Storie di uomini coniglio
e di eroici bassi elettrici

Echo & the Bunnymen
Heaven Up Here (1981)
Formazione:

Ian McCulloch (voce e chitarra ritmica),
Will Sergeant (chitarra solista),
Les Pattinson (basso elettrico),
Pete De Freitas (batteria).
Korova Records, 2014

Echo & the Bunnymen
Heaven Up Here (1981)
Formazione:

Ian McCulloch (voce e chitarra ritmica),
Will Sergeant (chitarra solista),
Les Pattinson (basso elettrico),
Pete De Freitas (batteria).
Korova Records, 2014


Il bassista, in ambito popular music, è sempre stato un personaggio particolare, strano. Quasi mai in primo piano bensì nelle retrovie, a scrutare i movimenti della star di turno e a bilanciarne gli eccessi. Di bass heroes non ce ne sono stati molti, sovrastati, tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta, da una pletora di cantanti, chitarristi, tastieristi, persino batteristi. Ma loro, i bassisti, hanno continuato a rimanere in disparte. Vogliamo fare qualche nome? Jack Bruce, Greg Lake, John Entwistle, Jack Casady, Hugh Hopper. Magari ne dimentichiamo qualcuno ma, come si nota, siamo in presenza di eccezionali musicisti ma non star, non in primo piano. Lo stesso Paul McCartney, bassista dei Beatles, non è certo ricordato per il suo strumento. In realtà il primo vero bass hero è stato Jaco Pastorius, che di certo rocker non era, ma assunse un ruolo corrispondente alle star rock abbastanza sorprendentemente.
Ma chi è il bassista rock, o meglio cosa fa un bassista elettrico nella popular music? Domande che tornano a porsi in occasione dei quarant’anni compiuti dal secondo album degli Echo & the Bunnymen, Heaven Up Here; un anniversario che ci consente di operare alcune riflessioni sul basso elettrico, sul suo ruolo nella new wave e sul fondamentale lavoro del bassista Les Pattinson all’interno del gruppo. Prima di entrare nel merito dell’album, però, torniamo agli interrogativi riguardanti l’identità del bassista elettrico.

Intanto, va subito sottolineata la lontananza dal suo nobile antenato, il contrabbasso, che in ambito jazz ha avuto ben altro ruolo, anche se anch’esso ha vagato spesso nell’ombra. Diciamo che il basso elettrico presenzia un’area sonora che sta tra la batteria, e quindi la ritmica, e la chitarra, l’armonia. In effetti il primo nome, chitarra basso, tutto sommato non era così lontano dal delinearne più precisamente il ruolo. E quindi spesso supporta ed è totalmente parte del movimento ritmico, ma non disdegna di suonare melodie intrecciate all’armonia del brano, con evidente impulso ritmico e melodico allo stesso tempo. Rispetto al contrabbasso jazz, il basso elettrico ha quasi una funzione contrappuntistica nel brano. A ogni modo questo suo ruolo ibrido, unito a uno spettro sonoro che risiede nelle retrovie, spesso difficile da ascoltare e apprezzare, lo ha certamente penalizzato rispetto agli altri strumenti pop. Inoltre, la sua apparente semplicità e facilità lo hanno lasciato nelle mani di quei membri del gruppo che non suonavano bene la chitarra oppure il posto di chitarrista era già occupato e allora ti prendevi il basso elettrico.

L’irruzione del punk
Tutto questo è stato vero, nota più nota meno, fino all’avvento del punk. Come mai? Non che dal 1976 siano poi apparsi i bass heroes improvvisamente, ma la rivoluzione sonora di questo genere musicale produsse alcune tendenze. La prima fu quella di azzerare la mitologia rock, di far scendere dal piedistallo gli eroi, le star del vecchio rock e di ribaltare completamente la situazione: non era più necessario essere abili musicisti per diventare famosi e suonare nei grandi palchi. Bastava avere furore e idee, e suonare. La seconda tendenza fu quella di compattare il suono, di comprimerlo nei famosi tre minuti e via e di creare una massa sonora indistinta dove gli strumenti non erano quasi più percepibili singolarmente, ma come facenti parte di un tutt’uno, di un blocco che colpiva l’ascoltatore, immediato e unico. Paradossalmente, questa compattazione favorì le sonorità basse, e nella fase post punk, dal 1978 al 1984 (secondo la trattazione di Simon Reynolds, nel suo bel libro Post Punk 1978-1984, per l’appunto), la linea di basso emerse come fondamentale rispetto all’armonia delle chitarre. No more heroes (come cantavano gli Stranglers!), niente più tecnica, importanza delle linee melodiche a scapito del movimento armonico, emersione delle sonorità basse, scure e quindi basso elettrico in primo piano.

A queste tendenze emerse con il punk e poi con la new wave o post punk che dir si voglia, non va taciuto l’apporto fondamentale che ebbe, soprattutto in Inghilterra, l’esplosione della musica reggae, e di conseguenza la valorizzazione del basso che questa musica ha apportato. Giova ricordare che gli esponenti principali della musica punk erano amanti e assidui frequentatori delle sonorità reggae, e che in alcuni casi, i Clash ovviamente i più famosi, c’è stata una vera e propria commistione tra i due generi, musicale e culturale. Ovviamente, come abbiamo scritto prima, non è che questa rivoluzione punk abbia poi permesso la nascita e l’avvento di rockstar del basso elettrico, ma almeno ora lo strumento si ascolta, è persino in primo piano. È certamente facile fare l’esempio dei Police, peraltro non propriamente punk e neanche post punk, anche se prendono l’avvio da quel movimento, comunque è significativo che il loro leader sia Sting, il bassista. Ma se guardiamo per esempio alla musica dei Joy Division, uno dei gruppi più famosi e importanti del post punk, possiamo notare la preminenza delle sonorità scure, che favoriscono l’emersione delle linee di basso, a scapito della chitarra.

Un fenomeno collettivo ed eterogeneo
L’inizio di Unknown Pleasures, loro album d’esordio, da questo punto di vista è significativo: Disorder parte con un giro di basso, che è quello che dà l’impronta al brano insieme ovviamente alla voce. Quel suono scuro ma ben definito, di un basso suonato con la penna sulle note medio alte, che non si confonde ma è nitido e fornisce l’intelaiatura e la linea melodica allo stesso tempo. Effettivamente è una sorta di rivoluzione che contraddistingue il nuovo rock, la new wave. Se con il punk potevamo trovare gloriosi antenati anche tra le pieghe del vecchio rock (Stooges, Mc5, per esempio), la new wave o il post punk, come volete chiamarlo, insomma quel movimento che esce fuori dalla rivoluzione punk, impone un suono totalmente nuovo che effettivamente si basa proprio sul basso elettrico.
Anche Siouxsie & the Banshees partono con il basso in apertura del loro Lp The Scream. E il secondo brano, Jigsaw Feeling, è tutto costruito sulla linea dello strumento. Una situazione tipica è, anzi, l’inseguire della chitarra il movimento del basso, quasi a rafforzarlo. E non possiamo certo non notare che l’artefice, insieme a Siouxsie, del suono e dell’estetica del gruppo, sia il bassista Steven Severin, un vero e proprio alter ego della cantante. Neppure i Cure di Robert Smith non sfuggono a queste sonorità, e il basso di Michael Dempsey è sicuramente fondamentale nel loro disco d’esordio, Three Immaginary Boys. Nei successivi tre lavori, quelli nei quali ancora possiamo definire i Cure un gruppo post punk, il nuovo bassista Simon Gallup è elemento indispensabile nella costruzione del suono Cure, soprattutto in quel loro capolavoro misconosciuto che è Pornography, quarto Lp.

Questa sorta di riappropriazione della scena da parte delle note basse è portata avanti anche da quei gruppi che inseriscono sonorità e ritmi funky all’interno della materia post punk. Il caso dei PIL di John Lydon e Jah Wobble è abbastanza noto, ma non vanno dimenticati Rip Rig & Panic, The Pop Group, Gang Of Four, tutta quella serie di gruppi che allaccia o riallaccia legami con la musica nera e che inserisce il ritmo, e la ritmica, in primo piano. Allo stesso tempo, nei gruppi che hanno affinato le estetiche punk e le hanno rivoltate e modificate facendone suoni dark, new wave, noise, l’importanza del basso elettrico appare interiorizzata, permea le musiche e ne diventa elemento fondante. Anche qui non va sottovalutato l’emergere in ambito rock delle musiche di derivazione africana e la scoperta di suoni esotici ma soprattutto, l’importanza del movimento ritmico, a scapito delle complessità armoniche.
L’esempio illuminante è il percorso dei Talking Heads, che da Talking Heads:77, passando per More Songs About Buildings and Food e Fear of Music, arrivano al loro capolavoro Remain in Light, prodotto da Brian Eno e uscito nel 1980. Dicevamo dei gruppi new wave e delle loro evoluzioni. Una scena importante è quella di Liverpool, dove il punk arriva quasi subito, ovviamente dopo la sua esplosione a Londra. C’è un locale che fa da punto di riferimento per la nuova scena liverpooliana, l’Eric’s, ed è proprio qui che praticamente si formano e suonano Teardrop Explodes e Echo & the Bunnymen, i due gruppi più famosi della città. Dei Teardrop e di Julian Cope (peraltro bassista!) ne parleremo magari in futuro, interessante invece analizzare l’altro gruppo, i Bunnymen per l’appunto, e soprattutto il loro bassista, Les Pattinson.

Gruppo di punta new wave, particolare per il suo restare in bilico tra atmosfere dark e suggestioni neo psichedeliche, Echo & the Bunnymen si formano nel 1978 su iniziativa di Ian McCulloch, cantante, e Will Sergeant, chitarrista, che tre giorni prima del loro debutto sul palco dell’Eric’s (di spalla ai Teardrop Explodes) convincono il loro amico Les Pattinson a comprarsi un basso elettrico e a suonare con loro! Stupefacente per come la filosofia punk abbia permesso un approccio alla musica così immediato e basato sul do it yourself, ma anche per come si confermi l’idea dello strumento “secondario”, da poter affidare, a pochi giorni da un concerto, persino a chi non l’abbia mai suonato prima. Comunque, a dispetto di ogni previsione, anche dei componenti del gruppo, il concerto è un piccolo successo e Bill Drummond, dj, musicista, scrittore e proprietario dell’etichetta Zoo Records oltreché infaticabile talent scout dell’area di Liverpool, mette sotto contratto i tre musicisti e la loro drum machine. L’arrivo di un vero e proprio batterista, Pete de Freitas, fa da preludio al loro esordio discografico, nel 1980, con Crocodiles, edito dalla Korova. Già in questa loro prima prova emergono le fondamentali caratteristiche della musica del gruppo, le linee guida che faranno dei Bunnymen uno dei gruppi di punta della new wave e del rock inglese in generale.

Innanzitutto, come ricordato sopra, il loro è uno strano mix, soprattutto per quegli anni. A fronte di una voce tipicamente dark, dalle tonalità scure e dallo stile evocativo e lirico, c’è un suono di chitarra che ricorda fortemente la psichedelia di fine anni Sessanta, dal timbro chiaro, ritmicamente varia e in netto contrasto proprio con la voce. La ritmica vera e propria invece è una sorpresa. Al primo ascolto non si discosta dalle ritmiche dei gruppi new wave, quel suonare spesso sui tom da parte della batteria e, ovviamente, un basso in primo piano. Siamo, sempre a un ascolto superficiale, dalle parti dei primi Cure, oppure di una versione morbida dei Killing Joke, con quel drumming elaborato che contraddistingue i brani. Ma, in profondità e ancora accennato, c’è un lavoro più originale che è proprio compiuto da Les Pattinson e dal suo basso: un instancabile produzione di giri, di linee che emergono con chiarezza, limpide e nitide come nessun bassista fino ad allora aveva suonato.

La messa a fuoco del sound
È il primo disco, e ancora la materia non è pienamente messa a fuoco, centrata, ma i caratteri distintivi già sono tutti lì. È con Heaven Up Here, dell’anno successivo, loro indiscusso capolavoro, e del quale a maggio di quest’anno ricorrono i quarant’anni dalla pubblicazione, che la musica risulta ben definita e le caselle sono tutte al posto giusto. Qui lo stile di Pattinson è maturo, definito: degli agili giri di basso che sorreggono e delineano contemporaneamente il carattere dei brani, ne danno un impulso ritmico e ne forniscono delle eleganti contro linee melodiche. Il basso è come se fosse sganciato sia dalla batteria che dalla chitarra, ma anche dalla voce. Costruisce motivi che sono le fondamenta sulle quali si ergono la voce scura e declamante, una chitarra sempre più sixties, come se fosse uscita da Nuggets, l’antologia manifesto del volto più ruvido di quegli anni, e infine una batteria elaborata e sferzante. Ma tutto si regge sul e sui giri di basso. Da questo punto di vista Les Pattinson assume un ruolo fondamentale nella costruzione del suono e della musica degli Echo & The Bunnymen. Il suo basso, così pulito, chiaro, sembra uno strumento solista, preponderante e vanitoso, per come caratterizza la quasi totalità dei brani del gruppo. Pur suonato con la penna, possiede un timbro morbido, pastoso, ma è allo stesso tempo perentorio, affermativo, come per esempio nel ritornello dell’ultimo brano di Heaven Up Here, All I Want.

In No Dark Things si intreccia con le linee della chitarra, mentre in Torquoise Days i due strumenti elaborano una sorta di call and response. Il brano eponimo è una sorta di manifesto del suono e dell’estetica Bunnymen, con la batteria agile che spinge sui tom, una chitarra abbagliante, dai colori psichedelici, il solito fondamentale basso di Les Pattinson che sorregge il tutto, e la voce di McCulloch, dagli echi Morrisoniani, che vibra, si agita, grida “non hai niente da temere, potrebbe essere un inferno laggiù, perché il paradiso è quassù”. Ma Les Pattinson non disdegna neanche l’utilizzo di ipnotici giri di basso, sorta di loop, che per esempio caratterizzano l’avvolgente ed evocativa Over the Wall, oppure sa lavorare per sottrazione, come in All My Colours, lasciando lo spazio ai tom della batteria di Pete de Freitas e alla voce dolente di Ian McCulloch, l’episodio sicuramente più dark dell’intero disco. Detto della luminosa, acida e psichedelica chitarra di Will Sergeant, che lavora ai fianchi dei brani, talvolta infiorettando oppure irrobustendo con pennate sporche l’atmosfera e i suoni, Heaven Up Here risulterà, per molte riviste del settore, in cima alle classifiche quale miglior disco del 1981. E con ragione, visto l’alto livello delle composizioni e la creatività generale che percorre tutto il disco, impreziosito, inoltre, dalla solita splendida copertina, una foto suggestiva dai colori blu, che ritrae i quattro musicisti sotto un cielo plumbeo in una spiaggia al tramonto. Incantevoli immagini che saranno poi replicate nei dischi successivi, anch’essi con splendide foto e di fatto ulteriore elemento distintivo del gruppo fin dal primo disco.

Il resto della storia e titoli di coda
Pur con difficoltà e problemi vari, tra atteggiamenti provocatori di McCulloch, produzioni e collaborazioni in altri progetti da parte di de Freitas e Sergeant, dissidi con la casa discografica, il gruppo produrrà altri due splendidi album, accolti con maggior successo da parte soprattutto del pubblico. Se Porcupine (1983), il loro terzo disco, manterrà con convinzione le caratteristiche di Heaven Up Here raggiungendo addirittura il secondo posto nella UK Albums Chart degli album, il quarto, Ocean Rain (1984), vedrà l’insolito intervento di una sezione archi su gran parte dei brani, dotando la musica di uno strano sapore classico, tra un pop elaborato e le antiche spinte neo psichedeliche. Ma possiamo certamente dire che tutti e quattro i lavori possiedono un fascino esclusivo, ammaliante, e sono una delle più alte espressioni musicali del post punk. La storia continuerà con alterne fortune, tra separazioni, morti (il batterista Pete de Freitas purtroppo morirà per un incidente in moto il 14 giugno 1989 a soli ventisette anni!) e riunioni, ma la magia e il paradiso lasceranno spazio a musiche certamente più terrene, meno originali. A noi rimane quel suono impregnato dai bassi di un musicista sicuramente sottovalutato, eppure artefice di un uso originale del basso elettrico, così evidente e così incisivo da colpire immediatamente l’ascoltatore. Un basso paradisiaco.

Ascolti
  • Cure, Three Imaginary Boys, Polydor, 2016.
  • Cure, Pornography, Fiction Records, 2021.
  • Echo & the Bunnymen, Crocodiles, Korova, 2013.
  • Echo & the Bunnymen, Porcupine, Korova, 2014.
  • Echo & the Bunnymen, Ocean Rain, Korova, 2014.
  • Gang of Four, Solid Gold, Matador, 2021.
  • Joy Division, Unknown pleasures, Factory, 2019.
  • PIL (Public Image Limited), Metal Box, Virgin, 2020.
  • Pop Group, Y, Mute, 2019.
  • Rip Rig + Panic, God, Cherry Red, 2013.
  • Siouxsie & the Banshees, The Scream, Polydor, 2018.
  • Talking Heads, Remain in Light, Sire, 2018.
Letture
  • Simon Reynolds, Post Punk 1978 – 1984, Minimum Fax, Roma, 2018.