Lacan e il reale della sua vita

Catherine Millot
Vita con Lacan
Raffaello Cortina, Milano, 2017

pp. 112, € 12,00

Alex Pagliardini,
Il sintomo di Lacan
Galaad, Giulianova, 2017
pp.  384, € 16,00

Catherine Millot
Vita con Lacan
Raffaello Cortina, Milano, 2017

pp. 112, € 12,00

Alex Pagliardini,
Il sintomo di Lacan
Galaad, Giulianova, 2017
pp.  384, € 16,00


Chi era davvero Jacques Lacan? Qual è stato il suo contributo alla teoria psicoanalitica? E cosa rappresenta oggi per il dibattito non solo analitico ma più latamente intellettuale (se questo aggettivo ha ancora un senso) l’insegnamento lacaniano? Diciamolo con chiarezza: non apparteniamo né alla parrocchia degli agiografi, né a quella di chi si fa beffe del pensiero di un autore che costa, questo sì, molta fatica leggere e studiare. Lacan, psichiatra e psicoanalista, classe 1901, insieme a Jean-Paul Sartre, Maurice Merleau-Ponty, Claude Lévi-Strauss, Émile Benveniste (via Ferdinand de Saussure), e poi a Gilles Deleuze, Michele Foucault e Félix Guattari, per citare i più noti ovviamente, appartiene a una generazione di fervore intellettuale unico, per quell’epoca e non solo.Il suo approccio al pensiero psicoanalitico, a cui si deve il più importante ritorno allo studio e al rilancio di Sigmund Freud, fa rizoma con altri campi del sapere, facendo saltare in aria le divisioni a compartimenti stagni che sempre di meno hanno senso in quelle che in Francia si definiscono “sciences de l’homme”: dall’antropologia alla linguistica, alla filosofia certo, ma anche alla matematica e alla biologia. E se Lacan ha sempre ribadito di non essere un maître a penser ma uno psicoanalista, vero è che il suo pensiero e la sua opera ci aiutano ad affrontare le domande che hanno maggiormente senso nell’epoca in cui ci è toccato vivere. Per questo motivo ci interessa la sua opera.

L’agire del filosofo e quello dell’uomo
Una di queste domande riguarda il reale, come ha ben argomentato ne Il secolo (2005) un epigono eccezionale di quella stagione, Alain Badiou. E il reale non è solo uno dei registri, insieme al simbolico e all’immaginario, dell’impianto teoretico complessivo lacaniano, ma è a detta dello stesso psicoanalista francese il vero unico concetto che egli abbia “inventato”. E basterebbe questo per annoverarlo nella schiera dei filosofi: come dicono Deleuze e Guattari in Che cos’è la filosofia? (1991), infatti, il filosofo è per definizione un creatore di concetti, così come l’artista è un creatore di percetti e affetti e lo scienziato di prospetti, ovvero di proposizioni e funzioni.
Sul reale lacaniano si sofferma in un impegnativo e interessantissimo studio, anche per i non addetti ai lavori, lo psicoanalista Alex Pagliardini: Il sintomo di Lacan. Dieci incontri con il reale. Il libro è articolato in appunto dieci saggi interdipendenti su questo delicatissimo tema, messi in risonanza con concetti come il trauma e l’angoscia ma soprattutto con l’inizio e la fine dell’analisi.  La pratica analitica può, e se sì a quali condizioni, toccare il reale? E qual è la posizione dell’analista al cospetto di questa domanda capitale? Sono queste le due questioni di fondo che Pagliardini scandaglia nel suo lavoro.
La citazione, di Lacan ovviamente, posta in esergo al lavoro di Pagliardini, “occorrerebbe che si avesse nell’analisi il sentimento di un rischio assoluto”, non la si può che porre in risonanza con uno degli elementi centrali del libro memoir di Catherine Millot, Vita con Lacan, e cioè la passione per la velocità, da quella automobilistica agli scii, passando per tutto quello che è sinonimo di folle spericolatezza. Millot ha condiviso l’ultimo tratto della vita di e con Lacan, per circa un decennio, e lo ha fatto in qualità di amante e compagna, ma prima di allieva e analizzante. Nel suo libro descrive il desiderio di Lacan come qualcosa di inarrestabile allo stato puro, una forza della natura a cui non si può resistere. Velocità e determinazione. Non si fermava davanti a niente, Lacan, tranne quando, come gli era capitato più di una volta, riconosceva un incontro proprio con il reale. Come quando veniva puntualmente fermato ai metal detector degli aeroporti mentre portava con sé, a partire da un’aggressione subita in casa, un tirapugni. In quelle circostanze diventava calmo e la sua proverbiale impazienza si attutiva di colpo. “Se nessun divieto, nessun limite convenzionale lo faceva deviare dal suo cammino, sapeva tuttavia riconoscere il reale che gli sbarrava la strada”, sottolinea Millot. O si prenda a paradigma questo ricordo:

“Agli inizi del ’78, o forse era già il ’79, mentre ero dalla mia amica Marie a Ibiza per una settimana di vacanza, ricevetti una telefonata di Gloria [segretaria del nostro, nda] che mi diceva che Lacan aveva avuto un incidente mentre andava a Guitrancourt [dove Lacan aveva una casa di campagna, nda], accompagnato da Soury [matematico suo amico, con cui Lacan lavorò alle sue idee topologiche, nda]. Aveva mancato l’uscita dell’autostrada che aveva tentato di riprendere all’ultimo momento con una sterzata e si era incastrato nel guardrail. Ne uscì indenne, Soury se la cavò con un bernoccolo, la Mercedes, una bella cabriolet bianca, fu da rottamare. Lacan non si ricomprò più la macchina e smise di guidare. Il guardrail faceva parte di quel reale davanti al quale si inchinava”.

E senz’altro un altro incontro con il reale Lacan lo ha avuto alla morte dell’amatissima figlia.

Ricerca interminabile, fallimento dopo fallimento
Davanti al reale non si può che fallire. Eppure bisogna continuare. È non a caso, infatti, che Pagliardini ponga ad apertura di diversi capitoli (come quello iniziale, “Sul trauma”) citazioni da uno degli autori che ha più lavorato su questo concetto, a partire dal trauma della Seconda guerra mondiale: Samuel Beckett. Si pensi non solo alla straordinaria Peggio tutta, terza anta della cosiddetta seconda Trilogia, Nohow On: “Tutto solito. Nient’altro mai. Mai tentato. Mai fallito. Fa niente. Tentare di nuovo. Fallire di nuovo. Fallire meglio” (Beckett, 2008), ma anche alla splendida Qual è la parola, di fatto la sua ultima opera: “Smania – / smania di – / di – / qual è la parola” (ibidem). In punto di morte, Beckett ancora componeva e si chiedeva quale fosse l’estrema parola da cercare, quale fosse il senso o quantomeno, o quantopiù, se ci è concesso di giocare con le parole, quale fosse in significante estremo… Questa “smania” per il significante estremo e definitivo non è simile a quella che accompagna l’ultimo Lacan alle prese, fino alla sua estrema fine, con i nodi borromei? Le ultime pagine del libro di Millot sono illuminanti al riguardo. Un libro, Vita con Lacan, sia detto per inciso, in cui trasuda amore da ogni pagina. L’amore qui, come nota Massimo Recalcati nell’introduzione, costituisce il vero motore primo dell’impresa, non si è ribaltato in odio e tradimento come accade a tanti allievi di illustri maestri, ma è rimasto un sentimento immutato e di propulsione positiva.

Philippe Sollers, amico sia di Catherine Millot che di Lacan, ha insistito per anni affinché Millot scrivesse questi ricordi. Lo fa ora, non a caso a 71 anni, la stessa età che aveva Lacan quando iniziò la sua relazione con lei, allora ventinovenne. Attraverso questo gesto d’amore (“Tutto vibrava al suo fianco”, scrive ancora Millot) possiamo scoprire l’uomo innanzitutto e poi riflettere ancora una volta sul pensatore, lo studioso e lo psicoanalista. Un geniale analista, inventore di molte tecniche, come il taglio della seduta che gli costò l’espulsione dalla IPA (The International Psychoanalytical Association), come ben racconta Elisabeth Roudinesco nella sua monumentale, e indispensabile, biografia su Lacan (cfr. Roudinesco, 1995). Con uno stile diretto, assertivo e molto chiaro Pagliardini si sofferma a lungo sulla pratica analitica che consiste, a suo dire, via Lacan, esattamente in questo strutturalmente (im)possibile incontro con il reale. L’analisi non ha niente a che vedere con il dialogo o la conversazione. È tutt’altro. L’analisi è il non temere un (im)possibile incontro con il reale attraverso il riconoscimento del (proprio) godimento. Scrive Pagliardini:

“Non si tratta solo di rinunciare al godimento, ma di rinunciarvi per poterlo incontrare nell’esperienza particolare del desiderio”. E prosegue: “A partire dal Seminario XIX, Lacan (…) modifica la sua postura, cioè̀ la posizione da cui si interroga e interroga il reale: non si tratta più̀ di intendere il godimento a partire dal rapporto del soggetto con il godimento, ma a partire dal rapporto del godimento con il godimento. La questione non è più̀: ‘che rapporto ha il soggetto con il godimento?’, ma: ‘che rapporto ha il godimento con se stesso?’”.

Il reale, in questo senso come clinica del godimento, va inteso non come un avvenimento ma in termini deleuziani come un evento, un divenire, un qualcosa di inarrestabile e in continuo movimento. E finiamo allora con una domanda: siamo così sicuri che la schizoanalisi di Deleuze e Guattari sia inconciliabile con le posizioni analitiche dell’ultimo Lacan?

Letture
  • Alain Badiou, Il secolo, Feltrinelli, Milano, 2006.
  • Samuel Beckett, Peggio tutta, in Id., In nessun modo ancora, Einaudi, Torino, 2008.
  • Samuel Beckett, Qual è la parola, in Id., In nessun modo ancora, Einaudi, Torino, 2008.
  • Gilles Deleuze, Felix Guattari, Che cos’è la filosofia?, Einaudi, Torino, 2002.
  • Elisabeth Roudinesco, Jacques Lacan. Profilo di una vita, storia di un sistema di pensiero, Raffaello Cortina, Milano, 1995.