LETTURE / LA SCIENZA DELLA FANTASCIENZA


di Renato Giovannoli / Bompiani, Milano, 2015 / pp. 560, € 20,00


 

Il tempo è un severo maestro


di Giovanni De Matteo

 

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La scienza della fantascienza arriva alla sua terza edizione, dopo la primissima versione apparsa nel 1982 per la collana Espresso Strumenti, curata da Umberto Eco, e la riedizione ampliata e rinnovata del 1991, sempre sotto la direzione di Eco, nella collana Bompiani Strumenti. Di quest’ultima uscì poi dieci anni dopo anche una ristampa corretta, ormai di difficile se non impossibile reperibilità. Negli ultimi anni, soprattutto grazie alla cassa di risonanza della rete, erano state avanzate diverse istanze per una ripubblicazione dell’opera. Editore e autore si sono infine decisi a recepire l’invito e a febbraio di quest’anno, con qualche ritardo nella nella distribuzione, è tornato in libreria questo robusto ed elegante tomo, impreziosito da copertina rigida e sovracopertina, e accompagnato dallo strillo di Umberto Eco: “Il mio antico allievo Renato Giovannoli ha scritto un libro appassionante sulla Scienza della fantascienza in cui non solo esamina tutte le ipotesi pseudo-scientifiche (ma spesso molto attendibili) elaborate dai racconti di anticipazione, ma mostra come la scienza della fantascienza costituisca un corpo abbastanza omogeneo di idee e topoi che ritornano da narratore a narratore, attraverso perfezionamenti e sviluppi successivi”.

Giovannoli, classe 1956, docente di filosofia, bibliotecario e studioso di semiotica, ci tiene a precisare fin dalla nota di apertura di aver colto l’opportunità per riscrivere il libro “ancora una volta, in parte ristrutturandolo, aggiornandolo in una certa misura – un vero aggiornamento sarebbe stato al di sopra delle mie forze – e soprattutto arricchendolo di alcuni approfondimenti storici e filosofici”. E conclude: “Il libro […] è dunque ancora La scienza della fantascienza, ma nello stesso tempo è un nuovo libro rispetto al quale le precedenti edizioni vanno considerate superate”. Questa premura, se da un lato è comunque ammirevole, dall’altro rischia di trasformarsi in un boomerang, come vedremo più avanti.

Ogni capitolo affronta diverse sfumature di un diverso argomento in uno spettro abbastanza ampio: robot, alieni, mutanti, quarta dimensione, viaggi interstellari, viaggi nel tempo, universi paralleli, universi simulati, superlinguaggi e ingegneria sociale. Dieci macro-aree in cui Giovannoli incasella una varietà di storie, con un entusiasmo a tratti contagioso, andando a pescare anche fuori dal canone, per esempio con la preziosa riscoperta di due poesie dell’insospettabile Eugenio Montale, dedicate una alla polizia del tempo e l’altra agli universi paralleli, e l’individuazione in un racconto del padre della letteratura hard-boiled Dashiell Hammett (Nightmare Town del 1924, da noi tradotto come La città degli incubi) del prototipo della città simulata che tanto successo avrebbe riscosso in seno alla fantascienza, da Frederik Pohl a Philip K. Dick a Daniel F. Galouye.

Rispetto alle precedenti edizioni, un esame dell’indice fornisce evidenza di un certo numero di modifiche: aggiunte, travasi di materiale da un capitolo all’altro (per esempio il trasferimento di cyborg ed evoluzioni biomeccaniche dal primo al terzo capitolo), sviluppi e approfondimenti (come nel caso dell’excursus sull’horror geometrico incapsulato nel paragrafo sui rapporti tra fantascienza e architettura, nel quarto capitolo, una delle sezioni più interessanti dell’intero volume), scorpori e riaggregazioni (con la nascita di un intero nuovo capitolo, il nono, a partire dal materiale “prestato” dalle precedenti sezioni).

Tecnicamente il libro si presenta ambivalente. Come puntualizza lo stesso autore, è stato strutturato in modo da essere leggibile “come un saggio, dalla prima all’ultima pagina” e allo stesso tempo anche per “essere consultato come un manuale”. “La suddivisione in capitoli, paragrafi, sottoparagrafi e talvolta sotto-sottoparagrafi” è funzionale a questa finalità, ma a onor del vero si presta meglio al secondo approccio, dal momento che un senso di frammentarietà tradisce forse l’eccessivo zelo pagato dall’autore all’aderenza tematica (e forse un po’ anche gli aggiustamenti di cui dicevamo): capita così in più di un’occasione di vedere lo stesso racconto o romanzo ripreso a distanza di diverse pagine, per essere esaminato sotto la diversa angolazione suggerita dal tema al centro del nuovo capitolo. Sebbene interessanti e di certo sostenuti dalla verve espositiva di Giovannoli, alla fine questi esempi lasciano al lettore l’impressione di un esubero di spazio dedicato ad alcuni titoli, la cui scelta risponde inevitabilmente al gusto arbitrario dell’autore, a scapito di altre opere che pure avrebbero meritato una menzione, se non una disamina approfondita.

D’altro canto è lo stesso Giovannoli ad avvisare il lettore fin dall’Introduzione, dal cui ultimo paragrafo cito quasi integralmente:

 

“Il libro che il lettore ha in mano non è […] un manuale di storia della fantascienza, né un’enciclopedia fantascientifica, né un saggio sull’attendibilità scientifica della fantascienza. Tuttavia, poiché la logica della fantascienza si sviluppa nel tempo attraverso vere e proprie rivoluzioni fantascientifiche, assumerà talvolta una prospettiva storica, e aspira a essere una storia «astratta e formale» della fantascienza. Poiché intende fornire una cartografia delle teorie immaginarie che costituiscono il genere letterario «fantascienza», tenderà ad assomigliare all’enciclopedia di un mondo fantastico. Questa parziale ammissione del suo carattere enciclopedico, non significa però che aspiri alla completezza. D’altra parte, per usare i termini della teoria dell’informazione, la fantascienza è un processo ergodico, tale cioè che «ogni [suo] campione ragionevolmente ampio tende a essere rappresentativo dell’intera sequenza», ovvero, come hanno scritto Carlo Fruttero e Franco Lucentini, «una letteratura di infinite variazioni su un numero finito di temi» – diciamo pure di idee – cosicché «al limite si potrebbe compilare una antologia comprendente tutti i temi della fantascienza, ma scritta da un unico autore», o «al limite opposto una antologia […] intorno a un unico tema […] ma comprendente tutti gli autori». La mia speranza è che questa ridondanza mi abbia permesso di predisporre una sorta di casellario nel quale altri potranno inserire i racconti che non ho letto o ho deciso di non citare, e al quale beninteso potranno aggiungere nuove caselle”.

 

Di fronte a questa avvertenza, che si rifà direttamente alla Ditta che nel bene e nel male ha segnato la storia della fantascienza italiana dalle pagine di Urania, potrebbe sembrare pedante e gratuito indugiare sulle dimenticanze e le omissioni, ma non potremo esimerci del tutto dal farlo. Infatti, per quanto non menzognera, l’arguta formulazione di Fruttero e Lucentini sottace comunque una verità più ampia, e cioè che questo carattere di autosimilarità, se pure può essere considerato rappresentativo del genere, lo è in direzione opposta a quella riduttiva e limitante suggerita dalla visione dei due celeberrimi curatori. Dopotutto, tutta la letteratura si può configurare come una serie illimitata di variazioni su un insieme finito di temi, rappresentato dal campo dell’esperienza umana, e semmai la fantascienza amplia l’orizzonte delle idee, spingendo il proprio raggio d’azione ben al di là di quello accessibile alla letteratura mimetica.

D’altro canto sembra di cogliere a più riprese un certo atteggiamento oltranzista di fondo da parte di Giovannoli: per esempio quando, a proposito de La mano sinistra delle tenebre (1969), pare di scorgere un tono di sufficienza nei confronti di Ursula K. Le Guin e della sua “cultura antropologica” (pagg. 78-79), oppure più avanti quando la stessa altezzosità viene esibita nei confronti del fumetto. A pagina 354 troviamo infatti espresso un giudizio che sa molto di luogo comune: “In effetti è destino delle idee fantascientifiche inattuali o esaurite di approdare ai fumetti, il cui pubblico infantile potrà apprezzarle nonostante la loro ingenuità. I fumetti di supereroi in particolare non si pongono mai grossi problemi di verosimiglianza […]”. Una forma di pregiudizio che viene poi in realtà smentita poco più avanti, presentando un chiaro esempio di fumetto di fantascienza maturo, ambizioso, finanche cerebrale, come Il garage ermetico di Jerry Cornelius di Moebius (1976-1980), ispirato alle avventure del personaggio di Michael Moorcock.

Tornando all’Introduzione, l’autore dichiara il suo proposito di dimostrare una serie di caratteristiche e comportamenti, che potremmo così riassumere:

a) autonomia della fantascienza dalla scienza nella creazione e nell’elaborazione delle proprie teorie (come l’iperspazio o la macchina del tempo, esplicitamente citati a esempio);

b) interazione di queste teorie fino a definire/costituire un sistema fantascientifico relativamente coerente e omogeneo (da cui scaturiscono altre teorie e casi particolari);

c) non impermeabilità del sistema fantascientifico al sistema della scienza, con scambi vicendevoli e reciproci influssi, e anche con l’assimilazione di frammenti del dibattito scientifico e filosofico (nonché di cultura pseudoscientifica e pseudofilosofica);

d) evoluzione e sviluppo della logica del sistema della fantascienza attraverso vere e proprie “rivoluzioni fantascientifiche”, spesso irrisolte, in cui a fronteggiarsi sono sempre due paradigmi alternativi principali: un’epistemologia “neopositivista” riconducibile alla Golden Age del decennio 1938-1948 e un’epistemologia “critica” capace di interrogarsi sui rischi delle tecnologie, affermatasi soprattutto a partire dalla fantascienza sociologica degli anni Cinquanta.

Probabilmente il pregio maggiore del volume consiste nell’equilibrio che, eccezion fatta per le cadute di tono di cui si diceva poc’anzi, riesce a mantenere per tutto il suo sviluppo, giostrando abilmente sui quattro fronti suggeriti dai punti elencati.

Per cominciare, Giovannoli dimostra una felice intuizione metanarrativa nell’esporre le teorie pseudoscientifiche sviluppate nei romanzi di fantascienza come se si trattasse di teorie e avvenimenti storici realmente acquisiti. È il caso di Herbert George Wells (l’invasione marziana de La guerra dei mondi), Isaac Asimov (per esempio le proprietà endocroniche della tiotimolina, la psicostoriografia o la spazioanalisi), Robert A. Heinlein (l’astrogazione, l’algebra escatologica e la teoria matematica alla base del partito rivoluzionario ne La luna è una severa maestra) e Samuel R. Delany (la metalogica e il calcolo modulare in Triton), per limitarci a citarne solo qualche esempio. Il suo è un accorgimento che di volta in volta gli permette di costruire un’efficacissima e convincente dimostrazione delle prime due asserzioni, relative all’autonomia delle teorie fantascientifiche e all’effetto della loro interazione di definire un “sistema della fantascienza”.

Con altrettanto acume il libro mette inoltre in dialogo la creazione fantascientifica con la ricerca scientifica: le pagine sui wormhole nei capitoli quinto e sesto risultano appassionanti proprio in virtù della continua alternanza del punto di vista tra le congetture della scienza e la finzione letteraria. Nelle stesse pagine troviamo idealmente ricostruita anche una catena logica che mostra la propagazione delle idee da un settore all’altro: stimolato dalle pagine di romanzi e riviste l’interesse di un numero crescente di ricercatori e divulgatori (Kip Thorne, Bryce DeWitt, Frank Tipler, Paul Davies, Matt Visser, Hugh Everett) per tematiche fantascientifiche come l’iperspazio, i motori a curvatura, la macchina del tempo e gli universi paralleli (tutti peraltro “figli della quarta dimensione”, come certifica Giovannoli a pag. 357, in una sorta di genealogia dei temi) si travasa nel dibattito scientifico; dalla teoria scientifica si giunge poi all’applicazione ingegneristica, esemplificata sempre nel caso dei wormhole dalla transizione dalle strutture naturali a quelle artificiali proposte da Thorne, Visser, Michael Morris e Ulvi Yurtsever, fino al “progetto” di Tipler di costruire una macchina del tempo nel famoso saggio Rotating Cylinders and the Possibility of Global Causality Violation (ripreso tre anni dopo, nel 1977, da Larry Niven per un suo racconto di fantascienza); per tornare quindi alla fantascienza, con un ventaglio narrativo ampliato dagli sviluppi apportati alla teoria, per esempio con i romanzi di Stephen Baxter riconducibili alla sequenza degli Xeelee, o anche con film di risonanza planetaria come Interstellar di Christopher Nolan (che pur non essendo citato direttamente incombe come un monolite nero su quelle pagine).

Lo stesso si potrebbe dire in relazione all’accurata disamina, nel paragrafo dedicato alla robopsicologia, dei rapporti tra i dilemmi insolubili ingenerati nei robot dalle tre leggi asimoviane e la nozione di “doppio vincolo” proposta da Gregory Bateson e altri psicologi, ovvero quelle ingiunzioni contraddittorie in grado di determinare l’insorgenza della schizofrenia. E alla successiva ripresa della teoria dei tipi e dei relativi paradossi logici da parte di altri autori di fantascienza come Delany (nella fattispecie in Babel-17, uno dei romanzi più citati).

L’importanza giocata dall’immaginario fantascientifico in molte delle teorie della fisica più recente è comprovata anche dai dettagli, come dimostra la “congettura sulla protezione della cronologia” (ovvero la chronology protection conjecture) formulata nel 1992 da Stephen Hawking contro i paradossi temporali, prendendo le mosse dall’ipotesi di Roger Penrose sulla censura cosmica (secondo cui i buchi neri sarebbero sempre rivestiti da un orizzonte degli eventi che li nasconda al resto dell’universo preservando la coerenza di quest’ultimo): “È come se ci fosse un’Agenzia per il Controllo Cronologico che impedisca la comparsa di curve temporali chiuse, così da rendere l'universo un luogo sicuro per gli storici”. D’altro canto, Giovannoli sviscera con un certo compiacimento i problemi connessi proprio al viaggio nel tempo: da quello etico legato alla definizione di identità (in presenza di duplicati potenzialmente infiniti) a quello logico della causalità (con il conseguente innesco di paradossi di vario tipo), fino alla soluzione ispirata dalla pluralità dei mondi e alla conseguente proliferazione di universi paralleli. E si concede una digressione filosofica che forse appesantisce un po’ il passaggio, ma che risponde alla sua personale visione del genere. In un’intervista uscita in seguito alla riedizione dell’opera, Giovannoli ha dichiarato:

 

“Una tesi implicita del mio libro è che la fantascienza nasca dalla filosofia e che i migliori racconti di fantascienza siano racconti filosofici e anzi «esperimenti mentali» filosofici. Credo che la fantascienza avrà un futuro nella misura in cui saprà essere filosofica e nello stesso tempo divertente.”

 

D’altro canto questa sensibilità si trova declinata nella stessa ricerca messa in atto da Giovannoli di una specificità della fantascienza come “letteratura di idee”, ovvero un sistema letterario non descrivibile in base alle teorie narratologiche tradizionali incentrate su “archetipi” e “funzioni”, bensì riconducibile a “macchine astratte” di natura logica. Questa caratteristica, pure sostenuta criticamente dai pareri qualificati di Isaac Asimov o Kingsley Amis, appare tuttavia sempre più riduttiva man mano che il genere aumenta la propria consapevolezza “letteraria”. Il processo diventa evidente grosso modo a partire dalla New Wave degli anni Sessanta e Settanta, quando la fantascienza accoglie le istanze del postmodernismo e genera mutazioni che talvolta appaiono difficilmente riconducibili al solco della tradizione, come avvenuto per esempio con il cyberpunk degli anni Ottanta.

Qui forse ci scontriamo con il limite principale del libro. Il suo orizzonte bibliografico si ferma agli anni Settanta e guarda oltre solo episodicamente: viene giustamente citato William Gibson per le predizioni contenute in Neuromante sullo sviluppo e l’influsso sociale di internet, ma salvo menzioni poco rilevanti di lavori tutt’altro che di spicco, la fantascienza degli ultimi trent’anni non risulta pervenuta. Questo è senz’altro un punto a sfavore dell’opera perché, fatto salvo il citato invito dell’autore affinché ognuno si senta libero di integrare il suo casellario con le opere che più ha a cuore, non si può considerare davvero aggiornato un lavoro di questo tipo che non porti a esempio il contributo determinante fornito negli ultimi venti o trent’anni da autori del calibro di Kim Stanley Robinson, Greg Egan, Neal Stephenson o Ted Chiang. Se Giovannoli si fosse spinto oltre il muro degli anni Ottanta, recependo anche le istanze più recenti espresse da queste firme, avrebbe potuto aggiungere argomenti freschi al suo quadro delle rivoluzioni e controrivoluzioni ispirate dagli approcci neopositivista e scettico che hanno polarizzato e continuano a polarizzare il dibattito interno al genere. Il loro oblio appare di fatto come un’occasione mancata per rendere ancora più ricco il volume, sostenendone l’autorevolezza.

In un’altra intervista Renato Giovannoli sostiene anche che “fino a trenta o quaranta anni fa gli scrittori sci-fi lavoravano in una libertà immaginativa totale; oggi dover fare i conti con teorie scientifiche sempre più complesse e complicate fa perdere a molti di loro la freschezza e la gioia del racconto”. E conclude poi ribadendo la sua speranza che “in futuro vi sia un ritorno a una fantascienza di tipo più filosofico”. Posizione legittima. Gli autori citati sono sofisticati e complessi? Certo. Pongono sfide complicate al lettore? Nessuno lo mette in dubbio. Ma è in questo che risiede il carattere di maturità raggiunto dal genere, che col tempo, come dicevamo, si è stratificato, facendosi sempre più variegato ed eterogeneo, accrescendo la propria varietà e la ricchezza dell’offerta. Anche da un punto di vista strettamente tematico, la sempre più vasta diffusione di idee legate al postumanismo e alla Singolarità Tecnologica avrebbe meritato la considerazione da parte dell’autore, come pure gli scenari e i rischi suggeriti dallo sviluppo di nano e biotecnologie.

D’altro canto le omissioni sono davvero troppe, e spaziano da nomi di prima fascia come Iain M. Banks, Ken MacLeod, Ian McDonald o Charles Stross, ad autori di pietre miliari di hard sci-fi e fantascienza tecnologica come Greg Bear, Gregory Benford, David Brin, Alastair Reynolds, Robert J. Sawyer, John Varley, Vernor Vinge o Peter Watts, per fare solo qualche nome (cfr. gli articoli Ma che universo mi hai fatto? e Il sogno della scienza nei modelli della fantascienza nello scorso numero di Quaderni).

Scorrendo l’Indice dei nomi che completa il volume, in cui a farla da padroni sono comunque gli autori americani, anche a scapito dei loro colleghi inglesi, spiccano per la loro marginalità nell’economia del volume gli stessi Olaf Stapledon e Arthur C. Clarke, ai quali viene solitamente riconosciuto un ruolo ben più ampio in relazione alla fantascienza di ispirazione scientifica (e almeno nel caso del primo anche filosofica). Inoltre, vista la sua natura e con particolare riferimento alla sua modularità, bisogna segnalare a tal proposito che l’opera avrebbe potuto risultare più agile da fruire con l’inclusione di un indice analitico, anche per mettere ordine nel ricchissimo e prezioso corredo di note che accompagna ciascun capitolo.

In definitiva, la compilazione di un volume di questo tipo si porta dietro più rischi che vantaggi e come tale si configura come un’impresa audace: presuppone infatti uno sforzo non comune, che solo la giusta combinazione di passione, competenza e metodo può giustificare, e per la portata delle sue ambizioni finisce per scoprire il fianco a critiche che potrebbero apparire ingrate. Se abbiamo trovato comunque apprezzabile l’impegno dell’autore, non possiamo tuttavia fare a meno di rimarcare le debolezze citate, che magari potranno risultare utili per una eventuale prossima edizione.

Così come si presenta attualmente, l’ultima versione de La scienza della fantascienza è probabilmente sospesa in bilico, in uno stato non meglio definito: un neofita potrebbe ricavarne un’idea fallace della fantascienza allo stesso modo in cui un discreto conoscitore del genere potrebbe rimanerne insoddisfatto per la mancata attualizzazione dello spettro tematico affrontato. In entrambi i casi, la delusione sarebbe il risultato di quella che di fatto è una fotografia della fantascienza datata più di trent’anni, appena ritoccata per aggiungere nei dettagli una patina di modernità alla scena.

La fascia di pubblico che potrebbe invece ricavarne maggiori stimoli è forse quella compresa tra questi due estremi, composta da quei lettori provvisti di un’infarinatura delle opere-chiave e delle figure nodali del genere e che già si stanno muovendo di propria iniziativa in esplorazione verso altri autori e altri fronti. Questi lettori “in marcia”, forse non particolarmente numerosi, sono comunque tra i fortunati che potranno avvantaggiarsi della riedizione del libro di Giovannoli, usandolo come un Baedeker nel loro viaggio alla scoperta di terre esotiche di cui hanno già sentito parlare, e la constatazione progressiva che le sorprese e le meraviglie che troveranno ad aspettarli coincidano solo in parte con quelle che potranno trovare catalogate in questa piccola enciclopedia non basterà a indebolirne la soddisfazione. Anzi, forse rinvigorirà la loro fede nelle potenzialità di un genere troppo spesso ritenuto a torto moribondo e spacciato, che invece ha ancora molte frecce al suo arco.

 

 


 

LETTURE

  Isaac Asimov, Trilogia della Fondazione, Mondadori, Milano, 2004.
 Samuel R. Delany, Triton, Editrice Nord, Milano, 1995.
 Samuel R. Delany, Babel-17, Urania Mondadori, Milano, 2007.
 William Gibson, Neuromante, Mondadori, Milano, 2014.
  Dashiell Hammett, La città degli incubi in La città degli incubi, Ugo Guanda Editore, Parma, 2001.
  Robert A. Heinlein, La luna è una severa maestra, Urania Mondadori, Milano, 2006.
 Ursula K. Le Guin, La mano sinistra delle tenebre, TEA, Milano, 2003.
 Moebius, Il garage ermetico di Jerry Cornelius, Panini Comics, Modena, 2013.
Herbert George Wells, La guerra dei mondi, Ugo Mursia Editore, Milano, 2009.