La costruzione cinematografica
della realtà*
(prima parte)

 

di Luca Bifulco



L’esperienza temporale nella vita quotidiana, per ogni uomo e in ogni epoca, assume sempre caratteristiche svariate e multiformi. Ognuno di noi vive a contatto con molteplici tempi e punti di riferimento temporale che si confondono e si compenetrano. Ognuno infatti può sperimentare, ad esempio, l’alternanza ciclica del giorno solare, delle stagioni o perfino dei propri pasti, ma anche l’irreversibilità del corso della vita, o addirittura la singolarità della percezione del tempo in specifiche circostanze vissute, come può essere per una donna il momento del parto.[1]

La percezione del tempo è in qualche misura legata a quella del movimento o del mutamento. È infatti una costruzione fondamentale per sintonizzare in una rappresentazione unitaria la successione di eventi, la loro durata o anche la loro persistenza presunta. Ma il tempo è anche, e soprattutto, un ausilio essenziale per orientare e coordinare l’azione sociale, per armonizzare le diverse pratiche umane tra loro ed in funzione di eventi naturali.[2] Ogni contesto sociale ha un modo specifico per regolare la propria attività, e, per far ciò, elabora un serie di riferimenti temporali che possano incorniciare, secondo principi condivisi, l’esperienza collettiva e dare punti d’appoggio anche all’esistenza individuale. Le coordinate temporali sono, in pratica, frutto dei bisogni della collettività, e dunque costruzioni sociali. Edifici collettivi che poi agiscono sull’organizzazione sociale stessa e sull’individuo, il quale se ne appropria trasformandoli in forme di autoregolazione e di interpretazione del reale. Non esiste allora una sensazione temporale definita solo dalla natura umana, ma si tratta sempre del frutto di mediazioni socio-culturali.

Ogni consorzio sociale, inoltre, ha una propria immagine del tempo. Vale a dire, rappresentazioni oggettive del concetto di tempo che partecipano energicamente alla formulazione di quel sapere, condiviso sebbene spesse volte tacito, relativo alla propria esistenza. In sostanza, l’idea di tempo che un gruppo fa propria alimenta la sua visione del mondo e la sua azione in esso, fornisce essenziali punti di riferimento immaginari con cui esso interpreta la realtà e le dà senso.  Possiamo ipotizzare che si tratti di un aspetto di sicuro rilevante dei cosiddetti universi simbolici, ovvero di quegli insiemi di significati, di quelle teorie generali sull’uomo e sui suoi ambiti esistenziali che integrano tutte le componenti della vita sociale all’interno di un ordine di senso comune.[3] Così, le definizioni del tempo che una società fa proprie, e che spesso germogliano all’interno della complessa relazione tra il pensiero – specie quello elaborato dalle élites – le pratiche multiformi della comunicazione e le effettive condizioni socio-storiche, finiscono per modellare un immaginario complesso che incanala i progetti di vita individuali e collettivi, gli umori di un’epoca, le stesse forme di programmazione politica. Delle totalizzazioni artificiali, non c’è dubbio, ma comunque capaci di indirizzare i significati condivisi e le azioni individuali e collettive.

In pratica, le differenti rappresentazioni che una civiltà privilegia per concepire il tempo, intendendolo ad esempio come lineare, ciclico o puntiforme – ironia della sorte, categorie sovente prese a prestito dalle caratteristiche dello spazio – la inducono ad identificare un proprio modo canonico di pensare il mondo ed agire. Una società che ha una visione del tempo lineare, simboleggiata dall’andamento di una freccia, presumibilmente valuterà fondamentale intervenire in maniera progettuale sul corso degli eventi per forgiare il futuro. Molto di più di una civiltà che crede nella ciclicità del tempo, oppure che confida nell’invariabilità e nella statica immutabilità delle cose, o che si sente schiacciata in un presente improduttivo. Ciò sebbene in ogni caso possano sorgere valutazioni innovative ed originali che contrastano con le formulazioni ortodosse generalmente associate alle varie concezioni temporali.

In definitiva, allora, ogni epoca ha le proprie rappresentazioni dominanti, sebbene non completamente esclusive ed invariabili, con cui raffigura il suo rapporto con il passato, il presente ed il futuro, arricchendo così di senso le proprie istituzioni, l’agire, l’essere, in pratica il proprio orientamento complessivo. Comprendere tali idee, identificarne l’aspetto, la funzione ed il loro impulso nei vari contesti socio-storici, vuol dire penetrare ogni volta il diverso spirito prevalente che pervade i molteplici momenti della storia.
 

* Estratto e rielaborato dall’autore dal volume “I tempi della modernità “recensito in questo numero di Quaderni d’Altri Tempi


[1] Cfr. Barbara Adam (1995), Timewatch. Per un’analisi sociale del tempo, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2005.

[2] In merito alla natura sociale del tempo, cfr. l’intero saggio di Norbert Elias (1984), Saggio sul tempo, il Mulino, Bolgna 1986 e i vari interventi presenti in Simonetta Tabboni (1990), (a cura di), Tempo e società, Franco Angeli, Milano.

[3] Per un’analisi dettagliata degli universi simbolici, cfr. Peter L. Berger, Thomas Luckmann (1966), La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna 1969, pp. 136-178.

 

    (1) [2] [3]