mappe q48

 

robi

QUASI ALTRO
DALL’UMANO

 

di Gennaro Fucile

 

È alto poco meno di 35 cm e pesa circa un chilogrammo. Parla, balla, ride, saluta calorosamente quando si rientra a casa, avverte quando è stanco e ha bisogno di riposarsi. Prima parlava giapponese, ora conosce anche l’italiano, ma non è un migrante. Si chiama Robi, suo padre è un ingegnere, Tomotaka Takahashi, sua madre è la robotica, ma l’albero genealogico è piuttosto ramificato nei territori della scienza e dell’immaginazione.
Robi è un androide, non è un’invenzione letteraria o cinematografica e non è destinato a uso industriale, medico o militare. La sua missione è l’amicizia, far compagnia, rendersi utile, un delicato mix di lavoratore domestico, pet e bambolotto. È in grado di comprendere 250 comandi, risponde se chiamato, è dotato di una scheda per il riconoscimento vocale e ha più grazia nel muoversi rispetto all’andatura goffissima che ha sempre contraddistinto i robot, anche se c’è ancora un po’di strada da fare. La scheda è situata nella testa, così come un telecomando, che, grazie all’emissione di impulsi a infrarossi, gli consente di accendere, spegnere, cambiare canale e regolare il volume delle televisioni compatibili. Può funzionare da timer in cucina e pulisce i pavimenti. Ha una presa cosiddetta morbida, può tenere in mano oggetti leggeri come dei fogli di carta, comunica emozioni attraverso la variazione del colore degli occhi (rossi, gialli, azzurri e altre tonalità) ovvero grazie a dei Led colorati che illuminano anche la bocca, ma questa è sempre rossa. Si stanca e lo segnala, si è detto, ma è normale, è umano, verrebbe da dire. Per consentirgli di riposare è necessario farlo sedere sulla sua stazione di ricarica: un’apposita sedia gialla, dopodiché occorre premere il tasto “accensione”.
Parla giapponese con la voce di una famosa attrice e doppiatrice del Sol Levante, Ikue Otani, che ha lavorato in serie tv come Pokémon (Pikachu), One Piece (Tony Tony Chopper), Detective Conan (Mitsuhiko Tsuburaya) e My 3 Daughters (Fu). La familiarità si conquista anche così. Anche in Italia, dove infatti la scelta è caduta su Davide Garbolino, doppiatore che ha prestato la sua voce anche a protagonisti di film di animazione come Pokemon, Dragon Ball, Kimba, Detective Conan e Batman.
Infine, Robi ha un periodo di gestazione, quasi una gravidanza prima di accoglierlo per intero in casa: lo si può acquistare solo un pezzettino alla volta, a puntate, in edicola, come hanno educato a fare decenni fa le collezioni di figurine dei F.lli Panini. Anche in questo caso, alle spalle c’è un gruppo editoriale, la De Agostini Publishing. Inoltre, poiché anche il commercio si è evoluto, accanto al classico giornalaio si è affiancato il più autorevole e-retailer del globo: Amazon. Il futuro è andato diversamente da come se lo immaginava Alberto Sordi quando girò e interpretò Io e Caterina (1980). Lì l’androide arrivava già completo e aveva sembianze femminili; l’immaginario erotico intrecciava un comico e grottesco amplesso con quello tecnologico. Robi deve essere costruito, ma montarlo è easy, occorre un semplice cacciavite. Ogni dispensa concorre a formare Robi e il racconto della sua genealogia, perché in allegato ai pezzi della singola uscita, oltre alla guida al montaggio, c’è un fascicolo dedicato alla robotica, alla sua storia e ai robot protagonisti in serie televisive e film, per un totale di quasi mille pagine. 

 

mappe01_q48

 

Eccolo dunque Roby, al momento l’ultimo nella scala evolutiva del robot, razza che da sempre incarna la classica opposizione manichea bene/male, sempre in bilico tra i due poli, che in questa versione formato Puffo eredita tutto il buono che c’è nella macchina, o meglio che il nostro desiderio vi deposita. L’onnipotenza della creazione e il piacere di possedere una creatura docile, in grado di soddisfare ogni nostro volere. È così da sempre, ma poiché a nessuno piace il regime di schiavitù, ci pensò Isaac Asimov, come è noto, a dare regole precise ai costruttori di robot e le sue tre leggi della robotica codificano la morale tecnologica analogamente a quanto dettato dalle tavole della legge riguardo ai comportamenti umani. Asimov pubblicò Io, robot nel 1950. Sono i racconti dove le tre leggi vennero formulate, ma a renderle note al grande pubblico, senza doverle enunciare esplicitamente, ci pensò sei anni dopo il lungometraggio Il pianeta proibito, anche se già nel 1951 erano nel software del robot Gort (il film è Ultimatum alla terra di Robert Wise). Del cast de Il pianeta proibito fa parte il robot Robbie, da cui per esplicita ammissione del management di Robi, arriva il nome del giovane androide e che, a sua volta ereditava il nome dal protagonista dal primo dei racconti di Asimov dedicato ai robot. Non solo il nome però, perché Robi e il suo nonno cinematografico Robbie sono impregnati dello spirito del consumo, cercano di essere in sintonia con una figura ben precisa del capitalismo post fordiano: il consumatore. Questi si evolve e di conseguenza nei territori dell’immaginario anche il robot fa altrettanto. 
Quello del film del 1956 è ancora impacciato nei movimenti, incarnerà per anni il prototipo dei robot giocattolo, a loro volta capaci unicamente di avanzare a scatti dopo essere stati caricati a molla, ma che intrecciavano un legame forte tra il mondo dell’infanzia e quello degli adulti/spettatori al cinema. L’infanzia del consumatore e quella dei bambini del dopoguerra sono all’ombra del robot, simbolo (insieme all’astronave che porta tutti in giro per l’universo) di un futuro assai simile al paese delle meraviglie, di cui la rigogliosa offerta prima di merci poi di segni, darà alla luce quell’etica dell’infantilizzazione, autentico motore della società dei consumi, di cui ci parla Benjamin Barber nel suo Consumati (Barber, 2010), che la grande crisi contemporanea oggi rende più difficile (e pericolosa per il portafoglio), ma sempre irrinunciabile. La genesi è lì, a metà degli anni Cinquanta, in quella che anni dopo venne indicata come space-age, non a caso anche l’età dell’oro degli avvistamenti di Ufo.
Quando Robbie sforna manicaretti o serve whisky a gogò si sostituisce al supermercato, al negozio ideale, allo spazio di vendita dove si entra e, se si dispone di reddito adeguato (o credito più o meno reale), si prende ciò che si vuole, si acquista anche per il piacere di farlo, lasciando libero di agire l’impulso di possedere qualsiasi cosa, ogni giocattolo che si presenta sotto i nostri occhi… specie se è una novità; tanto più se il giocattolo è un robot, segno di modernità, di futuro, porta d’ingresso a un mondo di meraviglie. Questo era l’immaginario prima statunitense e poi globale del consumatore negli anni Cinquanta (e per molto tempo ancora), l’immaginario di quella figura il consumatore “a sua volta un prodotto di consumo, ed è tale sua caratteristica a sancirne l’appartenenza alla società” (Baumann, 2008). È il distacco dalla società dei produttori che manterrà come elemento di continuità la dimensione servile del robot (d’altronde l’etimo lo condanna per l’eternità) e la doppia anima adulto/bambino sia della macchina sia del suo fruitore, il consumatore che ormai acquista solo in presenza di una componente ludica e/o d’intrattenimento scegliendo tra prodotti altrimenti simili per caratteristiche tecniche. Gli standard produttivi occidentali sono (illeciti a parte) tutti a un livello tale da rendere impossibile operare una scelta se non in base a fattori come ad esempio la comunicazione, in particolar modo se social, giocosa, interattiva e interessante.

 

mappe01_q48

 

L’organizzazione dello shopping e della vita quotidiana ancora modellata sulla fabbrica si è via via sbriciolata. Se ne trovano testimonianze ovunque. Nella vita quotidiana, Robbie è esploso in mille schegge, in innumerevoli elettrodomestici, oggi anche pensanti grazie a software che ne consentono l’interazione con l’ambiente e con gli utenti; nella vita delle nostre fantasticherie, Robbie è lo snodo dalla ingenuità diffusa del primo Novecento, come l’automa G8 che troviamo nelle avventure del Signor Bonaventura, addetto a lavori pesanti come creare un percorso praticabile in un bosco, a Wall.E, un insospettabile erede, l’indefesso robot spazzino protagonista dell’eponimo film prodotto da Pixar Animation Studios mezzo secolo dopo Il pianeta proibito. Oppure c’è Rosie, domestica meccanica armata di piumino, grembiulino e crestina in azione qualche anno dopo nella serie The Jetsons, conosciuti da noi come I Pronipoti (il primo episodio originale è del 1962). Lei è un modello antiquato, ma per affetto non viene sostituita. La famiglia dei pronipoti ne paga il fio, perché ormai Rosie è inadeguata alle nuove esigenze della famiglia moderna, le sue modalità d’uso non sono più soddisfacenti traducendosi in un comico dispotismo del personaggio. L’icona Rosie ha resistito nel tempo al punto di ritrovarne un’erede in Beatrice, apparsa in pubblico a Stazione Futuro, uno degli eventi più importanti organizzati a Torino per i 150 anni dell’Unità d’Italia. Alta 180 centimetri e di ragguardevole peso, 150 chili, è stata ideata per fare da accompagnatrice nei musei, infatti parla ben trenta lingue. Insomma, non lava i pavimenti, ma la silhouette è proprio quella di Rosie.

 

Si scivola di continuo su piani diversi nel mondo dei robot, da quello narrativo a quello dell’immaginario consumistico, da quello dell’infanzia al mondo adulto delle applicazioni a uso civile e militare. A far da lasciapassare è sempre l’animo buono del robot. La fantascienza in senso stretto ne ha forniti di esempi, anche prima di Asimov. Il vero primo uomo artificiale a fare da protagonista nella fantascienza si chiama non a caso Adam, Adam Link e lo hanno immaginato i fratelli Binder (Earl and Otto, da cui il nome fittizio Eando), facendone il protagonista di una serie di racconti (il primo è del 1939) poi  raccolti in volume (l’ultimo è del 1942) con il titolo originale I, Robot, preso poi a prestito da Asimov. Personaggio, Adam Link, piuttosto stucchevole, che esordisce così: “ Sono nato, sono stato creato cinque anni fa. Sono un robot. Voi umani avete delle difficoltà a crederci. Sono fatto di fili e rotelle, non di carne e sangue. Funziono elettricamente. Il mio cervello è spugna e iridio”. Poi, tanto per esser chiaro, precisa: “Sono stato creato dall’uomo e servirò l’uomo” (Binder, 1978). Si troverà nei guai, perché il suo creatore, un certo dottor Link (ovviamente) morirà accidentalmente e Adam verrà invece sospettato di averlo ucciso. Poi tutto finirà bene e il robot si accaserà anche (con Eve, naturalmente). Il complesso di Frankenstein, come lo chiamerà Asimov, è già qui e rappresenta la deriva melodrammatica del robot, che proprio fa fatica a starsene buono e zitto. Prima o poi si commisera o si ribella, come accade nel fantastico mondo dei robot, come si intitola in italiano il film scritto e girato da Michael Crichton nel 1973. Westworld è il titolo originale, il nome di una specie di Disneyland per adulti (benestanti beninteso) in cerca di emozioni forti, che giocano a fare i cowboy, i cavalieri medioevali o gli antichi e corrotti romani. Qualche meccanismo si inceppa e i robot danno vita a una vera mattanza.

 

mappe01_q48

 

Niente paura, quando un robot va in tilt è subito sostituito da una nuova generazione di macchine ancora più efficienti, intelligenti, simili all’uomo, di animo buono e dediti solo a sollevarci dagli affanni quotidiani, lavorando per noi e giocando con noi. A volte succede anche il contrario, che una macchina pensata per la guerra, guastandosi subisca una metamorfosi diventando buona, come nel caso di Numero 5, che poi si ribattezza Johnny 5, il robot di Corto circuito, film del 1986 diretto da John Badham. Succede anche che due robot infrangano non le leggi della robotica, ma quelle della morale e per mano (meccanica) di altre macchine più specializzate (in pratica degli evolutissimi cacciaviti) vengano puniti con la morte, ovvero smontati. Succede nel video All Is Full of Love di Björk, diretto da Chris Cunningham nel 1999, con le due androidi in amore, metodicamente disattivate (www.youtube.com).
Il video è montato al contrario ed è letteralmente la gestazione di Robi con una sequenza temporale invertita. Robi si monta, Björk si smonta.
Il vero passaggio di testimone tra Robbie e il futuro vede però come protagonista C-3PO, il robot antropomorfo, imbranato quanto basta di Star Wars, uno dei quattro personaggi, si noti, a essere presenti in tutti gli episodi della saga. C-3PO di mestiere fa l’interprete e quando bisogna dialogare con le razze più disparate poste ai quattro angoli dell’universo, la sua diventa un’attività di importanza fondamentale, non proprio un lavoro per tutti. Infatti conosce oltre sei milioni di forme di comunicazione, know-how che lo rende insostituibile. Se Robbie fabbricava beni di consumo, C-3PO produce informazione, la merce del futuro, anzi del presente. Egli (?, esso?)  non solo è schierato dalla parte de buoni, ma è buono di natura, perché si limita a chiacchierare con chiunque e a metterlo nei guai è il suo compare scavezzacollo, R2-D2. Robi, il piccolo robot che in molti hanno iniziato a costruire tra le pareti di casa condivide del materiale genetico immaginario con C-3PO, perché l’andatura più disinvolta non è il suo vero punto di forza. Ciò che conta è la capacita di dialogare, seppur ai minimi termini, con l’alieno che c’è in casa, l’umano. Sembra qui tornare in scena un’altra relazione tra Altri, quello tra l’uomo e la scimmia, riassunta in modo esemplare dal signore della foresta burroughsiano. 
Fatto sta che a Robi dovremo abituarci indipendentemente dal suo successo commerciale, perché espressione di un nuovo stadio del nostro immaginario, non votato alla conquista dello spazio esterno (pure affidato per ora a robot meno antropomorfi), più dedicato allo spazio interno, ma depurato di quelle inquietudini esplorate da chirurghi dell’anima come James Ballard. Uno sguardo raccolto tra le mura domestiche, circondati da nuovi comfort (il desiderio del consumo è in rigenerazione permanente), non più la scoperta della stereofonia o l’attesa dell’incontro ravvicinato del terzo tipo, ma un fiume di app per ogni necessità e/o superfluità e un po’ di innocua compagnia da parte di una macchina in fondo costruita con le nostre mani. Robot che al massimo iniziano a sognare di condurre anche loro automobili, ovvero altre macchine, quelle su cui da sempre sfreccia l’immaginario legato alla virilità. La pensano così alla Peugeot (www.youtube.com),
ponendo alla guida della nuova 208 un altro androide chiaramente imparentato con Robi, che non può celare il suo sogno segreto, perché mentendo gli cresce il naso, come un vecchio prototipo di cyborg, partorito proprio in Italia, in Toscana, Pinocchio. In meno di un minuto si salta tutta l’epoca industriale affollata di robot servili e ribelli, melodrammatici e pericolosi, quella stagione mai conclusasi della science fiction più hard, ricca di conflitti, scontri, violenze. Niente di tutto ciò. Si torna alla fiaba, al preindustriale, tipico slittamento postindustriale tra i piani della storia, quello che avviene ogni volta che un nuovo grado di conoscenza consente di simulare meglio la tradizione, il tempo passato. Il burattino/androide della Peugeot e il Robi italo/giapponese incorporano i diversi generi del fantastico senza privilegiarne alcuno. La tecnologia che li muove ci appare sulle prime strana, non immediatamente comprensibile, ma ne conveniamo che è frutto di un sapere, solo troppo alto per tutti, esclusi gli ingegneri che si occupano di robotica e lo spettacolo che danno in casa o in tivù è tendente al meraviglioso. Niente di diverso da quanto accade nei generi un tempo distinti della fantascienza, del fantasy, della fiaba, ecc, in letteratura, al cinema e nei videogiochi. In definitiva, quando montiamo Robi, come accadeva con il Meccano in epoca industriale, stiamo anche incastrando le tessere di un mosaico composto con il buono, il brutto e il cattivo del nostro immaginario e non scopriamo il bambino, ma il robot che c’è in noi.

 

mappe01_q48

 

 

LETTURE

  Barber Benjamin, Consumati, Einaudi, Torino, 2010.
  Bauman Zygmunt, Consumo dunque sono, Laterza, Bari, 2008.
  Binder Eando, Adam Link-Robot, Longanesi, Milano, 1978.

 


 

VISIONI

  John Badham, Corto circuito, Quadrifoglio, 2012.
  Michael Crichton, Il mondo dei robot, Warner Home Video, 2013.
  George Lucas, Irvin Kershner, Richard Marquand, Star Wars. La saga completa, 20th Century Fox, 2011.
  Andrew Stanton, Wall-E, Disney-Pixar, 2013.
  Fred M. Wilcox, Il pianeta proibito, A & R Productions, 2011.