Comunità e buona politica
per una nuova infraetica

Piero Dominici
Dentro la società
interconnessa
FrancoAngeli,

Milano, 2019
pp. 212, € 27,00

Luciano Floridi
Il verde e il Blu
Idee ingenue per migliorare
la politica in una società matura
della comunicazione
in Formiche n. 135, 2018

pp. 156, € 8,00

Luciano Floridi
La quarta rivoluzione
Raffaello Cortina,

Milano, 2017
pp. 285, € 24,00

Piero Dominici
Dentro la società
interconnessa
FrancoAngeli,

Milano, 2019
pp. 212, € 27,00

Luciano Floridi
Il verde e il Blu
Idee ingenue per migliorare
la politica in una società matura
della comunicazione
in Formiche n. 135, 2018

pp. 156, € 8,00

Luciano Floridi
La quarta rivoluzione
Raffaello Cortina,

Milano, 2017
pp. 285, € 24,00


Nell’agile pamphlet Il verde e il blu (2018), il filosofo Luciano Floridi è mosso da una (significativa) ambizione filosofica: definire le condizioni etico-morali atte a garantire lo sviluppo di un progetto umano che sia al passo con una “società matura dell’informazione”. Esso è più di un prontuario politico, nella misura in cui non si limita a offrire ricette politiche pronte all’uso, ma piuttosto intende definire le “condizioni di possibilità” per l’erigersi di una comunità che si fondi sui principi di una “buona politica”.

Identità e relazione nelle società contemporanee
Il titolo presenta già un elemento evocativo, il “verde” e il “blu” in quanto tali rappresentano il tentativo di operare una inedita sintesi tra ambiente e tecnologia, da ottenersi mediante una strategia biunivoca di valorizzazione e promozione di economia ambientalista da una parte, e economia digitale e della comunicazione dall’altra. “Le soluzioni di una buona politica sono verdi e blu”, scrive Floridi, rinvenendo in tale matrimonio il perseguimento di un progetto umano che sia capace di rispondere alle nuove sfide del digitale, e di generare “relazioni simbiotiche di mutuo beneficio” tra ambienti naturali, culturali e digitali.
La rivoluzione delle tecnologie della comunicazione ha portato allo sviluppo di una “società interconnessa” (Dominici, 2019), ove a ciascuno è offerta la possibilità di produrre, elaborare e scambiare conoscenza, all’interno di processi comunicativi contrassegnati da relazioni vieppiù orizzontali. Tuttavia, tale passaggio ha, per così dire, invalidato quelle categorie riferibili all’età moderna; la messa in crisi delle grandi “meta-narrazioni” del passato, ha, inoltre, estinto i legami tra l’individuo, le istituzioni, e le tradizionali agenzie di socializzazione, scaricando maggiori responsabilità sui singoli attori sociali.

Nel suo Dentro la società interconnessa, il sociologo e studioso di comunicazione Piero Dominici evidenzia come tali processi abbiano definitivamente indebolito i legami “che trasformano le scelte individuali in progetti e azioni collettive”. Il carattere repentino che ha segnato i processi di sviluppo dello spazio virtuale (ancora in atto), contraddistinto dal rapissimo scorrere al loro interno di flussi economici e informativi, ha contribuito a separare nel cuore di questa società globale fortemente individualizzata la società civile dai suoi attori sociali.
Sulla scorta delle considerazioni di cui sopra, Floridi enuncia il definitivo superamento di un paradigma ormai considerato obsoleto, quello aristotelico-newtoniano, il quale restituisce uno specifico modello “di costruzione sociale”; tale modello si limita a rappresentare l’ordine politico come un complesso meccanismo sociale, il cui funzionamento è garantito dal possesso, negli elementi (dei suoi mattoncini) che lo compongono, di determinate proprietà e comportamenti. A una tale visione ipostatizzata della società come una sorta di “grande lego” – costretta entro determinate linee di azione e rigidi confini spaziali – Floridi contrappone un sistema reticolare interamente fondato sulle “relazioni”.
In una società matura dell’informazione, in cui la trasformazione non può essere riduttivamente descritta come il mutamento tra il mondo degli atomi e quello dei bit di informazione” (Floridi, 2017), ad assumere maggiore rilievo è la “qualità delle (sue) relazioni”, descrivendo un differente modello di società, ora, imperniato sulle relazioni e non più sulle cose; un sistema non più definito dalla presenza di relazioni preesistenti, bensì dalla capacità di costruire nodi, all’interno di un ordine reticolare la cui qualità è data dal numero delle sue relazioni. Questo mutamento di paradigma corrisponde a una forma di “politica relazionale” in cui il principale parametro di valutazione è dato da “la solidità e la resilienza delle (sue) relazioni”, e non più dal grado quantificabile delle sue performance (Floridi, 2018).

Dal progetto umano al metaprogetto postmoderno
La “quarta rivoluzione”, ossia la “rivoluzione dell’informazione” a cui Floridi aveva già dedicato un precedente studio (2012), non si limita a descrivere un futuro nel quale le innovazioni digitali segneranno una trasformazione radicale senza precedenti, ma pone piuttosto l’attenzione sulla maturazione di determinate aspettative riguardo a questi mutamenti, in un’epoca in cui “il digitale sarà diventato uno scenario di sottofondo, implicitamente previsto” (Floridi, 2018). In tal senso, la società matura dell’informazione è una società in cui a segnare lo scarto con quelle precedenti è l’aspettativa che i suoi membri assumono circa le sue condizioni (facilitazioni e opportunità date dagli sviluppi già esistenti). Si comprende come la vera posta in gioco non riguardi tanto la possibilità di predire scenari futuri, quanto di approntare una più consapevole gestione etica delle sue innovazioni.

La politica, ormai soggiogata dalle logiche del marketing e del consenso, sta vivendo, infatti, un pericoloso “svuotamento di idee”, in cui all’(iper)complessità dei nuovi processi di comunicazione (sempre più ambivalenti e multidirezionali) si contrappone un (iper)riduzionismo, secondo la falsa dicotomia rilevata da Dominici che pone l’uno accanto all’altra comunicazione e connessione.
Floridi, di contro, descrive un modello di sviluppo, nel quale le opportunità offerte dalle nuove tecnologie digitali contribuiranno a fondare una nuova idea di società individuale e collettiva, che dia forma a un modello di “altruismo sociale”: a una società diversamente fondata su un’etica della responsabilità (green e share economy) e sulla costruzione di legami connettivi più profondi in seno alla società. Ciò è reso possibile dalla co-presenza di due ingredienti fondamentali: l’esistenza di un “progetto umano” e di una “infraetica”.
Non esiste comunità politica che possa sopravvivere a sé stessa senza la precedente fissazione di un complesso di norme che ne rispecchi fedelmente l’idea di un “progetto umano”, il quale altro non è che “il genere di vita che vorremo realizzare” (Floridi, 2018), ossia la maniera in cui procediamo, programmaticamente, nel conferire un certo ordine e una determinata organizzazione alle forme di vita sociale (individuale e collettiva). Esistono molti progetti umani, più o meno realizzabili, i quali spesso tendono tutti ad affermarsi quali universali (dotati di assoluto valore) e eterni (destinati a durare). Comprendere la declinazione pluralistica di questi progetti significa assegnare a ciascuno di essi un valore relativo, circoscrivendo la sua relativa applicazione e il suo grado di compatibilità alla società in cui può venire a realizzarsi.

L’affermarsi dell’era digitale ha visto, tuttavia, l’assenza di un metaprogetto che rendesse conto dei profondi mutamenti che quest’ultima ha generato. Sotto il nome di “metaprogetto postmoderno”, si è, negli ultimi decenni, affermato un progetto umano individuale (di matrice liberale), che si limita a tutelare e proteggere i diritti di ogni singolo attore sociale in ordine alla sua realizzazione e alla sua sicurezza. La sua incompletezza è data, appunto, dalla sua incapacità di prefigurare un progetto politico e sociale che proceda oltre il goffo tentativo di tenere insieme l’indefinito insieme dei suoi progetti individuali. Il progetto di una “società matura dell’informazione” dovrà essere, quindi, etico, ancor prima che politico: dovrà, cioè, gettare le fondamenta di una nuova infrastruttura socio-politica. Sarà, a tale scopo, indispensabile disegnare una buona infraetica.

Governance del digitale: etica e innovazione
Per dirla in termini semplici: così come una società industriale per crescere ha bisogno di dotarsi di buone infrastrutture (fisiche), allo stesso modo una società post-industriale necessita di altrettanto buone infrastrutture “etiche”, cioè di norme sociali, aspettative e regole, che facilitino od ostacolino il comportamento morale o immorale degli agenti coinvolti.
Una buona infraetica è necessaria nella misura in cui può contribuire a produrre bene morale, in riferimento ai comportamenti che è chiamata a sostenere; ciò assume maggiore importanza se si considera come “ogni regolamento sul modo in cui le persone interagiscono con l’informazione” influenzi l’intera “ecosistema digitale” (Floridi, 2017) in cui le persone vivono (l’infosfera).
Viene, allora, spontaneo domandarsi se il riferirsi a codici deontologici e alla predisposizione di un insieme articolato di norme sia sufficiente a colmare l’assenza generata da un vero e proprio “vuoto etico”.
D’altro canto, come scrive Dominici: “l’esistenza di un vuoto etico va necessariamente colmato con un nuove responsabilità e con una rinnovata consapevolezza del potere e delle funzioni assolte dalla rete, dall’informazione e dall’intero ecosistema comunicativo” (Dominici, 2019). Laddove, la responsabilità può e deve essere intesa come un “concetto relazionale”, giacché comunicare in modo responsabile significa, anzitutto, accordare massima importanza a quel principio universale che “permette a ciascun individuo di limitare le proprie possibilità di potenza e di influenza sugli altri” (Dominici, 2019). Si tratta, ancora, del tentativo di capire se le nuove tecnologie della comunicazione possano favorire o meno una comunicazione intersoggettiva, autonoma e responsabile, determinando in questo modo le regole per un’etica che potremmo definire interattiva, in quanto orientata a costruire relazioni sociali di interdipendenza.

Per concludere va ribadito che una “buona politica” dovrà inevitabilmente farsi carico di una efficiente “governance del digitale”, fino ad ora affidata alla gestione monopolistica dei colossi del web. Tale problema richiama una questione di ordine culturale: quella di “educare”, o sarebbe meglio scrivere “formare”, a una maggiore comprensione della (iper)complessità dei sistemi sociali, il cui funzionamento, come sostiene Dominici, è assai più comparabile a quello degli organismi viventi che a quello di un insieme meccanizzato (automizzato). Riaffermare questa stretta connessione, vuol dire riconnettere l’utilizzo delle nuove tecnologie digitali e della comunicazione alle finalità proprie della (ri)costruzione di una società umana che promuova effettivamente condizioni di cittadinanza attiva e inclusione (alla stipulazione di un “nuovo contratto sociale”).
Dominici scrive: “Il rischio, estremamente concreto, è quello di continuare ad educare, formare, addestrare, dei meri esecutori di funzioni e di regole, che sono in grado di interrogarsi sui «perché» e sul significato di ciò che fanno/eseguono” (Dominici, 2019). La capacità di elaborare, condividere e scambiare informazioni deve costituire la base su cui costruire un nuovo modello di cittadinanza, di “vivere insieme”, ripensando, in tal modo, lo spazio relazionale e comunicativo.

L’ “«essere gettati» nell’(iper) complessità” (Dominici, 2019), esige che l’uomo si riappropri delle leve della propria evoluzione (prima culturale, e poi biologica), mettendo in discussioni modelli e categorie tradizionali, ripensando quella complessa interazione tra l’uomo e la tecnica. Ora, che i tradizionali confini tra naturale e artificiale sono definitivamente saltati, l’errore più grande sarebbe quello di focalizzare l’attenzione soltanto sulla dimensione tecnologica, senza considerare il sistema di relazioni e i mondi vitali a cui essa da luogo. È essenziale che i governi promuovano strategie politiche e misure sociali (mediante il rafforzamento di settori strategici quali quello dell’istruzione – Scuola e università) che procedano senza tentennamenti nella direzione della costruzione di una “società digitale” eco-sostenibile, inclusiva e informata, attraverso l’attivazione di percorsi di cittadinanza (digitale) attiva.