La costruzione cinematografica della realtà (prima parte) di Luca Bifulco

 


Il cinema, in particolar misura, sembra poter incarnare un terreno privilegiato per la rappresentazione di un immaginario condiviso e del dibattito che in una società emerge tra le forme di interpretazione del mondo. Parafrasando delle concezioni care a Pierre Sorlin, si può ipotizzare che il cinema non sia tanto un calco del reale, ma tratteggia ciò che una società considera visibile.[6] Il visibile rappresenta il modo attraverso cui un gruppo sociale raffigura gli aspetti che considera essenziali della realtà. Vale a dire, le aree di discussione, i temi che la collettività ritiene fondamentali, le varie tipologie di comprensione del reale, le varie risposte che possono essere concepite, ma anche tutti i dubbi, le ansie, le tendenze generalmente accettate.

Se si può parlare di uno specchio di un immaginario condiviso, peraltro supportato dal profondo realismo dell’esperienza visiva ed uditiva della fruizione filmica, è proprio perché il cinema mette in scena mondi possibili che rappresentano la maniera in cui una data società costruisce il senso di ciò che reputa reale. I film sono frutto del lavoro in genere collettivo, anche sotto il profilo creativo, ed in più sono diretti ad un pubblico esteso che, per esserne attratto, deve potersi identificare con i temi ed i significati complessivi. In pratica, deve crearsi uno spazio di senso e di pathos condiviso socialmente in cui il vissuto individuale interagisce con gli universi simbolici che i film aiutano a far sedimentare. Come direbbe Edgar Morin, una cultura, in quanto insieme di simboli, miti, archetipi, regole, immagini, valori «fornisce punti di appoggio immaginari alla vita pratica» e «punti di appoggio pratici alla vita immaginaria[7]», ovvero offre interpretazioni, visioni del mondo, procedure esemplari per affrontare la quotidianità e comprenderla attraverso costrutti condivisi socialmente. Ed il cinema, come prodotto della cultura di massa, in virtù del suo bacino d’utenza e del suo impatto emotivo, è un amplificatore portentoso di quei significati collettivi che danno senso alla realtà. Ma è anche, nel suo complesso, un’arena fondamentale in cui si confrontano idee ed impressioni diverse, ma comunque diffuse, che danno conto del continuo dinamismo della costruzione sociale del reale.

In definitiva, il cinema partecipa, in quanto procedura estetica e culturale prioritaria nella modernità avanzata, a buona parte dei dibattiti centrali della società moderna.

I film, specie quelli di successo, possono presumere di riflettere un immaginario condiviso, timori, ansie ed idee comuni ad un organismo sociale. Ciò in virtù della sintonia degli orientamenti proposti con il sentire di un pubblico numeroso che può trovare facilmente punti di contatto con cui identificarsi. Ma, soprattutto nel caso di autori di grosso profilo, dalla spiccata sensibilità e con una produzione accreditata al grande pubblico, sembrano coniugarsi differenti istanze fondamentali: le loro opere riescono ad inserirsi negli interstizi delle tematiche socialmente rilevanti, a comprendere e fare proprie le idee e le emozioni che il proprio contesto socio-storico suggerisce, ma si pongono anche come proposte di interpretazione, come elaborazioni e commenti singolari. Come tutte le grandi opere dell’ingegno intellettivo, anche i film di maggiore validità, quelli che rimangono nella memoria o che accendono discussioni pubbliche, sono così, allo stesso tempo, figli della loro epoca ed argomentazioni genuine. Essi hanno la capacità di erigersi a portavoce dei temi che la collettività considera fondamentali, fornendo, come chiunque partecipi ad un dibattito sentito, un proprio corpus di interpretazioni. Argomentazioni non per forza frutto razionalizzazioni rigorose, dal momento che molti significati possono essere elaborati in modo inconsapevole, quasi istintivo, semplicemente nel libero avallo della propria indole creativa. È forse in una simile sensibilità istintiva che si regge il legame con le impressioni collettive.

Questi film, insomma, che potremmo definire paradigmatici, avvertono l’esistenza di preoccupazioni condivise, di argomenti che l’attenzione collettiva sembra avere a cuore, dipanando, sviscerando, mettendo in scena criticamente le caratteristiche dettagliate delle questioni, senza esimersi dall’offrire punti di vista.

Allora, per noi, queste opere rappresentano, ovviamente, innanzitutto degli affreschi oggettivi capaci di documentare visivamente gli ambienti, le tecniche, le esperienze concrete, gli stili di vita effettivi della loro epoca. In pratica, tracce involontarie sui costumi e sui modi di vita concreti. Ma studiare tali film vuol dire anche visualizzare il clima culturale dell’epoca che li ha partoriti, comprenderne le tematiche precipue, finanche una serie di inquietudini generalmente condivise, senza considerare semplicisticamente la prospettiva di un autore come il segno incontrovertibile ed univoco dello spirito del tempo o dei propositi di un intero corpus sociale.

Ad ogni modo, è ovvio che la ricorrenza, in molteplici opere, di elementi e rappresentazioni specifiche non può passare inosservata. La presenza di convergenze in film di qualità, di grossa risonanza e di successo rimarchevole, può testimoniare insomma l’esistenza di un immaginario esteso, la partecipazione ad universi simbolici rilevanti, il loro rispecchiare o prendere parte ad un senso di realtà elaborato diffusamente. Sia esso indice di una stabilità dei significati o dell’affacciarsi di trasformazioni o di visioni del mondo innovative.


[6] Cfr. Pierre Sorlin (1977), Sociologia del cinema, Garzanti, Milano 1979, pp. 68-75 e pp. 240-254.

[7] Edgar Morin (1962), Lo spirito del tempo, Meltemi, Roma 2005, p. 31.

 

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