Io canto il corpo elettrico
… con autodeterminazione

Jennifer Guerra
Il corpo elettrico.
Tlon, Milano, 2020

pp. 149, € 13,00

Jennifer Guerra
Il corpo elettrico.
Tlon, Milano, 2020

pp. 149, € 13,00


“L’emancipazione femminile è un fattore decisivo nella costruzione di una vita qualitativamente migliore”, sosteneva Herbert Marcuse in Eros e Civiltà (Marcuse, 2001), eppure la lotta femminista ha vissuto da sempre una esistenza travagliata. Si è vista denigrata e mal interpretata, addirittura dalle donne stesse che ne hanno a volte travisato il messaggio e gli intenti.
Il corpo elettrico di Jennifer Guerra è un testo che chiarisce da un lato il femminismo dal punto di vista storico, e dall’altro ne definisce i percorsi futuri alla luce delle nuove identità fluide che stanno nascendo. Il testo è stato pubblicato in un periodo storico particolare, ovvero in un mondo in piena crisi pandemica dove il rischio della perdita dei diritti e delle libertà conquistati dalle donne è reale. L’autrice a tal proposito propone infatti una sorta di manifesto per l’autodeterminazione politica della donna (cfr. Rodotà, 2015); una esortazione nata dalla forte esigenza di fare fronte comune, ripensare il femminismo e di conseguenza la propria soggettività.

Il corpo è politico
I corpi, per l’autrice, sono gli elementi fondamentali dai quali far partire questa nuova autodeterminazione. Essi non sono solo nostri, ma fanno da tramite con il resto del mondo e da esso sono condizionati senza possibilità di rimedio. Tutto passa dal corpo femminile che diventa proprio lo spazio fisico dove fare la rivoluzione: il diritto all’aborto, il riconoscimento dell’identità trans, la tutela dalle violenze di genere (ri)diventano i tasselli fondamentali del definirsi politicamente donna attraverso la strutturazione di percorso di istituzionalizzazione di queste istanze. Tuttavia, se la percezione del corpo e il modo in cui essa viene rappresentata dai media modifica la percezione del nostro valore in quanto persone, bisogna lavorare per emanciparsi da essa. Per fare ciò Guerra suggerisce di uscire dai canoni del male gaze, lo sguardo maschile di cui il capitalismo contemporaneo è intriso, e concepire uno sguardo che non sia la semplice correzione dell’immagine stereotipica e sessualizzata della donna, ma un cambio di prospettiva.
Il female gaze che viene proposto nel testo è il principio attraverso il quale si può operare una riappropriazione identitaria (cfr. Marchesini, 2017) attraverso la messa in mostra, nei discorsi e nelle pratiche, di tutti quegli aspetti che il mondo maschile tende in modo costante a obnubilare, ossia il ciclo mestruale, l’orgasmo femminile e la salute mentale quando non rientra nel preconcetto dell’isteria.
La messa in crisi dell’immagine standardizzata del corpo femminile nelle narrazioni e nell’immaginario collettivo diventa quindi occasione di discorso e studio. Con esso si pongono le basi per oltrepassare le concezioni binarie di maschile/femminile, uomo/donna. In particolare nel capitolo tre, si riflette sul disancoraggio del genere dal sesso.

“Quando si parla di un gruppo classificandolo attraverso uno stigma, un marchio, una caratteristica – l’essere femmina, l’essere gay, l’essere trans – si rischia sempre di ridurre l’individuo alle sue proprietà. Questo ha delle conseguenze nella percezione che noi abbiamo di quel determinato gruppo, e allo stesso tempo fa sì che la persona che viene stigmatizzata percepisca se stessa come la somma delle sue proprietà”.

Tendiamo a legare la nostra identità al genere, sia esso corrispondente o meno al sesso biologico. Infatti, le persone genderfluid, non binary e queer incarnano il rifiuto verso i classici dualismi, sottolineando l’esigenza di chiarire, come già sosteneva John Stuart Mill nel suo testo La soggezione delle donne del 1869, che il genere è una entità concreta, un dispositivo politico che condiziona le nostre vite e le modella. Esso si può in modo più o meno coercitivo incarnare in bias culturali, in modelli comportamentali ed estetici che divengono consuetudine.

Educazione e coscienza mestruale
Il corpo è innanzitutto l’irradiarsi di una soggettività, lo strumento indispensabile per conoscere e costruire il mondo, ragion per cui l’educazione all’immagine e all’identità nei bambini diventa un fattore importante. Crescere bambine (e bambini) con la convinzione che possano esprimersi ed essere tutto quello che vogliono significa formare una generazione di donne e uomini più consapevoli. Educare in tal modo significa dotare le nuove generazioni di strumenti utili per costruire la propria indipendenza, crescerli lontano dagli stereotipi.
In questo percorso di crescita, ciò che è importante implementare e condividere è il sapere alternativo delle donne che l’autrice definisce coscienza mestruale. Essa è costituita da informazioni culturali di carattere intimo che non vengono discusse in maniera spontanea in pubblico o scritte in tomi voluminosi, ma vengono diffuse da donna a donna. L’auspicio è che, a partire da uno scambio alla pari, col tempo e con la giusta educazione, si possa discutere e parlare nella maniera più libera possibile di victim blaming e di lotta contro la normalizzazione dello stupro perpetuata dal patriarcato. Il desiderio, la speranza e la rabbia sono tutte forze propulsive per il cambiamento (cfr. Alderman, 2017) che, per Guerra, possono avvenire attraverso la resistenza, l’autodeterminazione e la solidarietà: i corpi elettrici perdono la semplice definizione di involucri di carne e diventano baluardi di discorsi etici e politici.

Letture
  • Naomi Alderman, Ragazze elettriche, nottetempo, Milano, 2017.
  • Roberto Marchesini, Emancipazione dell’animalità, Mimesis, Milano, 2017.
  • Herbert Marcuse, Eros e civiltà, Einaudi, Torino, 2001.
  • Stefano Rodotà, Il diritto di avere diritti, Laterza, Roma, 2015.