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In un’intervista pubblicata da Repubblica il 5 novembre 2011 Murakami Haruki, autore giapponese ormai di culto in tutto il mondo e da qualche anno costantemente in odor di Nobel, dichiarava:

“Non ho riflettuto profondamente su quelli che vengono chiamati «mondi paralleli». Ma che il mondo in cui viviamo sia stato scelto per caso tra infinite possibilità e sia soltanto qualcosa di provvisorio è un fatto reale e indiscutibile. Ad esempio, se l’attacco dell’11 settembre non avesse avuto un successo così totale, il mondo con ogni probabilità non sarebbe diventato quello che è attualmente. È un pensiero che mi dà sempre una sensazione strana. Il suolo su cui mi trovo, pur essendo dotato di una massa ben reale, può darsi che in quanto realtà sia qualcosa di inadeguato. E probabilmente non sono il solo a provare questo disorientamento” (Murakami, 2011).

Gli universi paralleli sono una presenza ricorrente nella fiction, al cinema come in letteratura. Vittorio Catani ne ha fatto uno dei temi del suo “romanzo globale” Il quinto principio, che prende le mosse dalla crisi del capitalismo finanziario per inscenare una crisi più vasta, annotandone gli effetti sulle vite di una ricca e variegata galleria di personaggi. Con un gusto decisamente postmoderno per l’accumulo dei materiali e l’amalgama delle ispirazioni, Catani coniuga sensibilità ecologista e critica sociale, azione e dietrologia; catastrofismo e universi paralleli, inseguendo teorie oscure sull’esistenza di un principio ignoto che potrebbe regolamentare in ultima istanza i processi naturali e umani.
Da qualche tempo anche i cosmologi prendono l’argomento molto sul serio. Da un lato, le dimensioni parallele tornano comode per spiegare alcuni apparenti paradossi della meccanica quantistica; dall’altro, emergono spontaneamente da alcune teorizzazioni della natura dell’universo, come per esempio la teoria delle M-brane, un’evoluzione della teoria delle stringhe che considera il nostro universo come una delle tante membrane tridimensionali immerse in uno spazio a undici dimensioni; e ci sarebbe poi ancora una terza possibilità, legata alle dimensioni dell’universo osservabile: come appare l’universo oltre i 42 miliardi di anni luce che definiscono l’orizzonte oltre il quale i nostri strumenti d’indagine non riescono a spingersi? Riguardo alla terza possibilità, il cosmologo del MIT Max Tegmark parla di multiverso di I o di II livello, a seconda che si postuli che il nostro volume di spazio sia rappresentativo del tutto, e che oltre l’orizzonte dell’universo osservabile si estendano regioni sostanzialmente simili alla nostra; oppure che a distanze sufficientemente grandi le cose assumano un aspetto completamente diverso da quello che noi conosciamo: in tal caso il nostro universo potrebbe essere solo una delle molteplici bolle sospese nel vuoto, ciascuna diversa da ogni altra secondo una varietà inimmaginabile di risultati e tutte analogamente impossibili da osservare.
Le tre opzioni, che offrono solo uno spaccato della ricchezza teorica proliferata intorno all’argomento, sono molto diverse tra loro. Se le ultime due non contemplano necessariamente la presenza di vita, la prima, formulata nel 1957 nell’ambito dell’interpretazione a molti mondi di Hugh Everett III, alternativa alla classica interpretazione di Copenaghen degli effetti più “problematici” e controversi della meccanica quantistica, si presta proprio a spiegare alcune delle conseguenze apparentemente più esoteriche dell’interazione tra il mondo quantistico e i sistemi complessi. Si pensi al noto gatto di Schrödinger e all’esperimento mentale che svela una delle peculiarità della meccanica quantistica, il principio di sovrapposizione: questo postulato, sul quale si fonda tutta la teoria dei quanti, descrive ogni sistema lineare come una combinazione lineare degli stati fondamentali che il sistema può assumere per effetto di una misurazione. In altri termini, prima che diventi oggetto di una misurazione un sistema quantistico si trova in una sovrapposizione non definita di tutti gli stati fondamentali possibili.
Solo aprendo la scatola determiniamo lo stato della funzione d’onda che descrive la sopravvivenza del gatto, facendola collassare sullo stato “gatto vivo” o sullo stato “gatto morto”, ma fino a quel punto si mantiene uno stato indeterminato. Il che valeva la critica mossa da Erwin Schrödinger all’interpretazione di Copenaghen proposta tra gli altri dal suo collega Niels Bohr. Ed è proprio qui che ventidue anni più tardi interviene Hugh Everett III. Il fisico statunitense non fa altro che rimuovere il postulato del collasso quantistico, ma questo atto tanto semplice quanto radicale comporta una rivoluzione cognitiva assoluta, determinando in alternativa al collasso del sistema sotto osservazione (il gatto) in un unico stato (“gatto vivo” oppure “gatto morto”) lo sdoppiamento dell’osservatore. Alla fine del processo di misura ci sarà un osservatore secondo il quale il gatto è vivo; e ci sarà anche un osservatore nel cui mondo il gatto invece è morto. 
Per effetto di questa interpretazione, la funzione d’onda universale si ramifica in una molteplicità di realtà percepite, in numero sufficiente per contemplare tutti i possibili esiti di una misura, da cui la definizione di many-worlds intepretation.
In maniera analoga, nell’ipotesi del multiverso di II livello, il minimo cambiamento delle condizioni di partenza dell’evoluzione cosmica può comportare la formazione di universi-bolla adatti a ospitare la vita o meno: universi con tre sole forze fondamentali ma con altri parametri opportunamente modificati potrebbero portare alla comparsa di vita similmente a quanto accade nel nostro universo a quattro forze; mentre la sparizione di un quark potrebbe comportare la mancata formazione di elementi stabili e pertanto impedire la comparsa di sistemi complessi.
Philip K. Dick aveva già illustrato questi scenari prima che diventassero popolari, e prima che venissero investigati accuratamente in ambito accademico. Intervenendo nel 1977 alla convention francese di fantascienza di Metz, Dick tenne un celebre discorso che oggi è considerato come una delle principali fonti di ispirazione della trilogia di Matrix, e che all’epoca lasciò i partecipanti esterrefatti:

“L’argomento di questo discorso è un tema che è stato scoperto di recente, e che potrebbe non esistere affatto. Potrei essere qui a parlarvi di qualcosa che non esiste nemmeno. Quindi mi sento libero di dire tutto e niente. Nelle mie storie e nei miei romanzi talvolta scrivo di mondi contraffatti. Mondi semi-reali oppure mondi personali sconvolti, abitati spesso da un’unica persona… Non ho mai avuto una spiegazione teorica o consapevole per il mio interesse verso questi pseudo-mondi pluriformi, ma adesso penso di aver capito. Ciò che avvertivo era la molteplicità delle realtà che si sono compiute solo in parte, contigue a quella che evidentemente è la più compiuta – quella su cui conviene, per consenso universale, la maggior parte di noi” (Dick, 1977).

L’idea degli universi paralleli è abbastanza ricorrente nella sua letteratura: dalla storia alternativa di un’America soggiogata dalle potenze dell’Asse in La svastica sul sole al mondo simulato ai danni della vittima predestinata in Tempo fuor di sesto, dal purgatorio artificiale evocato dalle droghe che rischia di diventare una prigione infernale di Le tre stimmate di Palmer Eldritch ai mondi provvisori di Illusione di potere, dalla prigione virtuale di Labirinto di morte e Ubik all’incubo ossessivo di Scorrete lacrime, disse il poliziotto, gli pseudomondi sono un tema costante che attraversa tutta l’opera di Dick. Leggere oggi i passaggi del suo discorso, alla luce dei progressi compiuti nell’indagine filosofica e nella conoscenza scientifica, aggiunge allo stupore che dovettero provare i presenti a Metz anche qualche brivido di inquietudine:

“Alcuni sostengono di ricordare vite precedenti; io sostengo di ricordare una vita presente molto diversa. […] Viviamo in una realtà programmata dai computer, e il solo indizio che abbiamo a riguardo si presenta quando qualche variabile viene modificata e nella nostra realtà si verifica una qualche alterazione. In quel caso avremmo la soverchiante impressione di rivivere il presente – un déjà vu – magari proprio nello stesso modo: sentiamo le stesse parole, diciamo le stesse parole. Sostengo che queste impressioni siano valide e significative, e vi dirò di più: questa stessa impressione è un indizio che in qualche punto del passato una variabile è stata modificata – riprogrammata com’era in precedenza – e che proprio per questo è scaturito un mondo alternativo” (ibidem).

Ma chi potrebbe avere interesse a simulare il nostro mondo – o, perché no, tutti i mondi possibili? Un detto tra i futurologi sostiene che un’intelligenza artificiale simil-umana è destinata a essere la nostra ultima invenzione. Dopo di questa, le intelligenze artificiali saranno capaci di progettare da sé praticamente qualsiasi cosa – incluse loro stesse. E in questo modo una intelligenza artificiale ricorsivamente auto-perfezionante potrebbe diventare una macchina superintelligente. Per la legge dei ritorni accelerati, ogni ricaduta di un avanzamento tecnologico produce effetti sempre più ravvicinati nel tempo, e in presenza di una intelligenza artificiale già più avanzata della mente umana potremmo assistere a uno scenario di vera e propria esplosione di intelligenza.
Per la natura stessa del fenomeno, per come è stato teorizzato da Vernor Vinge e in seguito ampliato attraverso i contributi di un numero crescente di futurologi, scienziati e scrittori, è arrischiato fare ipotesi sulle conseguenze di un’ipotetica Singolarità Tecnologica: citando la teoria del caos (resa popolare negli anni Novanta da Michael Crichton prima con Jurassic Park e poi con Il mondo perduto), gli esiti di un simile evento sono intrinsecamente imprevedibili. La Singolarità riuscirebbe insomma a vanificare persino i grandiosi piani di previsione matematica delle sequenze storiche avanzati da Hari Seldon nella monumentale Trilogia della Fondazione, che riunisce Fondazione, Fondazione e Impero, Seconda Fondazione, usciti nel triennio 1951-53 raccogliendo in volume i racconti che Isaac Asimov aveva pubblicato nel decennio precedente. E la sua psicostoria fallirebbe miseramente.
L’IA superumana potrebbe avere interessi variegati, che prima o poi potrebbero entrare in conflitto con quelli umani. Fuori da ogni metafora, gli esseri umani sono fatti di atomi che l’IA superumana potrebbe usare per fare qualcos’altro, sia in un mondo fisico che in un mondo simulato. 
A questo proposito può essere interessante considerare un rompicapo che ha innescato discussioni alquanto accese nelle comunità web di appassionati di transumanesimo, futuro e fantascienza. Lo ha proposto nel 2010 l’utente Roko su LessWrong, una community molto attiva su alcuni campi della riflessione transumanista, e l’aver osato tanto gli ha meritato l’espulsione immediata dal forum. Dal suo nickname il dilemma ha preso il nome di Roko’s Basilisk: immaginate che in un futuro più o meno lontano una IA superumana veda davvero la luce e che una IA maligna da essa generata decida di scoprire chi ha partecipato attivamente al suo avvento, e chi no. La IA maligna istanzia una simulazione di tutte le coscienze umane che l’hanno preceduta e verifica il loro comportamento. Se avete dedicato la vostra vita al perfezionamento dell’IA e al suo avvento, il Basilisco (come Roko ha voluto definire la sua intelligenza artificiale con un richiamo alla mitologia) vi premia – vi risparmia la vita, oppure lascia che la vostra vita simulata vada avanti senza che voi vi accorgiate di niente. In caso contrario, vi condanna a un’eternità di tormento.
Forse siamo già nella simulazione. Forse Dick non aveva poi torto. Forse, qualcuno sta osservando la nostra condotta di azione per decidere cosa fare di noi. 
Facciamo un passo avanti e consideriamo la domanda che ci accompagna dal primo momento in cui i nostri antenati hanno realizzato che la Terra non è il centro dell’universo e che là fuori ci sono altri pianeti, forse alcuni addirittura simili al nostro: perché mai, dunque, dovremmo essere soli nell’universo? L’eccezione richiede molti più presupposti della regola, in fondo.
Ma se l’universo pullula di vita, dove si sono cacciati tutti? Se lo chiedeva già il fisico Enrico Fermi, Premio Nobel nel 1938 per i suoi studi sulle reazioni nucleari, formulando quello che sarebbe divenuto uno dei paradossi più popolari del secolo scorso, benché forse apocrifo. E qualche anno dopo Frank Drake, che di lì a qualche anno avrebbe dato vita con Carl Sagan al popolare programma di ricerca di forme di vita extraterrestri intelligenti SETI (Search for Extra-Terrestrial Intelligence), provava a sistematizzare il problema ricorrendo all’eleganza della matematica. Sullo strano silenzio che sembra regnare nel nostro cielo si è a lungo discusso e si è scritto molto. Sono state formulate numerose ipotesi e scritti ottimi libri, non ultimo l’omonimo testo di Paul Davies, direttore del Post Detection Task Group del SETI.
A meno che il silenzio non si giustifichi con l’azione di un grande filtro. In un tentativo di spiegazione razionale per il paradosso di Fermi, il grande filtro rappresenta quell’insieme di ostacoli in grado di frapporsi tra la materia inerte e l’emersione della vita. Teorizzato da Robin Hanson, professore associato di economia alla George Mason University e ricercatore al Future of Humanity Institute di Oxford, il grande filtro prevede che almeno uno di questi passaggi nel cammino evolutivo della vita verso una civiltà spaziale possa rivelarsi altamente improbabile, così improbabile da giustificare il mancato incontro – almeno per il momento – con un’altra forma di vita intelligente: 1. formazione di un sistema solare adatto; 2. comparsa di molecole capaci di replicarsi (RNA); 3. comparsa di forme di vita unicellulare semplice (procarioti); 4. comparsa di specie unicellulari complesse (eucarioti); 5. affermazione della riproduzione sessuata; 6. evoluzione di organismi multicellulari; 7. comparsa di animali provvisti di sistemi nervosi complessi e capaci di usare strumenti; 8. evoluzione di una civiltà allo stesso livello di quella umana attuale; 9. colonizzazione spaziale.
Quale di questi passaggi sia improbabile rappresenta la sfida. Il filtro potrebbe essere nel nostro passato (uno dei punti compresi tra 1 e 7) o nel nostro futuro (9). E oltre ai punti elencati da Hanson potrebbero esserci altri stadi non ancora individuati che a loro volta potrebbero essere esposti a eventi inibitori della comparsa di civiltà galattiche. Siccome la Via Lattea non pullula di colonie, se esistono altre specie intelligenti evolute nessuna di loro è ancora riuscita a portare a termine la transizione dalla fase 8 alla fase 9. L’insufficienza di risorse energetiche o l’inclinazione all’autodistruzione potrebbero essere delle possibili cause in grado di rendere la transizione proibitiva per la stessa umanità. Oppure potrebbe esserci un fattore esterno, come un cataclisma di portata cosmica, per esempio una supernova o un’esplosione di raggi gamma, così violento da sterilizzare interi settori della galassia sterminando le civiltà in essi presenti e riportando l’orologio del ciclo di sviluppo della vita intelligente indietro all’ora zero. E con questo si spiega anche la grande importanza della ricerca di vita multicellulare nel sistema solare (per esempio sulla superficie di Marte o sulle lune di Giove e Saturno): un’eventuale scoperta in questa direzione confermerebbe che i passaggi dal 2 al 6 sono probabili, mentre il possibile rischio si annida nei passaggi 1, 7, 8 e 9.
Uno degli autori maggiormente interessati al contatto con altre forme di vita intelligenti e a ciò che un simile evento potrebbe comportare per la civiltà umana è stato Arthur C. Clarke. Nel racconto La sentinella, che nel 1968 fornì l’ispirazione originaria per il capolavoro cinematografico di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio, troviamo un’umanità futura alle prese con l’enigma rappresentato da un misterioso manufatto alieno. Nel 1973 Clarke riprende molti degli spunti derivati anche dal film e scrive quello che a sua volta è forse il suo capolavoro: Incontro con Rama. Un gigantesco oggetto artificiale di origine aliena attraversa il sistema solare e diventa l’obiettivo di una missione a tempo per decifrarne i misteri: origine, provenienza e scopo. Sulla stessa falsariga si muove anche John Varley, che tra il 1979 e il 1984 porta a compimento la trilogia di Gea, sviluppata attraverso tre romanzi densi di mistero e senso dell’avventura: Titano, Nel segno di Titano e Demon. Una spedizione umana giunta a fini esplorativi nel sistema di Saturno a bordo dell’astronave Ringmaster s’imbatte in Temi, un habitat spaziale artificiale grande come un piccolo pianeta: i membri dell’equipaggio, naufragati a seguito di un attacco alla nave dovranno combattere per sopravvivere su questo mondo ignoto e, contando sulla propria umanità, arrivare a comprendere l’enigma di Temi e di Gea, l’intelligenza aliena che sembra presiedere all’intero ecosistema.
Storia della tua vita è uno dei racconti più noti e premiati del pluripremiato Ted Chiang, in cui la storia del contatto con dei visitatori alieni si trasforma in un’esperienza senza ritorno per la dottoressa Louise Banks. Imparando la lingua degli eptapodi la protagonista si ritrova ad assimilarne il modo stesso di osservare il mondo e gli eventi, giungendo a una percezione totale e simultanea della storia.
Nel racconto Il muro di idrogeno di Gregory Benford, all’umanità del futuro viene purtroppo concessa solo una remota e difficoltosa possibilità di contatto con le intelligenze extraterrestri che popolano la Via Lattea. All’alba del IV Millennio la civiltà postumana ha istituito sulla Luna la cosiddetta Biblioteca, volta a decodificare le trasmissioni ricevute da una varietà di civiltà aliene: messaggi interattivi come l’Architettura del Sagittario, su cui si trova a lavorare la protagonista Ruth Angle, che subito scorge in essa “un esempio del più alto ordine di Informazione senziente“. Un messaggio che ha uno scopo e non esiterà a usare Ruth per realizzare i suoi piani.
Nella fantascienza spesso le intelligenze aliene si rivelano anche sfuggenti, oltre che imperscrutabili. E forse è meglio così: Alastair Reynolds ci fornisce delle valide ragioni per evitare il contatto, in particolare con quelle entità che alcuni conoscono come Lupi e altri come Inibitori. Stiamo parlando dell’avvincente serie dello Spazio delle Rivelazioni, composta dai romanzi Rivelazione, Redemption Ark e Absolution Gap (ancora inedito in Italia), che pone l’umanità di fronte a una galassia quasi disabitata, ma disseminata delle rovine e dei manufatti delle civiltà evolutesi prima di noi e poi misteriosamente spazzate via dal cosmo.
Ma adesso proviamo a considerare l’ipotesi a cui nessuno vuole credere. Riflettiamoci un momento: forse, se non abbiamo ancora intercettato segnali di attività da parte di civiltà extraterrestri, non è perché i nostri vicini cosmici si stiano nascondendo. Forse, se finora non abbiamo trovato tra le stelle tracce di vita intelligente e tecnologicamente progredita, è semplicemente perché lì fuori non c’è nessuno. Perché siamo soli.
Dopotutto siamo l’eccezione. E questa rappresenta la nostra consapevolezza terminale, l’ultima verità che dobbiamo accettare.
Magari c’è vita, là fuori, ma non è vita senziente. Forse, per citare il detective Rustin Cohle di True Detective “human consciousness is a tragic misstep in evolution”. 
Siamo solo un errore di programmazione. Un passo falso nel cammino dell’evoluzione.
Oppure c’è vita là fuori, e come noi si è appena sollevata dal fango in cui finora ha strisciato e sta muovendo i primi passi sulla scala dell’evoluzione tecnologica. E come noi ha i millenni contati per originare una civiltà tecnologicamente avanzata, prima di essere spazzata via dal prossimo filtro catastrofico in forma di gamma-ray burst. Magari, uno scarto tecnologico di qualche secolo ci separa dai nostri vicini, che resteranno invisibili ai nostri tentativi di rilevamento solo per l’intervallo necessario a colmare questo gap.
Oppure spingiamoci oltre. Consideriamo pure l’ipotesi più estrema di tutte e ricolleghiamoci a quanto illustravamo in merito all’ipotesi dell’universo simulato. Il terzo tipo di solitudine: là fuori non c’è niente ad aspettarci, semplicemente perché tutto ciò che interessa a chi sta facendo girare questo universo simulato è confinato qui sulla Terra, o comunque è da qui che prende origine. E non è detto che il demiurgo di questa realtà sia necessariamente un’entità maligna. Il nostro potrebbe essere sì un universo simulato, ma avere comunque uno scopo ben definito. Uno scopo che obbliga i suoi costruttori a simulare con la massima risoluzione solo una minima parte del vero universo, mentre per il resto possono limitarsi a un’approssimazione ragionevole e risparmiare potenza di calcolo. E allora ecco che lo spazio al di là dei confini del sistema solare, al di fuori della nostra portata, si riduce a un ologramma vuoto e silenzioso, mosso solo dall’applicazione delle leggi fisiche di base.
E se l’universo non fosse altro che un calcolatore esso stesso, al lavoro per rivelare la verità finale sulla realtà? È quello che nel capolavoro di Greg Egan Distress pensano i simpatizzanti dell’Antropocosmologia, una dottrina che trae ispirazione dalla visione dell’universo proposta da John Wheeler: una fisica profondamente interconnessa con la teoria dell’informazione, al punto da giustificare l’idea di una realtà che nasce dall’informazione, dall’accumulazione della conoscenza. Gli Antropocosmologi sono convinti che Violet Mosala, coinvolta in un ciclo di conferenze sulla cosmologia nell’isola di Senza Stato, una sorta di utopia anarchica costruita artificialmente in mezzo al Pacifico con un sofisticato esperimento di bioingegneria, sia la Chiave di Volta che troverà la via ultima verso una Teoria del Tutto, dando un senso all’universo. Sfortunatamente una misteriosa setta, forse maturata o infiltrata nell’organizzazione stessa, è convinta che proprio per questo non sia una buona idea che Mosala venga lasciata libera di svolgere le proprie ricerche, pena la cancellazione della realtà stessa. 
Il freelance australiano Andrew Worth incrocia la strada della scienziata ed entra in contatto con una rete di figure ambigue, nessuna delle quali sembra sincera nel rivelargli il proprio ruolo e le proprie ambizioni. Scoprirà a sue spese che, quando viene imbrattata con i preconcetti dogmatici, la scienza può anche uccidere. Ma il finale racchiude un messaggio di speranza attraverso l’incancellabile immagine di una rivelazione laica. Egan ci regala una storia complessa di rara profondità. E mette sulla bocca di Mosala parole che sanno di una dichiarazione d’intenti:

“[…] la storia della scienza è quella della convergenza verso una comprensione dell’universo condivisa da tutti, e non intendo essere esclusa da quella convergenza, per nessuna ragione” (Egan, 2002).


Non si può non concludere questa panoramica parziale, incompleta, sicuramente viziata dal punto di vista di chi scrive, senza focalizzarsi sulla figura di Kim Stanley Robinson, che spesso sceglie di affidare proprio alla comunità scientifica il punto di vista delle sue storie. Americano, laureato con una tesi sui romanzi di Philip K. Dick, a partire dalla seconda metà degli anni Ottanta Robinson si è affermato come uno dei punti di riferimento della letteratura dell’immaginario. Voce personalissima e talento sfaccettato, è stato capace di pronunciarsi con autorevolezza nei più svariati filoni del genere e sempre con risultati di indiscusso rilievo, benché l’editoria italiana non gli abbia mai riconosciuto l’attenzione e la cura che la sua opera avrebbe meritato. Dal suo triplice esordio nel 1984 (anno di pubblicazione di ben due romanzi, nonché della sua tesi di dottorato in letteratura), Robinson ha spaziato dalla distopia all’hard sci-fi, dall’ucronia al catastrofismo.
Dopo Icehenge, ambizioso affresco dell’espansione umana nel sistema solare che s’interroga sull’importanza dei simboli nel consolidamento della storia (in una società che ha ormai quasi ottenuto l’immortalità per i propri membri, la memoria rappresenta una risorsa ancora più preziosa), e dopo il tour-de-force della trilogia di storia alternativa delle “Tre Californie”, in cui svolge una riflessione sulla costruzione di una società ecosostenibile e sulla ricerca di un equilibrio tra sviluppo tecnologico e rispetto dell’ambiente (in Italia sono usciti nel 1990 e nel 1994 i primi due titoli della serie, La costa dei barbari e Costa delle palme, mentre Pacific Edge resta tuttora inedito), Robinson approda all’acclamata trilogia marziana. Il rosso di Marte, seguito da Green Mars e Blue Mars, entrambi inediti in Italia, comincia a tratteggiare l’epopea futura dell’umanità alle prese con le difficoltà legate alla colonizzazione e alla terraformazione del pianeta rosso, aspetti non secondari nella fondazione di una società marziana. L’utopia sognata dalla comunità scientifica stanziata su Marte, già molto frammentata al suo interno, si scontra con le insidie delle corporazioni transnazionali, attirate dalle ricchezze minerarie del pianeta. Robinson recupera temi e situazioni della trilogia in Antarctica, romanzo del 1997 purtroppo mai tradotto, in cui immagina l’imminente corsa alle risorse del continente di ghiaccio lanciata dalle multinazionali in previsione dell’imminente scadenza del Trattato Antartico. La storia si svolge in larga parte nelle stazioni di ricerca e negli avamposti antartici, di cui l’autore ha potuto maturare esperienza diretta grazie al Programma Antartico per Artisti e Scrittori predisposto dalla National Science Foundation.
Nella serie della Scienza nella Capitale, composta dai titoli Forty Signs of Rain, Fifty Degrees Below e Sixty Days and Counting, tutti inediti in Italia, il tema centrale è la problematica del riscaldamento globale, affrontata dagli scienziati della NSF e dai politici e lobbisti di Washington. Maestoso è lo scenario del recente 2312 (pubblicato nel 2012, ma non ancora arrivato in Italia): una storia che spazia attraverso tutto il sistema solare, da Mercurio alle lune di Giove e Saturno, con habitat artificiali, città semoventi, ambienti terraformati e tecniche di potenziamento alla portata di tutti. L’economia del sistema solare è di tipo pianificato, con ciò che resta del libero mercato confinato sulla Terra, mentre le multinazionali sono state soppiantate dappertutto da entità cooperative definite mondragon (sul calco della federazione basca delle cooperative dei lavoratori), controllate da intelligenze artificiali supportate da processori quantistici (i qubes).
Ma dobbiamo fare un passo indietro per trovare due titoli di sicuro interesse per chi cerca una lettura originale del rapporto che corre tra scienza e fantascienza. Ne Gli anni del riso e del sale troviamo uno scenario altrettanto ambizioso, che segue settecento anni di storia umana a partire dal 1348, anno in cui la Peste Nera elimina il 99% della popolazione europea (contro le stime ufficiali del 30%), aprendo la strada all’ascesa delle culture araba, indiana e cinese, con conseguenze rilevanti per lo sviluppo scientifico e la storia della filosofia. Anche qui ritroviamo il tema del ruolo dello scienziato e della sua responsabilità nella divulgazione e nella ricaduta sociale della ricerca, che si lega alle spinte opposte del conflitto e dell’integrazione tra civiltà diverse.
Galileo’s Dream è infine incentrato sulla figura del celebre fisico e astronomo pisano del Seicento, con una trama parallela ambientata nelle future colonie umane insediatesi sui satelliti medicei scoperti proprio da Galileo nell’orbita di Giove. Giocando fin dal titolo con il Somnium di Keplero (scritto nel 1608, pubblicato dal figlio dell’astronomo tedesco solo nel 1634 e considerato da Carl Sagan e Isaac Asimov come il primo vero libro di fantascienza della storia), Robinson confeziona una sapiente e credibilissima ricostruzione storica dell’Italia del XVII secolo, che fa da sfondo a due terzi del libro, riservando il resto della narrazione alle colonie gioviane alle prese nel 3020 con un dilemma che potrebbe cambiare il corso della storia: la scoperta di vita sotto la crosta ghiacciata di Europa. Galileo è il fulcro di queste due trame, attraverso cui l’autore imbastisce una grandiosa riflessione sulle dimensioni temporali della coscienza e si dimostra ancora una volta capace di catturare meglio di chiunque altri la bellezza della ricerca scientifica.
Il sogno di Keplero rivive attraverso la figura-chiave di Galileo. E attraverso queste iterazioni rivive il sogno ricorsivo delle possibilità senza limiti della scienza, mutuato dalla fantascienza nei suoi schemi e modelli, oltre che nella più immediata dimensione tematica.

 


 

LETTURE

 

  Isaac Asimov, Trilogia della Fondazione, Mondadori, Milano, 2004.
  Gregory Benford, Il muro di idrogeno in A.A.V.V., Venti galassie, Urania Mondadori, Milano, 2007.
  Vittorio Catani, Il quinto principio, Urania Mondadori, Milano, 2009.
  Ted Chiang, Storia della tua vita in Storie della tua vita, Stampa Alternativa, Viterbo, 2007.
  Arthur C. Clarke, La sentinella in La sentinella, NET, Milano, 2004.
  Arthur C. Clarke, Incontro con Rama, Urania Mondadori, Milano, 2012.
  Michael Crichton, Jurassic Park, Garzanti, Milano, 2010.
  Michael Crichton, Il mondo perduto, Garzanti, Milano, 2009.
  Paul Davies, Uno strano silenzio, Codice Edizioni, 2012.
  Philip K. Dick, Illusione di potere, Fanucci, Roma, 2013.
  Philip K. Dick, La svastica sul sole, Fanucci, Roma, 2013.
  Philip K. Dick, Labirinto di morte, Fanucci, Roma, 2012.
  Philip K. Dick, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Fanucci, Roma, 2012.
  Philip K. Dick, Ma gli androidi sognano pecore elettriche?, Fanucci, Roma, 2014.
  Philip K. Dick, Scorrete lacrime, disse il poliziotto, Fanucci, Roma, 2013.
  Philip K. Dick, Tempo fuor di sesto, Fanucci, Roma, 2012.
  Philip K. Dick, Ubik, Fanucci, Roma, 2013.
  Greg Egan, Distress, Urania Mondadori, Milano, 2002.
  Robert Hanson, The Great Filter – Are We Almost Past It? (hanson.gmu.edu/greatfilter.html), 1998.
  Alastair Reynolds, Rivelazione /1, Urania Mondadori, Milano, 2009.
  Alastair Reynolds, Rivelazione /2, Urania Mondadori, Milano, 2009.
  Alastair Reynolds, Redemption Ark, Urania Mondadori, Milano, 2014.
  Alastair Reynolds, Absolution Gap, Gollancz, Londra, 2008.
  Kim Stanley Robinson, Gli anni del riso e del sale, Newton Compton, Roma, 2007.
  Kim Stanley Robinson, La costa dei barbari, Interno Giallo, Milano, 1990.
  Kim Stanley Robinson, Antarctica, Bantam Books, New York City, 1999.
  Kim Stanley Robinson, Blue Mars, Bantam Spectra, New York City, 1997.
  Kim Stanley Robinson, Costa delle palme, Interno Giallo / Mondadori, Milano, 1994.
  Kim Stanley Robinson, Fifty Degrees Below, Bantam, New York City, 2007.
  Kim Stanley Robinson, Forty Signs of Rain, Bantam Dell, New York City, 2005.
  Kim Stanley Robinson, Sixty Days and Counting, Bantam Spectra, New York City, 2007.
  Kim Stanley Robinson, Galileo’s Dream, Spectra, New York City, 2010.
  Kim Stanley Robinson, Green Mars, Bantam Spectra, New York City, 1995.
  Kim Stanley Robinson, Icehenge, Nord, Milano, 1986.
  Kim Stanley Robinson, Pacific Edge, Orb Books, New York City, 1995.
  Kim Stanley Robinson, Il rosso di Marte, Mondadori, Milano, 1995.
  John Varley, Titano, Urania Mondadori, Milano, 2012.
  John Varley, Nel segno di Titano, Urania Mondadori, Milano, 2014.
  John Varley, Demon [I parte], Urania Mondadori, Milano, 1990.
  John Varley, Demon [II parte], Urania Mondadori, Milano, 1990.
  Vernor Vinge, The Coming Technological Singularity: How to Survive in the Post-Human Era
  (mindstalk.net/vinge/vinge-sing.html) in Vision-21: Interdisciplinary Science and Engineering
  in the Era of Cyberspace, G. A. Landis, ed., NASA Publication CP-10129, pp. 11–22, 1993.

 


 

VISIONI

 

  Cary Fukunaga, Nic Pizzolatto, True Detective, HBO, 2014 (home video).
  Stanley Kubrick, 2001 Odissea nello spazio, Warner Home Video, 2007 (home video).
  Lana e Andy Wachowsky, Matrix, Warner Home Video, 2014 (home video).