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ASCOLTI / FOR THE GHOSTS WITHIN
di Robert Wyatt, Gilad Atzmon, Ros Stephen / Domino Recording, 2010
L'incredibile e triste voce di
Mr. Wyatt e una lista snaturata

di Gennaro Fucile
Quando Robert Wyatt incise per la prima volta At Last I Am Free nel febbraio 1980, in compagnia di Frank Roberts al pianoforte e Mogotsi Mothle al contrabbasso, aveva trentacinque anni e da sette aveva smesso di essere un “bipede batterista” (Michael King, 1994). Il brano lo dedicò ad Angela Davis, allora militante del Communist Party of the United States of America (Wyatt si era da poco iscritto al Partito comunista inglese). Trent’anni dopo, quella vecchia canzone è rispuntata nell’album For The Ghosts Within (firmato con il sassofonista e clarinettista Gilad Atzmon e la violinista Ros Stephen) in una versione riveduta da Wyatt e corretta dal tempo, condensando in tre minuti parte della sua storia: quella che lo ha visto prediligere la musica scritta da altri. Una relazione privilegiata stretta qualche anno prima di registrare At Last I Am Free. All’epoca di quella prima versione, Wyatt era già autore di un capolavoro assoluto, Rock Bottom (1973), aveva fatto parte dei Soft Machine (vedi Quaderni d'Altri Tempi n. 9), formazione tra le più influenti della musica contemporanea, ne aveva capeggiato una seconda, i Matching Mole (vedi Quaderni d'Altri Tempi n. 9), se possibile ancor più visionaria; aveva firmato un primo album solista che sembra registrato domani, End Of An Ear (1970), dove si proponeva come un fantasmatico e sghembo crooner accompagnato da jazzisti inclini a distrarsi dal jazz e si era imposto anche come cantante, aggiudicandosi il secondo posto sia nella categoria dei “Migliori cantanti internazionali di sesso maschile” sia nella sezione “Migliori cantanti britannici di sesso maschile” nella classifica del Melody Maker del 1974, come risultò dai voti dei lettori della prestigiosa (all’epoca) rivista musicale inglese.

Sebbene avesse già ripreso in End Of An Ear una composizione di Gil Evans, Las Vegas Tango, Wyatt iniziò sistematicamente a coltivare l’arte della reinterpretazione, del rifacimento, della rielaborazione, insomma, della cover come è più in uso dire, solo a partire dal 1974, un anno dopo il volo dal quarto piano che lo inchiodò per sempre su una sedia a rotelle. Tutto nacque quasi per caso e sicuramente per gioco. Racconta lo stesso Wyatt: “Mi pare che in un’intervista mi avessero chiesto quali fossero le mie dieci canzoni preferite – una specie di ‘i dieci dischi che porteresti su un’isola deserta’ – e io avevo subito accettato perché mi diverto a stilare questi elenchi. La lista finì in mano a Simon Draper, della Virgin, che notò la presenza di un vecchio successo dei Monkees e mi chiese: ‘Dicevi sul serio?’. Io avevo bluffato, lui era venuto a vedere e quindi risposi di sì, entrai in studio e incisi I’m Believer” (ibidem). Una canzone che conoscono tutti, un hit mondiale, in Italia ebbe la sua bella cover, come era regola negli anni Sessanta: Sono bugiarda. La cantava Caterina Caselli, detta Casco d’oro. Quando un gruppo di amici diede uno storico concerto al Theatre Royal Drury Lane di Londra, l’8 settembre del 1974,  per aiutarlo economicamente con l’incasso dopo l’incidente e farlo letteralmente rientrare in scena, il gran finale fu affidato proprio a I’m Believer. Crema dell’avantgarde e del jazz inglese, gli amici val la pena di citarli tutti: Fred Frith, Julie Tippetts, Mike Oldfield, Gary Windo, Mongezi Feza, Hugh Hopper, Laurie Allan, Dave Stewart e Nick Mason dei Pink Floyd.

Il gioco delle cover, quindi nacque per gioco, ma anche perché si diventa ciò che si è. Si diventa le diverse nature che si annidano in ognuno di noi e quella di cantante era nelle corde di Wyatt, quella voce malinconica, secondo Ryuichi Sakamoto “la voce più triste del mondo”, quel falsetto da brividi, esile, sempre sul punto di frantumarsi, eppure… “Una volta qualcuno ha detto che la sua è la migliore ‘non voce’ che ci sia in giro. Certo, è un’ottima definizione. Ma penso che vada anche detto che la sua voce ti colpisce proprio al plesso solare” (ibidem). Parola di Honor Wyatt, la mamma, ma se è vero che ogni scarrafone è bello 'a mamma soja, Wyatt è l’eccezione che conferma la regola. La sua voce incanta, se ne è rapiti in un batter di ciglia, avvolti, come avviene durante l’ascolto dell’alchemico esperimento tenuto a Roma nel febbraio del 1981 (vedi Quaderni d'Altri Tempi n. 22) proprio mentre si dilettava a rifar canzoni. In quello stream of consciousness, infatti, faceva capolino la Billie’s Bounce di Charlie Parker, giusto una citazione di Revolution Without “R” di Neil Young e un accenno dell’Internazionale, che poi avrebbe anche pubblicato in versione completa nel doppio ellepì Reccomended Record Sampler, uscito il 1° maggio di quello stesso anno, raccolta/rassegna degli artisti dell’etichetta cuore di RIO (Rock In Opposition).

At Last I Am Free la riprese dal repertorio degli Chic, a detta di molti la più importante ed influente band della disco music. Si trattava di una soul ballad che nella sua versione rifulgeva di luce lunare. Venne pubblicata come 45 giri e sul retro si trovava un’altra cover: Strange Fruit di Billie Holiday. È proprio all’inizio del 1980 che Wyatt manifesta in modo deciso l’intenzione di crearsi un repertorio parallelo, composto da brani presi a prestito, canzoni che incide, segnandoli in modo indelebile, riportandoli a vita nuova. Quando registra At Last I’m Free, ha già prodotto altri due 45 giri: Arauco/Caimanera (il primo brano è della cantautrice cilena Violeta Parra e il secondo altro non è che la celeberrima Guantanamera) e Stalin Wasn’t Strallin’/Stalingrad. In realtà sono tre canzoni, poiché il lato B del secondo 45 giri, Stalingrad, è un testo scritto e recitato da Peter Blackman, mentre il lato A era stato scritto nel 1943 da Bill Johnson e inciso dal gruppo vocale gospel Golden Gate Jubilee Quartet. Sono tutte cover e la sequenza si allungherà con la registrazione qualche mese dopo di Grass, precedentemente inciso da Ivor Cutler (che fu ospite in Rock Bottom) e soprattutto per la spettacolare miniatura Rangers In The Night, rifacimento in sessanta secondi di Strangers in the Night, il mega hit di Frank Sinatra. Ancora una volta il titolo si modifica quasi a segnare ulteriormente una distanza dall’originale e, al tempo stesso, una presa di possesso del brano. Rangers In The Night è ricomparsa lo scorso anno nella raccolta Around Robert Wyatt.

Nel mezzo ci sono ancora altri brani ripresi nell’arco di trent’anni da Wyatt, pescando da repertori di peso come Shipbuilding di Elvis Costello, Biko di Peter Gabriel, Love di John Lennon, We Love You dei Rolling Stones (come ospite in virtù della sua voce triste nell’album Beauty di Ryuichi Sakamoto) e September Song di Kurt Weill (gettone di presenza in un EP di Pascal Comelade).

Un bouquet di canzoni imperdibili. Wyatt nel corso del tempo le ha registrate un po’ perché “è maledettamente difficile lavorare su materiale mio! Ecco perché preferisco di gran lunga rivisitare brani composti da altri o farmi coinvolgere in progetti altrui” (ibidem), ma anche perché, in fondo, è abitudine diffusissima.

Il rifacimento di un brano scritto da altri e spesso eseguito da qualcun altro ancora, è un modo di procedere sì moderno, che ufficialmente nasce insieme all’industria discografica, ma che a ben vedere possiede più di un legame con la classica trascrizione che per secoli i compositori di musica hanno praticato. Grandi e piccoli, compreso il sommo Johann Sebastian Bach che trascrisse da lavori di Arcangelo Corelli e Antonio Vivaldi. A ben vedere l’arte del rifacimento è la più praticata in musica, considerando anche le esecuzioni amatoriali a vario livello, sebbene, nella maggioranza dei casi, l’esito può dirsi discutibile, quasi sempre inascoltabile. Questo perché anche il semplice fischiettare un motivo è annoverabile tra le esecuzioni amatoriali. Anche nel cinema e in letteratura, seppure con meno frequenza, si registrano remake e riscritture, ma la differenza consiste nel fatto che mentre strimpellare un motivetto è alla portata di tutti, il rigirare un film o il riscrivere un romanzo sono imprese che comportano un impegno non indifferente. Può anche succedere che la molla sia l’ammirazione, la stima, che le cover diventino un generale omaggio e formazioni nate nel nome di un artista si trasformino nelle cosiddette cover band. Anche Wyatt, pur non essendo certo una pop/rock star ha ricevuto i suoi tributi; alla sua musica sono stati dedicati diversi album. Venne concepito in Francia MW pour Robert Wyatt (2001) che schierava un po’ di formazioni patafisiche come i Look de Bouk o i Toupidek Limonade e Comelade che ha omaggiato Wyatt in più occasioni.

Italiano è, invece, The Different You - Robert Wyatt E Noi (1998), con  la partecipazione tra gli altri di Almamegretta, Jovanotti, Mauro Pagani, gli Area e un insolito trio Cosentino/Battiato/Morgan, tutto dimenticabile, a tratti imbarazzante. In coda al brano Del mondo dei C.S.I. compare lo stesso Wyatt che canta in italiano, realizzando così una cover di un brano altrui in un concept album dedicato alla sua musica. C’è poi stato il progetto Soupsongs fortemente voluto dalla trombonista Annie Whitehead, anche documentato discograficamente in Soupsongs Live: Music of Robert Wyatt (2000), con una line-up di assoluto valore, che vedeva tra gli altri Julie Tippetts , Didier Malherbe, Harry Beckett  e Phil Manzanera. Nel 2009 ancora un tributo, dalla Francia, deludente come quello italiano, il citato Around Robert Wyatt, firmato dalla Orchestre National du Jazz, con numerosi ospiti tra cui Rokia Traoré. Vi partecipa lo stesso Wyatt che nell’occasione propone rifacimenti di sue precedenti versioni dando inizio a un gioco di specchi e di moltiplicazioni che contraddicendo Jorge Luis Borges, per una volta, nulla hanno di abominevole. Rifrazioni, echi, ritorni. Wyatt da un po’ di tempo ha anche imbracciato la tromba, canta, fischietta e talvolta sussurra. A metà strada tra Chet Baker e Gandalf the White, trent’anni dopo, quindi,Wyatt reincide At Last I Am Free. Questa volta i suoi compagni d’avventura sono, sì è detto, Gilad Atzmon già presente nei precedenti Cuckooland (2003) e Comicopera uscito nel 2007 (vedi Quaderni d'Altri Tempi n. 10), e Ros Stephen con il Sigamos String Quartet di cui la Stephen è leader, con l’aggiunta di Julian Rowlands al bandoneon e Richard Pryce al contrabasso. La versione qui proposta è un’emersione del passato di Wyatt. Un gioco d’echi sembra restituirci frammenti della precedente versione, fornendo la possibile cifra del lavoro complessivo sulla forma canzone che propone For The Ghosts Within, album a tripla firma, ideato da Atzmon e Stephen come raccolta di standard jazz da affidare alla voce di Wyatt.  La scaletta parla da sola: undici brani di cui otto non originali. Inoltre, tre di queste sono cover di cover, è Wyatt che reintepreta Wyatt, una rilettura elevata a potenza, che fa del nuovo album una summa del pensiero wyattiano riguardo alla delicata arte della cover. Non a caso, la raccolta viene definita un song cycle, quasi fosse una raccolta liederistica del XXI secolo. Come i lieder (Franz Schubert docet), infatti, qui si procede lavorando su materiali della cultura popolare, su songbook che sono stati protagonisti della storia musicale del Novecento. Lavora sulla memoria, sulla storia, sui morti e sui fantasmi interiori come recita il titolo, il senso dell’album che Wyatt ha spiegato in una recente intervista: “Normalmente i fantasmi sono considerati presenze negative, tristi, minacciose, la gente ha paura quando percepisce il passato che torna nel presente, quando, lo sente muoversi accanto a sé. Per me invece è il contrario i fantasmi esistono come forme di reliquie che i morti ci lasciano, cose con cui vivere e confrontarsi e per me queste vecchie canzoni sono fantasmi meravigliosi. Abbiamo un rapporto costante con i fantasmi, anche le case in cui abitiamo, i vestiti che portiamo contengono i fantasmi di chi ha costruito le case e di chi ha realizzato i vestiti. Parlerei di comunismo, anche se di solito il termine si applica a persone coeve, alle loro modalità di relazione e di rispetto reciproco. In ambito culturale, però, applicare un principio comunista significa rispettare allo stesso modo vivi e morti, significa non buttare via i morti solo perché non ci sono più fisicamente ma, al contrario, individuare il loro lascito, coglierne la parte migliore e farne buon uso” (Intervista rilasciata a Battiti, Radio Tre, puntata del 3/10/2010). Eccoli questi fantasmi. Laura scritta nel 1945 da David Raskin è canzone che sembra scritta per essere continuamente ripresa e basterebbe fare i nomi di Charlie Parker e Frank Sinatra, per capire che tra i precedenti ci sono pezzi da novanta.

Scritta da Johnny Burke e Bob Haggart, What’s New? venne cantata, tra gli altri, da Linda Ronstadt, da Ella Fitzgerald e dall’immancabile Sinatra, mentre Lush Life si deve alla penna preziosa di Billy Strayhorn, quasi un alter ego di Duke Ellington, avendo lavorato completamente o solo in parte a oltre duecento temi del repertorio ellingtoniano. Lush Life fece parte del repertorio di John Coltrane che la scelse come title track di un album omonimo (1960), ma anche di due figure di spicco della scena post free: il trombonista George Lewis e il violinista Leroy Jenkins. Ellington non manca nella raccolta, e del suo In A Sentimental Mood si può stilare un elenco lungo come quello telefonico per ricordarne tutte le cover; lo stesso dicasi per la Round Midnight di Thelonious Monk ivi inclusa (ma il titolo originale è Round About Midnight). At Last I Am Free non è l’unica cover al quadrato, qui Wyatt riprende anche Maryan, che compariva nel leggiadro Shleep (1998). Il brano porta la firma del chitarrista belga Philip Catherine, e come nel caso della composizione monkiana, il titolo originale (Nairam) è stato a sua volta “coverizzato”, riscritto. Wyatt la ripropone a tempo di marcetta, la conduce sotto cedri mediorientali, evaporandola nel finale. Anche Round Midnight era già stata incisa da Wyatt nel 1982, ma qui decide di fischiettarla andando a spasso tra il clarinetto di Atzmon (che cosparge seducenti profumi mediorientali un po’ in tutto l’album alternandosi al coltralto) e il quartetto d’archi, toccando uno dei vertici dell’album. In chiusura il vero coup de théâtre, un faccia a faccia tra due titani: da una parte Wyatt e dall’altra Louis Armstrong. Spunta dolce e malinconica una rivisitazione di What A Wonderful World. Le composizioni originali accentuano ancor di più la scelta di Wyatt. Sospinta da una epicità nobile e mesta, The Ghosts Within, è affidata alla voce interessante di Tali Atzmon (Wyatt è nel coro) così come il rap che sembra un foxtrot di Where Are They Now? scandito dalle voci di Stormtrap (Abboud Hashem) e Shadia Mansour, sorta di attualizzazione dell’interrogativo che Wyatt aveva usato in un suo disco del 1991, ovvero Dondestan (contrazione dello spagnolo Dónde están ahora?, Dove sono?, appunto). Solo Lullaby For Irena è cantata da Wyatt (ma non è firmata da lui); un brano particolarmente dolente nell’atmosfera e commovente nell’esecuzione.

Questo è For The Ghosts Within, trent’anni dopo la prima registrazione di At Last I Am Free. Tre decenni nel corso dei quali Wyatt ha realizzato una sua personale hit parade, una fila di canzoni rivedute e corrette, fuori dagli schemi, dalle mode e dalla banalità. La sua voce si imprime come un calco su ogni singola nota. Voce come bruma che non nasconde i brani originali, ma li trasfigura, li avvolge e li colloca altrove. Eppure, il cantante Robert Wyatt nacque giocando a far liste di canzoni, quelle da portare sull’isola deserta. Allora, perché non immaginarne una da proporgli, una lista dei desideri, come una letterina a Babbo Natale, che suonerebbe così: “Caro Babbo Natale, vorrei un disco dove Wyatt canta queste canzoni: Spooky, Season Of The Witch, For What It’s Worth, MacArthur Park, Ne me quitte pas, Avec le temps, Summertime, 29 settembre, Reginella, Lady Jane, Don't Let Me Be Misunderstood”. Alcune famose, qualcuna for connoisseurs e tutte che mirano a colpire al plesso solare. Dritto, per sempre.


Letture
× King M., Wrong Movements, A Robert Wyatt History, SAF Publishing Ltd, Wembley, Middlesex,1994, trad. it. di Alessandro Achilli, Falsi movimenti, una storia di Robert Wyatt, Arcana Editrice, Milano, 1994.

Ascolti

× AA.VV., MW pour Robert Wyatt, InPolysons, 2001.
× AA.VV., The Different You - Robert Wyatt E Noi, Consorzio Suonatori Indipendenti, 1998.
× AA.VV., Soupsongs Live: Music of Robert Wyatt, Jazzprint, 2000.
× AA.VV., Uncut Presents: Instant Karma 2002; a Tribute to John Lennon, Uncut records, 2002 (Wyatt è presente con Love).
× Comelade P., September Song, Les Disques Du Soleil Et De L'Acier, 2000.
× Orchestre National de Jazz, Around Robert Wyatt, Bee Jazz, 2009.
× Sakamoto R., Beauty, Virgin Japan, 1989.
× Wyatt R., The End Of An Ear, CBS, 1970, ristampa Columbia 2002.
× Wyatt R., Rock Bottom, Virgin, 1974, rist. Domino 2008.
× Wyatt R., Shleep, Hannibal/Rykodisc, 1997, rist. Domino
× Wyatt R., Theatre Royal Drury Lane 8 September 1974, Hannibal/Rykodisc, 2005, ristampa Domino 2008.
× Wyatt R., Comicopera, Domino 2007.
× Wyatt R., Cuckooland, Hannibal/Rykodisc, 2003, Domino 2008.
× Wyatt R., Radio Experiment Rome, February 1981, RaiTrade, 2009.
× Wyatt R., Nothing Can Stop Us, Rough Trade Records, 1982, ristampa Domino 2008. Include tra gli altri: At Last I Am Free, Caimanera, Grass, Stalin Wasn't Stallin', Shipbuilding, Strange Fruit.
× Wyatt R., Eps, Hannibal/Rykodisc, 1999, ristampa Domino 2008 (5cd box set). Include tra gli altri: I'm A Believer, Round Midnight, Biko e una versione remix di Maryan.