La costruzione cinematografica della realtà (prima parte) di Luca Bifulco

 


Il senso della realtà, l’esperienza del mondo è dunque sempre il frutto della condivisione di significati prodotti dall’ambiente sociale come risultato dei continui scambi comunicativi al suo interno. Gli individui ed i gruppi possono orientare le loro attività quotidiane e la loro interpretazione della realtà attraverso la conoscenza dei vari ruoli, delle regole, dei comportamenti consentiti, delle differenti situazioni sociali, degli oggetti e delle loro funzioni definite socialmente, ma anche dei valori e degli apparati simbolici con cui si motiva l’agire o si dà senso all’intera esistenza. Tutte queste coordinate per l’azione, ma anche per la definizione del senso d’ogni cosa, sono il frutto di complesse stipule sociali che consentono di elaborare un patrimonio di saperi comuni in forma tipico-ideale e dunque adattabile ad ogni circostanza specifica.[4] È allora dall’imponderabile pratica intersoggettiva che si riesce a lubrificare un immaginario condiviso utile per la comprensione reciproca, per la convivenza e per inserire l’esistenza individuale e collettiva in unità significative coerenti.

Così, anche gli universi simbolici, con il loro corpus di rappresentazioni atto ad elaborare il senso condiviso della realtà e legittimare i vissuti individuali o gli istituti sociali, si cristallizzano in virtù delle diverse pratiche di interazione.[5] E tali significati, che poi sono il portato di una determinata cultura, sono il prodotto della socialità umana e delle sue attività comunicative, ma – come abbiamo detto – diventano fondamentali riferimenti per definire ed arricchire l’interpretazione comune del mondo. Le loro oggettivazioni simboliche, insomma, partecipano da protagoniste indiscusse al dibattito sociale – un dibattito complesso, dalle trame illimitate e non preordinabili – con cui una collettività definisce il proprio orientamento. E, in ossequio ad un rapporto dialettico molto forte, eventuali sconvolgimenti delle pratiche o delle tendenze quotidiane ed eventuali rivoluzioni culturali, magari in virtù dell’incidenza di universi simbolici concorrenti, vivono una condizione di reciproca determinazione, richiamandosi vicendevolmente.

Sulla scorta delle precedenti affermazioni, è possibile sostenere anche che tra il cosiddetto immaginario collettivo, mediato culturalmente, e l’esistenza tangibile esista un legame intenso. Per immaginario collettivo si intende, in genere, quel composito assortimento di significati che racchiude archetipi, simboli, miti, valori comuni, ma anche aspettative, ossessioni, fantasmi, timori condivisi. Insomma, una vera e propria visione del mondo, un’ambientazione ideale in cui si immerge l’individuo per attingere interpretazioni della realtà – elaborate in seno alla collettività in virtù dei processi di definizione intersoggettiva dei significati – e poter così affrontare la vita pratica. Non dunque un mero spazio in cui l’immaginazione vaga liberamente, prodiga di vacue illusioni personali o comuni, ma uno scenario variegato, fatto di giudizi, aspirazioni, progetti, paure, che accompagna la quotidianità. In definitiva, un complesso di schemi mentali, atteggiamenti, corpus valoriali che, in una dimensione tanto sociale quanto individuale, elabora e completa ciò che percepiamo come nostra esperienza concreta.

L’insieme di significati che un immaginario abbraccia è comunque oggetto di un’elaborazione continua. Una visione del mondo deve essere costantemente confermata all’interno delle attività sociali e comunicative, in modo da trasmettere e rafforzare quegli elementi inconsapevoli che plasmano l’orizzonte cognitivo di un gruppo. Ma, al contempo, è possibile che all’interno della comunicazione sociale una certa immagine del mondo possa essere messa in discussione, che possano emergere ed acquisire consistenza significati contrastanti capaci di dare linfa a potenziali cambiamenti. Insomma, la realtà costruita socialmente è sempre materia di un implicito dibattito sociale, che è poi particolarmente sensibile all’intervento dei contributi culturali ed estetici. Infatti, il pensiero intellettuale e i prodotti estetici da un lato possono avere la sensibilità giusta per riflettere e promuovere lo spirito che aleggia in un momento storico, con le sue idee e le sue impressioni dominanti; dall’altro possono essere promotori di un nuovo orizzonte simbolico, di nuove interpretazioni dell’esistenza e, così, di un innovativo impulso pratico. È per questo che il pensiero che una certa epoca accoglie, o anche i suoi oggetti estetici, appaiono validi indicatori dell’immaginario prevalente oppure delle nuove proposte di senso che reclamano spazio. In un caso o nell’altro, essi rendono conto delle dispute simboliche che infiammano un contesto socio-storico.

 


[4] In merito ai tipi ideali, soprattutto per quanto concerne i ruoli e le relazioni sociali, cfr. Alfred Schütz (1932), La fenomenologia del mondo sociale, il Mulino, Bologna 1974, pp. 199 e sgg.

[5] Cfr. Peter L. Berger, Thomas Luckmann (1966), La realtà come costruzione sociale, cit., pp. 138 e sgg.

 

    [1] (2) [3]