Non ci si improvvisa
improvvisatori in musica

Alessandro Sbordoni, 

Antonio Rostagno (a cura di)
Free Improvisation:
History and Perspectives
Lim, Lucca, 2018

pp. 335, € 30

Alessandro Sbordoni, 

Antonio Rostagno (a cura di)
Free Improvisation:
History and Perspectives
Lim, Lucca, 2018

pp. 335, € 30


Un crescente interesse verso ciò che è chiamato free improvisation serpeggia nei recenti studi musicologici: il telescopio è puntato sugli anni Sessanta e Settanta, da un lato per rilevare momenti in cui il fenomeno è stato particolarmente acceso, dall’altro per investigare criteri teoretici e analitici e chiarire la natura dell’improvvisazione. Prova ne sia la conferenza intitolata A partire da un’intesa… – Building on a shared vision… organizzata nel dicembre 2017 dall’Associazione Nuova Consonanza presso il museo d’arte contemporanea Macro di Roma. Dall’iniziativa è scaturito in seguito un volume in lingua inglese, Free Improvisation: History and Perspectives, nel quale voci importanti della ricerca e della pratica improvvisativa a maggioranza italiana sviluppano un ampio corpo di considerazioni, declinando il tema secondo schemi diversificati, a partire dall’esperienza del Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza; viene così assunta una posizione importante nel chiarire le strategie che i musicisti hanno adottato e adottano ancora nei confronti della creatività musicale di cui sono responsabili.

Ripartire da GINC
Prima di addentrarci nello specifico del volume, torneranno utili alcuni cenni su Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza (GINC), che nella sua formazione iniziale vedeva all’opera anche Ennio Morricone. La sua storia inizia sul finire degli anni Cinquanta, quando i compositori Mario Bertoncini, Mauro Bortolotti, Aldo Clementi, Antonio De Blasio, Domenico Guaccero, Egisto Macchi, Daniele Paris e Francesco Pennisi insieme a Franco Evangelisti di ritorno dall’esperienza in Germania (in quella capitale dell’avanguardia all’epoca: Darmstadt) fondano Nuova Consonanza, un’associazione impegnata nella promozione di nuova musica a mezzo festival, convegni, conferenze e attività concertistiche; nel suo seno si attiva il gruppo di compositori e musicisti riunito nella sigla GINC da Evangelisti che assunse presto il comando delle operazioni.
Il Gruppo principia i suoi interventi nel 1964 disegnando traiettorie musicali fino al 1980: una esperienza di artisti europei che, sulla scorta di esperienze quali l’indeterminazione presente nelle opere di musica contemporanea di tradizione colta degli anni Cinquanta in cui l’interprete è chiamato a operare scelte ex tempore improntate a caratteristiche di immediatezza e istantaneità, fanno riferimento in modo esplicito all’attività improvvisativa tout court (cfr. Caporaletti, 2005).

Da contestualizzare all’interno del dibattito artistico delle avanguardie europee post-seriali, le motivazioni estetiche del movimento improvvisativo nella direzione posta da Evangelisti si riflettono nella totale assenza di provocazione visiva, vale a dire della notazione: Evangelisti concepisce infatti il collettivo improvvisativo come “un aggregato di compositori che si uniscono per cercare un linguaggio comune espressione del gruppo. […] I confini entro i quali vi è la libertà di espressione sono quelli del sistema temperato con la sua storia; così il gruppo usa un linguaggio estremo […] con l’impiego straordinario di mezzi extrastrumentali […], invenzione continua del timbro, diversi attacchi dei suoi, mezzi elettronici in presa diretta, l’uso delle voci intese come impulso-fonemi” (Evangelisti, 1979).
Il risultato lo ha ben sintetizzato John Zorn nel booklet che accompagna la retrospettiva dedicata a GINC da Die Schachtel con la pubblicazione di Azioni (2006) definendo “il Gruppo come brillante e prolifico collettivo di compositori in grado di esplorare tecniche estese e nuove fonti sonore attraverso il medium dell’improvvisazione. E […] sebbene un prodotto della loro epoca, la loro musica rimane senza tempo”. Ricordiamo che nel decennale di quella pubblicazione, Die Schachtel ha realizzato una nuova edizione arricchita con tredici improvvisazioni inedite risalenti al biennio 1968/1969 raccolte sotto il titolo di Reazioni. Inoltre, un’accurata ricognizione dell’attività di Nuova Consonanza viene offerta da Daniela Tortora in un testo dall’indicativo sottotitolo Trent’anni di musica contemporanea in Italia (Tortora, 1990).

Free Improvisation: History and Perspectives
Tornando a Free Improvisation: History and Perspectives, il libro si presenta strutturato in due parti e passa in rassegna, in modo forse disorganico, diversi elementi che contribuiscono a chiarire la complessità della musica contemporanea improvvisata.
Apre i lavori Paul Steinbeck con un agile intervento che descrive le pratiche sociali e musicali di “Art Ensemble of Chicago come una torta formata di cinque ingredienti” – parole di Joseph Jarman, che aggiunge – “rimuovi uno degli ingredienti e la torta non esiste più”. Il resoconto presente in Grande Musica Nera. Storia dell’Art Ensemble of Chicago (Steinbeck, 2017) viene innervato da alcune considerazioni del professore e musicista americano che riflette sui motivi di fondo dell’esperienza chicagoana la cui storia sociale si intreccia in modo intermittente con la composizione paradigmatica dei cinque ragazzi terribili dell’improvvisazione collettiva.

Tocca a Giovanni Guaccero fare ritorno in Italia, precisamente a Roma, e considerare motivazioni, linguaggi e relazioni con il contesto degli anni Sessanta e Settanta nell’uso dell’improvvisazione. Torna dunque sul luogo del delitto, se consideriamo la sua importante pubblicazione dal titolo L’improvvisazione nelle avanguardie musicali. Roma, 1965 – 1978 (Guaccero, 2013): la proposta di una koiné della pratica improvvisativa nella Roma di quegli anni ha il merito di legare interessi creativi e scopi didattici per spingersi fino alle riflessioni teoretiche, accordandosi al personale impegno dell’autore. Roma rappresentò un polo d’attrazione rilevante nel contatto con l’Europa: se la proposta di Guaccero resta una ricostruzione teoreticamente orientata, l’intervento seguente di Alessandro Mastropietro indugia sul debutto del Gruppo tra Roma e Firenze, anno domini 1965.
Anche Alberto Massarotto si ferma a Roma, ripercorre il soggiorno italiano di Cornelius Cardew nei fecondi anni Sessanta raccogliendo quei diversi momenti della vita e del pensiero del compositore intrecciati della koiné di cui sopra: Cardew avrebbe iniziato a essere invischiato nella free improvisation proprio a Roma grazie alla presenza di musicisti quali Evangelisti, Clementi, Ivan Vandor, Alvin Curran, Bill Smith, John Eaton, John Heineman e Bertoncini; negli stessi anni il compositore britannico andava stendendo la sua personalissima composizione Treatise, pubblicando anche una sorta di prefazione alla lettura dell’opera, il Treatise Handbook, facendo tesoro delle lezioni sull’orchestra di Goffredo Petrassi. Erano anni al massimo grado tensivi, come dimostra il personale sviluppo di una suggestione a partire dal pianoforte nel testo in cui Luigi Pizzaleo analizza le posizioni, diverse e dialoganti, di Bertoncini e Walter Branchi nel saggio Music, Language, Crisis.

Viene tematizzato il confronto con lo strumento cardine della tradizione musicale occidente in odore di modernità, il pianoforte, a partire dallo sforzo impagabile di un pensiero musicale che si sia scontrato con le condizioni materiali della composizione: Branchi da un lato (una importante prova si trova in Il pensiero musicale sistemico; Branchi, 2017), Bertoncini dall’altro (come occorre nel testo Ragionamenti musicali in forma di dialogo; Bertoncini, 2013), nel centro una musica che non parla più, piuttosto accade definendo il movimento dal segno alla circostanza secondo una formula più tardi presentata dallo stesso Walter Branchi.
Curran offre una lettura storico culturale che percorre cinquanta anni di musica da lui definita unpopular. Il testo si apre con una citazione di Giuseppe Chiari: “La musica è niente, ma è nostra”, rivelando quel gradiente politico che anima a più riprese le pieghe del suo racconto fino a spingersi con acume alla musica dei nostri giorni, rivelandosi parte del pubblico.
Un contributo davvero utile per richiamare alla memoria i punti di fuga che segnano la storia recente della musica improvvisata; e la testimonianza di Curran viene in soccorso al lettore che voglia farsi un’idea di questa singolare lingua franca. Così il contributo seguente, quello di Alessandro Bertinetto, si spinge oltre riflettendo sull’articolazione di una filosofia della free improvisation: nel solco delle sue continue ricerche e continuate pubblicazioni (si veda per esempio Eseguire l’inatteso. Ontologia della musica e dell’improvvisazione; Bertinetto, 2016), l’autore sviluppa alcune argomentazioni che definiscono i motivi di una filosofia dell’improvvisazione; importante e aggiornata è la letteratura di riferimento adottata nella precisazione di un testo che fa della perspicuità il suo interesse.
Tocca a Branchi fare filosofia dell’ascolto: col suo intervento The Sound to Be Heard Becomes the Sound to Be Listened ancora una volta suggerisce un cambio di paradigma in grado di aprire l’ascolto alla circostanza evitando la direzione narrativa. Il saggio di Branchi rivela l’urgenza di ripensare radicalmente il circostante come tutto quello che non possiamo dimenticare in funzione della musica: “we must not forget that we are the circumstance”.

Segue l’intervento di Vincenzo Santarcangelo che analizza l’attività di GINC tra gli anni 1965-1980 come metaimprovvisazione riferita al paradigma enattivo, formulato da Jerome Bruner nel 1966 come modalità di rappresentazione alla base della conoscenza del mondo che deriva dal movimento e dunque particolarmente indicato nel riferimento alla conduction. Daniele Goldoni poco più avanti rielabora la free improvisation come no idiomatic music: un saggio corposo, complesso, che fa bottino, tra gli altri, di Ludwig Wittgenstein, Evangelisti e Pauline Oliveros.
Alessandro Sbordoni presenta diversi interrogativi (quale la fine, quale l’inizio di una improvvisazione?) grazie a un’ottima costruzione su basi filosofiche, di filosofia morale per l’esattezza: la tematizzazione del dialogo “as a deeply partecipative instance of the present personalities, as a deep and convergent consonance of sounds and formal hints” stagliata sull’esperienza di GINC primariamente, ma anche di Giacinto Scelsi e Luigi Nono poco dopo.
Chiude questa prima parte il richiamo etnomusicologico di Giovanni Giuriati, aperto a futuri attraversamenti disciplinari dopo averne individuato un possibile orientamento nella dialettica normatività-creatività. Come si evince dai differenti gradi di analisi e interpretazione proposti in questi interventi, il libro consente al lettore di farsi un’idea della singolare eterogeneità della faccenda improvvisazione, grazie anche al felice pretesto dell’esperienza di GINC.

Multiautorialità e pratiche improvvisative
Nella seconda parte, a cura del dottorato di ricerca in Musica e Spettacolo dell’Università Sapienza di Roma, dodici interventi sviluppano l’indagine interrogando i criteri della multiautorialità nel cantautorato, metal-rock e film per sfociare nelle finali ricostruzioni dedicate a Evangelisti e Scelsi.
Dopo l’introduzione di Antonio Rostagno, a segnalare affinità e divergenze con la precedente sezione, tocca a Vera Vecchiarelli presentare Via del Campo di Fabrizio De André intrecciando rigorosa analisi musicologica (quando compara una villanella col tema iniziale della celebre traccia contenuta in Vol. 1° del 1967) e acuta indagine sul tipo di autorialità proposta, solitaria e pienamente autonoma.
Gianluca Chielini sgombra il campo da possibili filiazioni dell’heavy metal alla free improvisation, eppure ne ricostruisce la storia al fine di mostrarne le connessioni. Renata Scognamiglio ricompone quei materiali che articolano le atmosfere audiovisive investigando il tema della musica applicata alle immagini, stavolta improvvisata, in un contributo che si apre nel segno di Sigfried Kracauer.
Luisa Santacesaria immagina una serie di concerti per il suo contributo: presenta le sue scelte, le contestualizza in una mappatura dei gruppi di improvvisazione italiani diversamente attivi nei disparati porti franchi della musica ascoltata raramente. Un’occasione importante per tastare il polso della scena italiana: un’occasione ancora migliore qualora questa serie di concerti possa davvero realizzarsi come immaginata.
Il divulgatore e scrittore Giancarlo Schiaffini (Schiaffini, 2011; 2018) chiama in causa l’interprete Giancarlo Schiaffini per presentare alcuni meccanismi della free improvisation: un testo denso, utile per percorrere le istanze etiche prima che estetiche che ancora motivano la pratica improvvisativa come scelta non solo poetica, anche politica. La divisione in paragrafi (Talent and Memory, Practice and Work, Creativity, Error and Mistake) sviluppa adeguatamente il discorso prima di arrestarsi nella lapidaria frase conclusiva: “never improvise improvisation”.

Le uniche due pagine in italiano sono proprio nell’appendice futurista inserita subito, L’improvvisazione musicale (1921) di Mario Bartoccini e Aldo Mantia. Segue il contributo di Vincenzo Caporaletti, già autore del testo I processi improvvisativi nella musica. Un approccio globale (Caporaletti, 2005), che presenta e sviluppa ulteriormente il suo modello teoretico-musicologico delle musiche audio-tattili, stavolta applicato all’esperienza di GINC. Chiudono cinque diversi interventi che ritornano sul motivo principale di quella conferenza, presentando lavori di ricerca dedicati da un lato a Evangelisti, animatore non solo di GINC ma proprio tutta la scena musicale romana tra gli anni Sessanta e Settanta, dall’altro all’esperienza romana di Scelsi, che si servì dell’improvvisazione come atteggiamento e disposizione nei confronti della composizione. A partire dal titolo che si raccorda a una precedente uscita in casa Lim, Improvvisazione oggi (2014) a cura di Alessandro Sbordoni, questa nuova pubblicazione offre uno sguardo partecipato sull’esperienza del GINC facendo tesoro della diffusa messe bibliografica prodotta negli anni che ci separano da quei turbolenti anni Sessanta e Settanta.
In conclusione, questa pubblicazione resta utile per rimarcare l’importanza di un pensiero dell’improvvisazione in aperta continuità con la sua pratica: lavori come questi danno modo ai lettori di chiarire l’orizzonte storico-culturale entro il quale poter cogliere il valore della pratica improvvisativa nella tradizione non solo euro-colta.

Ascolti
  • GINC, Improvisationen, Deutsche Grammophon’s Avant Garde series, 1969.
  • GINC, 1967-1975, Edition RZ, 2005.
  • GINC, Nuova Consonanza, Bella Casa, 2008.
  • GINC, Musica su schemi, Superior Viaduct, 2014.
  • GINC, Gruppo d’improvvisazione Nuova Consonanza, Superior Viaduct, 2014.
  • GINC, Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza, Schema, 2016.
  • GINC, Azioni/Reazioni, Die Schachtel, 2017.
  • Ennio Morricone – Gli occhi freddi della paura, Tiger Bay, 2018.
Letture
  • Alessandro Bertinetto, Eseguire l’inatteso. Ontologia della musica e dell’improvvisazione, Il Glifo, Roma, 2016.
  • Mario Bertoncini, Ragionamenti musicali in forma di dialogo, (testo introduttivo di Daniela Tortora), Aracne, Roma, 2013.
  • Walter Branchi, Il pensiero musicale sistemico, a cura di Luigi Pizzaleo, Aracne, Roma, 2017.
  • Vincenzo Caporaletti, I processi improvvisativi nella musica. Un approccio globale, Lim, Lucca, 2005.
  • Cornelius Cardew, Treatise Handbook, in: A Reader, Edwin Prévost (a cura di), Copula, UK, 2006.
  • Franco Evangelisti, Dal silenzio ad un nuovo mondo sonoro, Semar, Roma, 1979.
  • Giovanni Guaccero, L’improvvisazione nelle avanguardie musicali. Roma, 1965 – 1978, Aracne, Roma, 2013.
  • Alessandro Sbordoni (a cura di), Improvvisazione oggi, Lim, Lucca, 2014.
  • Giancarlo Schiaffini, E non chiamatelo jazz, Auditorium, Milano, 2011.Giancarlo Schiaffini, Errore e pregiudizio, Haze, Milano, 2018.
  • Paul Steinbeck, Grande Musica Nera. Storia dell’Art Ensemble of Chicago, Quodlibet, Macerata, 2018.
  • Daniela Tortora, Nuova Consonanza. Trent’anni di musica contemporanea in Italia (1959-1988), Lim, Lucca, 1990.