Cinguettii ben intonati
e altri suoni bestiali



Evan Parker
Evan Parker & Birds
Treader, 2018
Formazione: Evan Parker
(sax soprano, sax tenore);
Ashley Wales, John Coxon (soundscapes).


Diane Moser
Birdsongs
Planet Arts, 2018

Formazione: Diane Moser (pianoforte);
Anton Denner (flauto, ottavino);
Ken Filiano (contrabbasso).


Hollis Taylor
Absolute Bird
ReR Megacorp, 2017

Formazione: Hollis Taylor,
James Cuddeford (violino);
Erkki Veltheim (viola);
Daniel Yeadon (violoncello);
Genevieve Lacey (flauto dolce);
Jim Denley (flauto);
Joanne Cannon (fagotto);
Rose Dunlop (clarinetto contrabbasso);
Claire Edwardes (vibrafono);
Mike Majkowski (contrabbasso);
The Song Company:
Susannah Lawergren,
Anna Fraser (soprano),
Hannah Fraser (mezzo-soprano),
Richard Black (tenore), Mark Donnelly (baritone), Andrew O’Connor (basso),
Antony Pitts (direttore artistico).



Evan Parker
Evan Parker & Birds
Treader, 2018
Formazione: Evan Parker
(sax soprano, sax tenore);
Ashley Wales, John Coxon (soundscapes).


Diane Moser
Birdsongs
Planet Arts, 2018

Formazione: Diane Moser (pianoforte);
Anton Denner (flauto, ottavino);
Ken Filiano (contrabbasso).


Hollis Taylor
Absolute Bird
ReR Megacorp, 2017

Formazione: Hollis Taylor,
James Cuddeford (violino);
Erkki Veltheim (viola);
Daniel Yeadon (violoncello);
Genevieve Lacey (flauto dolce);
Jim Denley (flauto);
Joanne Cannon (fagotto);
Rose Dunlop (clarinetto contrabbasso);
Claire Edwardes (vibrafono);
Mike Majkowski (contrabbasso);
The Song Company:
Susannah Lawergren,
Anna Fraser (soprano),
Hannah Fraser (mezzo-soprano),
Richard Black (tenore), Mark Donnelly (baritone), Andrew O’Connor (basso),
Antony Pitts (direttore artistico).


Tutto il creato ri/suona. L’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Lo fanno i corpi celesti, come si tramanda dall’armonia pitagorica alla musica planetaria di Keplero; altrettanto fa il DNA, oggetto di studio della compositrice Susan Alexjander, che per la composizione Sequencia (scritta nel 1990 e pubblicata nel 1994) creò un sistema microtonale basato proprio sulle frequenze della molecola elementare. Tutto è suono. È un pensiero antico che attraversa le epoche, dal premoderno all’attuale.
Al tempo stesso, da Platone in avanti ci si è interrogati se l’arte dovesse o meno imitare la natura, la cui musica seduce gli uomini sin dal tempo delle sirene. Tuttora dagli oceani arrivano i canti delle balene, delle orche e dei delfini, registrati, campionati, manipolati per ottenere musica new age o per ambienti.
Risalente sempre agli anni Novanta del secolo scorso è uno dei lavori più suggestivi in tal senso: Soundtrack Voor Het Aquarium, doppia sonorizzazione per i centocinquantanni dello zoo di Anversa, realizzata nel 1993 dai musicisti belgi Vidna Obmana (Dirk Serries) e Hybryds, duo composto da Magthea (Sandy Nijs) e Yasnaïa (Leen Smets). Bordoni elettronici mescolati con sampling di suoni emessi da orche e delfini per creare un suono davvero abissale. Ancora più alieno il risultato dello studio condotto nel 1986 dal neozelandese Graeme Revell, oggi affermatissimo compositore di colonne sonore, su un discreto campionario di insetti: mosche tse-tse, cicale, api, vespe, grilli, cavallette e scarafaggi. Titolo: The Insect Musicians. Siamo lontani dal celeberrimo Volo del calabrone di Nikolaj Rimskij-Korsakov, perché qui tutto è elettronica piuttosto crepitante. Dall’infinitamente grande all’infinitamente piccolo. L’elenco potrebbe continuare includendo altre voci della natura, ma i canti che si elevano sopra la terra destando maggiore ammirazione sono da sempre quelli degli uccelli.

Il canto dell’uccello beccaio bianco nero è stato registrato, studiato e trascritto da Hollis Taylor, musicologa, violinista, compositrice e ornitologa.

Dev’essere che più o meno tutti, in qualsiasi lingua, ai quattro angoli del mondo, da bambini ascoltiamo la favola dell’usignolo scritta da Hans Christian Andersen, ma fatto sta che il canto degli uccelli ha sedotto non pochi musicisti moderni di ieri e di oggi. I contributi anche recenti non mancano, esclusi i lavori che utilizzano registrazioni sul campo più o meno trattate per ricreare paesaggi sonori.
Uno per tutti il lavoro di Chris Watson, ex Cabaret Voltarie e Hafler Trio, intitolato In St Cuthbert’s Time: The Sounds of Lindisfarne and the Gospels (2013), dove il suono del vento e del mare si mescolano con vociare d’oche, cinguettii (forse di gabbiani del mare del Nord) e lo starnazzare d’anatre. Il riferimento d’obbligo in materia è però il compositore che più di tutti è stato sedotto dal canto dei piccoli pennuti: Olivier Messiaen. Il compositore francese non è l’unico ad aver tratto ispirazione dal canto degli uccelli, ma di sicuro è stato il primo a occuparsene in modo sistematico. Prima di lui si potrebbero ricordare le Impressioni dal vero (1911) di Gian Francesco Malipiero o l’opera di Leoš Janáček, La Petite Renarde rusée (1924) o composizioni di Heitor Villa Lobos, Chôro n. 10 (1926) e Amazonas (1917) così come lo stesso Arnold Schöenberg riconobbe all’epoca in cui nascevano le sue prime composizioni dodecafoniche (1922) che il canto degli uccelli possedeva una complessità ritmica molto superiore a quella della musica colta.
Fatto sta che nessuno ha amato e sia rimasto affascinato dal canto degli uccelli come Messiaen, al punto da considerarsi più un ornitologo che un compositore. Viaggiò in tutto il mondo, registrando il canto di numerose specie di volatili, realizzando delle trascrizioni, tra cui la più celebre è il vasto Catalogue d’Oiseaux, raccolta di musiche per pianoforte composta tra il 1956 e il 1958 che include tredici sezioni, ciascuna dedicata a un uccello di una differente regione della Francia. Opera monumentale, che riporta anche le caratteristiche del paesaggio e l’ora in cui è possibile ascoltare ognuno di questi uccelli, il cui canto qui permea integralmente le composizioni, dall’armonia al ritmo, dalle melodie ai timbri.

Quando Messiaen era ancora un giovane musicista, in Italia si era in piena età fascista e dalla radio, medium che il regime coltivava conscio delle sue potenzialità, si udiva tra un programma e un proclama un intervallo, una pausa di quindici secondi annunciata da un cinguettio. Era il cosiddetto “uccellino della radio”, ma in realtà si trattava di un congegno meccanico ideato e costruito per indicare inizio o fine trasmissione. Un dispositivo che imitava un fringuello, distribuendo tweet su tutto il territorio nazionale a partire dal 1925. Conquistò un suo posticino nell’immaginario di massa al punto di guadagnarsi anche una canzoncina nel 1940, L’uccellino della Radio, cantata da Silvana Luccesi.
Tornando in Francia, Messiaen ha avuto diversi epigoni, a iniziare dai suoi allievi François-Bernard Mâche e Jean-Louis Florentz o il quebechiano Gilles Tremblay, ma altri sembrano essere i lavori più interessanti scaturiti dalle suggestioni provocate dal canto degli uccelli. Spesso nidificano nel jazz.
Lavoro non recentissimo, ma ristampato nel 2018 è un disco del sassofonista britannico Evan Parker, leggendario protagonista della musica improvvisata europea. L’album si intitola Evan Parker with Birds e fu pubblicato la prima volta nel 2004 dalla Treader. Si compone di quattro improvvisazioni senza titolo in omaggio a un altro gigante del sassofono soprano, l’apolide Steve Lacy, scomparso quell’anno e a sua volta da sempre affascinato dal canto degli uccelli. Basti ricordare una sua composizione, The Duck (ma anche The New Duck, Japanese Duck e Swiss Duck), oggetto nell’arco della sua carriera di infinite variazioni. Nell’occasione, Parker abbandona il suo proverbiale effluvio di suoni, privilegiando il carattere melodico e sembra farsi guidare proprio dal canto degli uccelli registrati sul campo oltre che accompagnato da suoni d’ambiente ed elettronici preparati da John Coxon e Ashley Wales ovvero i membri della formazione Spring Heel Jack nonché creatori dell’etichetta Treader.
Nella prima delle quattro tranche siamo davvero immersi in una giungla immaginaria e Parker, mai così controllato e melodico, quasi a ricalcare il fraseggio lacyano, disegna paesaggi notturni intrisi di blues. Il suo è un canto d’amore, fatto di continui richiami che un coro indistinto di pennuti ricambia. Nell’improvvisazione successiva si invertono i ruoli e ai molteplici richiami degli uccelli il soprano risponde sfiorando il mimetismo perfetto al punto che in alcuni passaggi le due fonti sonore sono davvero indistinguibili.
Registrazioni sul campo, suoni elettronici percussivi fanno da protagonisti nella terza parte, quasi come si in azione ci fosse uno stormo di uccellini della radio impazziti. Nell’ultima improvvisazione Parker prima imbraccia il tenore, accompagnato da scricchiolii, radi suoni emessi dagli uccelli e altri d’origine incerta, scivolando verso una strana quiete. Il brano non si interrompe, prolungato da un lontano e insistito scampanio. Torna a farsi sentire qualche uccello e ulteriori suoni oscuri. Infine ricompare il soprano che accomiata dopo una lunga e dolente meditazione punteggiata da sparuti cinguettii e richiami.

 

Restando all’interno della scena jazzistica, un altro protagonista con frequenti incursioni nell’area dell’improvvisazione, il trombonista tedesco Albert Mangelsdorff è stato da sempre appassionato quanto studioso del canto degli uccelli. Preziosa testimonianza è l’album registrato nel 1973, Birds of Underground, in quintetto con Heinz Sauer al contralto, Gerd Dudek al tenore e una sezione ritmica conposta da Buschi Niedergal al contrabbasso e Peter Giger alla batteria. Il disco ristampato nel 2016 in alta risoluzione (digital download) chiarisce definitivamente anche l’origine aviaria del suo trombone multifonico e dei particolari effetti che produce.
Se il soprano di Parker e il trombone di Mangelsdorff svelano affinità con il canto degli uccelli, ne mostra ancor di più in genere il flauto e sempre di pertinenza del jazz, anche se in territori meno impervi. Un buon esempio arriva da un altro disco pubblicato quest’anno, Songbirds, della pianista e compositrice americana Diane Moser, in compagnia di due partner di talento: Anton Denner (flauto, ottavino) e Ken Filiano (contrabbasso). Nelle note di copertina si legge:

“Adoro ascoltare i suoni della natura, per me è come ascoltare una sinfonia, in particolare quando sento i maestri del lirismo in natura, ovvero gli uccelli. Negli ultimi dieci anni ho ascoltato molto il canto degli uccelli, ho giocato con loro, ho letto molto, mi sono documentata sul canto degli uccelli e ho iniziato a sperimentare con questo materiale la mia musica”.

Considerandoli come un ampio organico musicale, mossa da gran passione è giunta ad affermare di aver sempre voluto far parte del loro gruppo, della band. Tutto il disco è sorretto da una grande vena melodica e si apre con una composizione, dedicata a un altro gigante del jazz: Eric Dolphy, del quale si ricorda che in un’intervista del 1962, rilasciata alla rivista Down Beat, dichiarò che il canto degli uccelli era tra le sue fonti d’ispirazione. In particolare, laddove il flauto è davvero fornito d’ali è il brano Dancin’ With the Sparrows, dall’atmosfera decisamente orientale. Qualcosa che riguarda gli uccelli compare anche in un altro disco di quest’anno: The Urmuz Epigrams di John Zorn con il contributo di Ches Smith. Disco dedicato allo scrittore rumeno Urmuz, appassionato dell’assurdo e del bizzarro, indicato come precursore del dadaismo e del teatro dell’assurdo. Per essere all’altezza della situazione, Zorn ha duplicato i brani del disco, ripetendoli due volte. La prima scaletta propone i brani in versione moderna mentre la seconda, definita original, suona come vecchi settantotto giri, con quel tipico spettro sonoro polveroso con graffi e fruscii a profusione. Tra i brani uno dedicato ai pellicani, ovvero: The Pelican or the Pelicaness, che si ascolta in versione modern e original come tutti gli altri. Qui siamo però alla pura suggestione e ben altro risultato, occorre ricordarlo, ottenne in tal senso il compianto Simon Jeffes quando a metà anni settanta allestì la sua Penguin Cafe Orchestra in omaggio al più strano degli uccelli.
Direttamente al lavoro di Messiaen si sono ispirati invece il sassofonista Ab Baars e la violinista Ig Henneman (qui alla viola da gamba), olandesi noti per la loro attività nell’area delle musiche improvvisate. L’album è intitolato Canzoni di primavera e propone una sorta di free jazz da camera, ricco di dissonanze e accenni di melodie. Nei dieci brani si alternano fonti d’ispirazione eterogenee, perlopiù scrittori e poeti come Emily Dickinson e William Blake, ma il disco si apre con Réveil ispirato a Revéil des Oiseaux di Messiaen.


Chi però sembra davvero aver raccolto l’eredità del compositore francese è Hollis Taylor, musicologa, violinista, compositrice e ornitologa. Americana ma residente in Australia dal 2002, Taylor ha composto musica piuttosto varia, per orchestra, a brani ispirati alla musica folk dell’est europeo. Nel suo campo d’azione anche il jazz e le musiche d’avanguardia e fortemente improvvisate. Sopra tutto però c’è l’interesse anche scientifico maturato negli anni per il Cracticus nigrogularis (Pied Butchebird), ovvero l’uccello beccaio bianco nero, un passeriforme di medie dimensioni, che vive in Australia, noto per il suo particolarissimo canto. Hollis Taylor, a sua volta, ha studiato a lungo e registrato i canti di questi uccelli, ha trascritto il loro canto e da questo materiale ha elaborato brani musicali originali. La summa di questo studio è stata pubblicata lo scorso anno dalla ReR Megacorp in un doppio cd intitolato Absolute Bird, che raccoglie quarantuno composizioni e include un accuratissimo booklet riportante schede accuratissime dedicate ai singoli brani e un corredo fotografico sostanzioso.

Una delle trascrizioni realizzate da Hollis Taylor contenunte nell’album Absolute Bird.

La maggior parte di questi (trentacinque) sono di questi per strumenti soli con l’accompagnamento stesso del canto degli uccelli da lei registrati. Oltre la metà sono eseguite da Hollis Taylor al violino, ma l’estrema varietà delle “partiture originali” ha consentito anche di comporre i restanti brani per flauti, fagotto, vibrafono, clarinetto basso e contrabbasso. Nei restanti spicca il corpus di quattro composizioni affidate a un ensemble vocale, The Song Company e completano la scaletta un duo che vede Taylor in compagnia di Erkki Veltheim alla viola, insieme anche in quartetto con  James Cuddeford (violino anch’egli) e Daniel Yeadon (violoncello) per eseguire una strepitosa composizione per quartetto d’archi, Bird Esk for String Quartet, scritta dopo aver sentito cantare un gruppo di otto/dieci di questi volatili, che avevano colpito l’attenzione di Taylor per il grande impegno profuso nell’esecuzione, riuscendo a registrarli prima che, repentinamente una volta terminata la performance si sono involati. Difatti, l’uccello beccaio bianco nero ha sviluppato anche la capacità di cantare in gruppo, a più voci. Come annota Taylor:

“In primavera alcuni solisti cantano fino a sette ore per notte specialmente con la luna piena e ogni anno modificano il loro complesso canto. Si esibiscono esemplari di entrambi i sessi anche quando sono in gruppo. Inoltre, imitano altre specie animali, uccelli, ma anche gatti, cani, rane e cavalli, così come imitano i fischi degli esseri umani, gli antifurti delle macchine e le suonerie dei cellulari”.

Di fronte alla bellezza di alcune composizioni in particolare, viene da rispondere assolutamente sì al quesito che intitola proprio un saggio di Taylor: Is Birdsong Music? Si ascolti il rarefatto Owen Springs Reserve 2014 per vibrafono e registrazioni sul campo basato su un canto notturno, oppure Banana Paper, per contrabasso per così dire preparato, perché in occasione della registrazione venne frapposto un foglio di carta tra le corde e il manico su indicazione di Hollis, per ottenere un effetto di ronzio. Ebbene, sono brani che qualsiasi buongustaio di jazz contemporaneo apprezzerebbe. Lo stesso dicasi per le composizioni vocali, che nel caso di Ten Hockets: Bribie Island rimanda addirittura al mottetto medioevale, quindi superando agilmente il rischio di compiere un’operazione puramente concettuale.
In definitiva, sostiene Taylor, l’uccello beccaio bianco nero sembra in grado di selezionare la gamma dei suoni da emettere a seconda dei contesti con una varietà che lascia suppore una scelta che oltrepassa l’esecuzione di un rigido sistema di istruzioni. Creatività? Libero arbitrio? Di sicuro qualcosa nel canto di questi uccelli è manipolazione di un repertorio codificato.

Nel chiudere il cerchio si torna a Messiaen, al curioso omaggio che gli ha dedicato Økapi con la sua Aldo Kapi’s Orchestra sul finire del 2016. Lui in realtà si chiama Filippo Paolini, collagista sonoro di stanza a Roma. In questo caso, però, oltre al materiale musicale preregistrato su cui lavora, ha coinvolto anche due musicisti noti ai frequentatori storici delle altre musiche inglesi: il canterburyano Geoff Leigh, già con Henry Cow, Hatfield And The North e Slapp Happy e il giramondo Mike Cooper. I tre hanno messo mano a un materiale quanto mai eterogeneo – dai Three Sun campioni dell’exotica ai free improvisers dello Spontaneous Music Ensemble, dall’elettronica di Ryoji Ikeda a Messian, appunto – ricombinandolo, frullandolo, operando secondo i migliori dettami della saccheggiofonia (o plunderphonics, per dirla con il suo teorizzatore John Oswald).
Il risultato è di un’insostenibile leggerezza aliena: quella degli uccelli per intenderci.

Ascolti
  • Susan Alexjander, Sequencia, Science & The Arts, 1994.
  • Albert Mangelsdorff, Birds of Underground, MPS, 2016.
  • Baars-Henneman, Canzoni Di Primavera, Wig, 2018.
Olivier Messiaen, Catalogue d’Oiseaux, Pierre-Laurent Aimard (piano), Pentatone, 2018.
  • Økapi & Aldo Kapi’s Orchestra, Pardonne-Moi, Olivier! 16 Oiseaux Pour Olivier Messiaen, Off, 2016. 
Graeme Revell, The Insect Musicians, in Musique Brut Collection, The Fine Line, 1994.
  • Vidna Obmana, Soundtrack for the Aquarium, Hypnos, 2000. Hybryds, Soundtrack for the Antwerp Zoo Aquarium, Zoharum, 2011.
  • Chris Watson, In St Cuthbert’s Time: The Sounds of Lindisfarne and the Gospels, Touch, 2013.
  • John Zorn, The Urmuz Epigrams, Tzadik, 2018.