazioni, ed evidenziando come, tra le altre cose, vi fossero sottese motivazioni ben più radicate rispetto ai semplici gusti dei diversi ambienti.

Il dono delle lacrime
Quello che emerge in questo saggio, come in altri analoghi, è lo sforzo intrapreso da Charvet per comprendere il Barocco e la sua peculiarità in quanto quel luogo dello spirito in cui le passioni avevano ritrovato quella centralità forse perduta nel meccanicismo cartesiano. Non è un caso se Charvet definisce la sua una “estasi metodica”, contrapponendola proprio al “dubbio metodico” proprio del filosofo francese. La sua scrittura è una sorta di avvicinamento progressivo, attraverso una sempre maggior astrazione, e se da un lato in un altro testo della medesima collettanea, La voce ha le sue ragioni che la ragione non conosce, comincia dicendo che “il Barocco non è sottomesso alle passioni, le governa, e l’esecutore ne serba la padronanza”, continua poi, riferendosi alle voci dei castrati e dei contralti, annotando che era “come se quelle voci parlassero di un altrove che è forse il discorso del Barocco”, per abbozzare infine una sorta di definizione, concludendo che “il Barocco è forse questo: il desiderio di vivere nel doppio per meglio raggiungere l’uno, di partecipare al molteplice per accedere all’unità”.
Il Barocco è per lui il tempo dell’eloquenza, e l’intero pensiero di Charvet è concentrato sul tentativo di comprenderne l’essenza, il suo mistero a tutt’oggi non svelato, ma il Barocco è anche il tempo delle lacrime, l’epoca che, per prima dopo la Grecia omerica, ha accettato la retorica divina, l’eloquenza discreta, il tenero linguaggio, ovvero le caratteristiche, i modi propri delle lacrime, e di ciò che ci dicono.

“Le vere lacrime si offrono. O, più precisamente, si ricevono. Sono l’ultima cosa che si ha il diritto di sprecare, perché non è possibile procurarsele. Essendo la cosa più preziosa al mondo, si offrono, o piuttosto vengono offerte. Si parla del dono delle lacrime”.

Questo passo offre lo spunto per un ulteriore – dopo Philip Dick – imprevedibile cortocircuito con il mondo della science fiction. Nel mondo desertico di Arrakis, il pianeta dove si svolge il romanzo di Frank Herbert Dune, ogni forma di umidità è talmente preziosa da essere trattata come il più raro dei gioielli, e la più rilevante delle forme di riconoscimento è appunto il dono delle lacrime. Ciò accade quando la forza della passione è tale da superare ogni titubanza, e le lacrime sgorgano, indipendentemente dalla volontà e dalla ragione, come fosse il segnale di un ordine superiore, proveniente da un luogo in cui le anime si incontrano, e si riconoscono come affini. Le lacrime non sono di questo mondo.

Charvet, nel suo approccio universale e poliedrico, avrebbe potuto far suo questo parallelo, senza dubbio forzato, ma assolutamente in linea con il suo spirito, che difatti non si esime dall’affrontare anche tematiche che esulano ampiamente dal mondo seicentesco in cui si costruiscono il testo e l’esposizione, come ad esempio il pensiero e l’immagine di due filosofi antichi quali Democrito ed Eraclito, di cui si discute lo spirito con cui affrontavano le tempeste dell’esistenza, l’uno sotto l’ombrello di un fittizio benessere, di una allegria sprezzante e cinica, il secondo costantemente lacerato dal dolore per la coscienza della condizione umana.

L’estasi metodica
È perciò apparentemente inevitabile, seppur sotto una velata disposizione individuale e soggettiva, lo sfociare di questa sua digressione nella considerazione del ruolo dei mistici e della religione. Il pianto del Cristo sul Getsemani diventa modello per chi insegue la fede. Proprio questa sovrumanità della lacrima, questo suo non essere terrena, ma ascesa, trasla l’indagine stessa, a cui è collegata l’essenza del Barocco, fuori dall’antropocentrismo, nel mondo dell’ornamento, dell’immagine e della seduzione, in un mondo androgino dove il canto è elevazione al divino e immersione nel mondo, dove i corpi si fondono, così come il naturale e l’artificiale. Il raffinato intellettuale forse non si sarebbe identificato, ma mai furono più calzanti le ultime celeberrime parole pronunciate in Blade Runner dall’androide Roy Batty: “All those moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die”. Charvet in ogni caso, seppur proteso verso modelli di astrazione alternativi, si mantiene sempre nel ruolo dello studioso, e sebbene vi sia in lui una profonda comprensione ed empatia verso i mistici seicenteschi, il suo rimane lo sguardo del filologo incentrato sul testo, sull’oggetto, che si pone al centro dell’indagine. La sua conclusione, pur nella coscienza dell’incompiutezza del testo, è perciò emblematica:

“Pascal non professa la fede, la piange. Solo le lacrime possiedono questa intelligenza del cuore per testimoniare l’estasi mistica. Tu non mi piangeresti, se tu non mi avessi trovato”.

In conclusione, si tratta di due volumi brevi ma estremamente densi, diretti a molte differenti categorie di studiosi, grazie alla loro interdisciplinarità, e Jean-Loup Charvet merita un posto di assoluto rilievo tra gli studiosi di quel tempo mai abbastanza analizzato che fu il Barocco.

Ascolti
  • Jean-Loup Charvet, Les Passions de l’Âme, Flow my tears, Larmes baroques, Astrée/Auvidis, 1997.
  • Jean-Loup Charvet, Ensemble Gruppo strumentale, La Réjouissance, Arie e sinfonie del signor Hændel, Mandala, 1999.