Beth Gibbons, la signora
canta l’universalità

Henryk Górecki
Symphony no. 3,
Symphony of Sorrowful Songs
Polish National Radio Symphony Orchestra,

Beth Gibbons, Krzysztof Penderecki
Domino Recording, 2019

Henryk Górecki
Symphony no. 3,
Symphony of Sorrowful Songs
Polish National Radio Symphony Orchestra,

Beth Gibbons, Krzysztof Penderecki
Domino Recording, 2019


La musica del Novecento è stata spesso accusata, in parte giustamente, di aver contribuito ad approfondire il solco tra “colto” e “popolare”, tra “alto” e “basso”. Di essersi rinchiusa in una torre d’avorio fatta di autoreferenzialità e complessità del tutto gratuita. Di aver allontanato il pubblico, non solo quello di massa. Di aver dimenticato, volutamente o meno, la componente emotiva, viscerale, epidermica del suono. Ma è sufficiente uscire dalle tradizioni europee più consolidate – tedesca, italiana, francese – per scoprire mondi musicali molto diversi e che sfuggono alla gravità di quelle accuse. Si pensi solo ad Arvo Pärt o a Michael Nyman, diventati vere e proprie pop star grazie all’immediatezza dello stile e agli appigli extramusicali, rispettivamente, il richiamo alla spiritualità medievale e il cinema. Non è un caso che entrambi si rifacciano più o meno esplicitamente al minimalismo americano di Steve Reich e Philip Glass (a loro volta, assai più celebri di tanti colleghi accademici), fieri oppositori della complessità e del cerebralismo accademico.
È in questa temperie culturale che si inserisce anche il polacco Henryk Górecki (1933-2010), all’inizio della sua carriera poco noto in Occidente, e che deve la sua tardiva notorietà all’opera più celebre ed eseguita del suo catalogo, la Terza Sinfonia del 1976: composta in tempi non sospetti, quando la post-avanguardia e il post-modernismo erano di là da venire, la Sinfonia dei canti lamentosi per orchestra e soprano è uno dei più fulgidi esempi di come sia possibile coniugare densità compositiva ed espressività, ricerca e immediatezza.

Nel 2013 il gruppo inglese Portishead si esibisce nel quartiere industriale e residenziale di Nowa Huta, a Cracovia, nell’ambito del festival Sacrum Profanum. Nowa Huta è uno dei simboli urbanistici e produttivi del realismo socialista degli anni Cinquanta. È da qui, fra l’altro, che sono partite le prime manifestazioni popolari contro il regime comunista polacco, diventando ben presto la roccaforte del movimento di Solidarność. Difficile immaginare una location più adatta alle cupe nenie dei Portishead, in bilico fra elettronica rétro e trip-hop. Il direttore artistico Filip Berkowicz lancia a Beth Gibbons, voce del gruppo britannico, l’idea di cantare nella Terza sinfonia di Górecki. Una proposta azzardata, ma affascinante. Inizia qui una storia che culmina il 29 novembre 2014 con un concerto al Teatro dell’opera nazionale di Varsavia che prevede, oltre all’opera di Gorecki, musiche di Krzysztof Penderecki, Witold Lutosławski e Bryce Dessner.
La Terza sinfonia, fin dalle sue prime esecuzioni e incisioni, non era mai stata eseguita da una cantante pop, che per di più non conosce il polacco, non sa leggere la musica e ha una voce da contralto. Tutti questi ostacoli vengono superati con un lungo lavoro tra Inghilterra e Polonia, ma il valore aggiunto portato da Beth Gibbons è in assoluta sintonia con il carattere doloroso e disperato dei testi musicati da Górecki. Quell’esecuzione viene oggi riproposta dalla Domino Records in una splendida edizione arricchita da un dvd che documenta, fra l’altro, le austere ma efficacissime immagini fornite dal regista e videoartista John Minton, già collaboratore dei Portishead: si tratta di visioni semplici quanto sconcertanti, lievi e insieme minacciose, fra il tremolio delle candele, un corridoio spoglio e senza fine, una parete coperta di licheni.

Non è la prima volta che la Sinfonia dei canti lamentosi viene ripresa da musicisti estranei al mondo classico: per fare solo due esempi, nel 1997 il gruppo trip-hop inglese Lamb pubblica Gorecki, brano che utilizza campionamenti tratti della Terza sinfonia, mentre nel 2015 il sassofonista e compositore canadese Colin Stetson propone una versione personale modificandone radicalmente l’orchestrazione, con un uso abbondante di fiati, synth e chitarre elettriche metal.
L’esecuzione di Beth Gibbons con la Polish National Radio Symphony Orchestra, sotto la direzione dello stesso Penderecki, invece, è finora l’unico caso di assoluta fedeltà alla partitura di Górecki ma con una voce non impostata e, nonostante questo, o forse proprio per questo, con una resa inestimabile del carattere di questa musica: la voce della Gibbons riesce a comunicare l’abissale senso di perdita e orrore descritto dai testi scelti dal compositore.

La monografia di Adrian Thomas su Górecki dedica diverse pagine alla Terza sinfonia e descrive nel dettaglio la genesi e le caratteristiche dell’opera (cfr. Thomas, 1997). Dopo una lunga ricerca, la scelta del compositore cade su tre testi esemplari che uniscono devozione religiosa e tragedia umana. Il primo movimento (Lento, sostenuto tranquillo ma cantabile) si snoda intorno a una strofa tratta dal Lamento della Santa Croce, manoscritto polacco del Quindicesimo secolo in cui la Vergine Maria si rivolge al figlio in agonia sulla croce: “Figlio mio […] condividi le tue ferite con tua madre”.
Il caso del secondo movimento (Lento e largo) è forse quello più emblematico. Durante la sua ricerca testuale, Górecki scopre per caso un libro di Alfons Filar e Michał Leyko (‘Palace’: Katownia Podhala) in cui vengono descritti gli orrori perpetrati dai nazisti a Zakopane, sui monti Tatra, in una locanda utilizzata dalla Gestapo per incarcerare e torturare gli oppositori polacchi. Le pareti e le porte del “Palazzo”, come viene chiamato l’edificio, sono coperte di iscrizioni: più che altro nomi delle vittime, date, luoghi di provenienza, ma anche testimonianze più articolate, come quella di una ragazza diciottenne, Helena Wanda Błazusiakówna, catturata il 25 settembre 1944, che rivolge una supplica alla propria madre e alla Madonna. Nel 1977 il compositore dichiara di aver trovato come particolarmente congeniale l’iscrizione di Helena:

“«Forse, di fronte alla morte, griderei proprio così […] [Helena] cerca conforto e sostegno con parole semplici e scarne, ma piene di significato. Mi piacciono i testi così: brevi e semplici»” (Thomas, 1997).

Nel terzo movimento (Lento, cantabile, semplice) Górecki, dietro suggerimento dell’etnologo polacco Adolf Dygacz, conferma la propria predilezione per i riferimenti popolari, nel linguaggio musicale come nelle scelte testuali, selezionando un canto della regione di Opole, cittadina a nord-ovest di Katowice, in cui una madre piange la morte del figlio ucciso nel corso di una sommossa, quasi certamente le rivolte della popolazione della Slesia contro la dominazione della repubblica di Weimar fra il 1919 e il 1921. In questo modo l’ispirazione popolare si salda al sentimento nazionale polacco, così spesso intriso del dolore per le occupazioni e le spartizioni straniere subite fra Otto e Novecento.

Il materiale musicale che incornicia i tre canti è di sorprendente semplicità, basato su una cellula di appena tre note, che tuttavia si ripresenta in un infinito caleidoscopio di trasposizioni e imitazioni contrappuntistiche. Il risultato è un lungo affresco che non si discosta mai da una pulsazione lenta e meditativa, su cui si dipanano i temi continuamente rifratti attraverso un uso calcolatissimo della modalità, molto ben descritto da Adrian Thomas.
La lezione dello strutturalismo novecentesco viene qui completamente smentita, recuperando un linguaggio antico ma proiettato con decisione nel futuro. Górecki riesce a sublimare ogni espediente tecnico e artigianale nella potenza di un messaggio che va oltre il suono, ma che solo attraverso il suono potrebbe esprimersi in tutta la sua profondità.
Ancora a proposito del lavoro compositivo:

“come sempre, l’unica guida [di Górecki] è il suo stesso istinto. Górecki non si preoccupava molto dell’opinione altrui, anche se probabilmente era consapevole che questa nuova sinfonia – tre movimenti lenti con un soprano solista – era alquanto diversa da qualunque altra cosa mai scritta in Polonia, se non ovunque, nel 1976”
(Thomas, 1997).

Il suo successo sarebbe esploso nei paesi anglosassoni solo negli anni Novanta, grazie alla ormai celebre incisione del 1992 della London Sinfonietta e del soprano Dawn Upshaw, con picchi di vendite degni dei grandi successi rock e in seguito utilizzata almeno in una decina di colonne sonore. Con buona pace dei diffidenti (o degli invidiosi?) e di chi considera il successo commerciale un indizio inequivocabile di superficialità (e, per converso, il rifiuto da parte del grande pubblico come segno di autenticità e coraggio), Górecki scrisse la Terza sinfonia “per se stesso” (ibidem): nel suo radicale antimodernismo, si trattò di un’opera rivoluzionaria, estranea a qualunque movimento artistico dell’epoca, anche in virtù del sostanziale isolamento del compositore polacco rispetto alla scena contemporanea.
Oggi, più di quarant’anni dopo, la scelta di affidare a Beth Gibbons, icona del pop di ricerca e voce difficilmente classificabile nel panorama odierno, non poteva essere più indovinata: il risultato è di gran lunga più efficace rispetto alle performance delle sue ben più blasonate colleghe abituate ai palchi delle sale da concerto e dei teatri d’opera: la Terza sinfonia è uno dei rarissimi casi in cui all’universalità del messaggio corrisponde l’universalità del linguaggio, che trascende i confini di qualunque accademia come della popular music.

Ascolti
  • Lamb, Górecki, in Lamb, Fontana, 1996.
  • Henryk Górecki, Symphony no. 3, David Zimman, London Sinfonietta, Dawn Upshaw, Elektra-Nonesuch, 1992.
  • Colin Stetson, Sorrow. A Reimagining Of Gorecki’s 3rd Symphony, 52Hz, 2016.
Letture
  • Adrian Thomas, Górecki, Clarendon Press, Oxford, 1997.