m01.jpg Rielaborazione di Mangiatore di fagioli, Annibale Carracci, 1583 - 1584, cm. 57 x 68, Roma, Galleria Colonna

 


Una conversazione con Alberto Capatti


IL VERBO,
ANZI
I VERBI DI ARTUSI:
SCEGLIERE, FARE,
SERVIRE, SCRIVERE

di Daniela Fabro


Pellegrino Artusi è un personaggio che mette d’accordo tutti. Dalla donna di casa, che sul suo ricettario ha imparato a cucinare, ai cuochi professionisti che lo citano come ispiratore delle ricette della “vera” cucina italiana, da cui non si può prescindere pur innovando. Ma è un fatto che Artusi sia stato soprattutto un personaggio la cui cultura, culinaria e non, e il cui culto della lingua italiana, hanno vietato di scadere nella retorica, andando piuttosto sempre all’essenza delle cose, che si trattasse di spiegare una ricetta o che si trattasse di spiegare la vita. Vero? Falso? Ne abbiamo parlato con il professor Alberto Capatti. Lui, Capatti, lo conosce bene Pellegrino Artusi, lo conosce come nessun altro.
Parli di Artusi e citi Capatti: è inevitabile perché Capatti, un tempo direttore della rivista La Gola, ha anche curato la Autobiografia di Pellegrino Artusi (Slow Food, Bra,1999) e la recentissima edizione critica con commento e note del celeberrimo La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene dell’uomo di Forlimpopoli. Il professor Capatti oggi dirige il periodico Slow edito dall’associazione Slow Food, insegna Storia della cucina e della gastronomia all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo (Cuneo) ed è anche autore di diverse pubblicazioni in materia di gastronomia, tra cui ricordiamo il recente Il boccone immaginario. Saggi di storia e letteratura gastronomica (Slow Food, Bra, 2010). Così, parli di Artusi e citi Capatti, (come è capitato di recente a chi scrive, in un post nel suo blog: www.pianetacibo.blogspot.com) e questo incontro è una di quelle portate che non può mancare a tavola, pena essere bacchettati da Artusi e dallo stesso Capatti, naturalmente…

 

La scienza in cucina e l'arte di mangiar bene, scrive il prof. Montanari nella postfazione all'ultima edizione da lei curata (Bur, Milano, 2010), non è un documento storico ma il fondamento teorico e pratico della tradizione gastronomica italiana. A quali soggetti storici si deve soprattutto questa codificazione in sapere tradizionale per eccellenza?
Una cultura culinaria (preferirei evitare il termine tradizione) è una rete di cuochi/cuoche, scrittori/scrittrici e beati o inquieti fruitori. Pellegrino Artusi è una maglia, forse la prima maglia di questa rete che si sviluppa nei vent’anni in cui ristampa e aggiorna La scienza in cucina (1891-1911). I suoi corrispondenti, i suoi stimatori ed emuli, sono le altre maglie della rete, in gran parte nati nella metà del XIX secolo e sono: Alberto Cougnet, nato nel 1850 (L’Arte cucinaria in Italia, Wilmant, Milano, 1910-1911), Giulia Lazzari Turco, nata nel 1848 (Manuale pratico di cucina, Emiliana, Venezia, 1904), Adolfo Giaquinto, nato nel 1847 (La cucina di famiglia, Roma, 1899) ed altri di cui è in corso l’individuazione. Le grandi cuoche-scrittrici degli anni Venti, si innestano su questa trama e, con ago e filo e cucchiaio di legno, contribuiscono ad infittirla: Ada Giaquinto Boni, la più nota, con Il talismano della felicità (Preziosa, Roma, 1925). Così procede la didattica culinaria e la cucina, sino agli esiti più vicini a noi: Il cucchiaio d’argento (Domus, Milano, 1950), Le ricette regionali italiane di Anna Gosetti della Salda (Solares, Milano, 1967), o Quando cucinano gli angeli! di Suor Germana (Piemme, Casale, 1983). Ogni ricetta è replicata con varianti, circola con nuovi termini, si riproduce continuamente, pur essendo sempre riconducibile a prototipi e modelli.

 

Artusi, però, non (ab)usa mai della parola tradizione, dimostrando di ignorare il concetto alla base dello scenario odierno dell'alimentazione: quello del marketing che orienta i rapporti tra agricoltori, industria della trasformazione e chef. Questo vuol dire che per fare della buona cucina, classica, intramontabile come quella delle sue ricette ci vuole forse altro, che cosa?
Ogni mercato ha dietro le sue spalle una agricoltura e un commercio, e davanti a sé monete, sporte, servi e gastronomi. Quello di Firenze, del 1891 non faceva eccezione, e non era comparabile con quelli attuali. Artusi riceveva polli vivi dalle sue terre, il suo cuoco Francesco Ruffilli comprava i lamponi ad agosto quando il loro prezzo calava (per farne conserve), i suoi corrispondenti ignoravano alcune delle erbe de La scienza in cucina, per esempio, in Veneto, l’origano. Questa diversità di conoscenze e consumi, difficilmente è riconducibile a quella che Allan Bay chiama ironicamente La mistica del territorio (Cuochi si diventa, Feltrinelli, Milano, 2009, p.17). Oggi il “territorio” è un’etichetta di un marketing rigido quanto quello “industriale” e sta alla base di organizzazioni, profit e no profit come Slow Food, che ne mettono a frutto il valore economico e simbolico. Nella macilenta agricoltura dei tempi d’Artusi, il territorio non c’era e i poderi di Romagna potevano contenere una miseria (contadina) e una povertà (qualitativa) oggi impensabili, nel nostro contesto di leggi, marchi, tutele. D’altro canto, si fa cucina con gli ingredienti reperibili ed attuali; La scienza in cucina ha determinato scelte e insegnato piatti continuamente diversi dal 1911 ad oggi, con la conseguenza di stabilizzare alcune operazioni e di offrire esiti evolutivi, scontati o imprevedibili, e di incoraggiare alcune ricette e farne tacere altre.

 

Come lei stesso ricorda, l'edizione critica la Scienza in cucina di Piero Camporesi nel 1970 palesava il timore della scomparsa della cucina genuina, del “sogno di felicità domestica” dell'Artusi a favore del cibo precotto e surgelato dell'industria. Oggi, invece, assistiamo a una riscoperta dei sapori dell'orto, dei prodotti freschi e rari, delle verdure di stagione e di prossimità e La Scienza in cucina come scrive lei, è sopravvissuto a tutte le rivoluzioni alimentari del XX secolo: in che modo si intreccia con la storia dell'industria dell'alimentazione?
Oggi, accade di tutto: Benedetta Parodi consiglia ai suoi telespettatori di approvvigionarsi al supermercato e di eseguire una ricetta con prodotti surgelati sempre a portata; viceversa Allan Bay ricerca e consiglia il “buono” in una visione ad un tempo empirica e critica, a sua misura. La “riscoperta dei sapori dell'orto, dei prodotti freschi e rari, delle verdure di stagione e di prossimità” è un approccio fra i tanti che discrimina e incrimina, che promuove realtà e mito. L’industria garantisce la base alimentare alla popolazione italiana, con una gamma di prodotti scalare, per costo e valore gastronomico, ma tutto il suo marketing non basta a renderla riconoscibile e accettata in tutte le sue componenti. L’esistenza dell’orto e quella delle coltivazioni estensive, della passata casalinga e di Pomì sono le due facce di un sistema che dagli anni Novanta non riesce a trovare un equilibrio, almeno da un punto di vista culturale, e che richiede, per il futuro, una nuova visione. Che c’entra Artusi? Artusi esprime i molteplici significati contenuti nei verbi: scegliere, fare, servire, scrivere, nel corso di un secolo, ed ha guidato, in Italia, la famiglia, l’industria, il mercato, i consumi. Come qualsiasi classico letterario, è eccentrico e intrinseco al nostro gusto, anche al mio.

 

Oltre al carattere sperimentale e non prescrittivo delle ricette di Artusi (le famose ricette parlate) e alla capacità di definire ingredienti e mosse dei procedimenti di base con una chiarezza e una precisione linguistica senza pari, cosa manca ai manuali di cucina che sono venuti dopo e al modo di descrivere le loro ricette degli chef, magari anche stellati, di oggi?
Non manca nulla, perché ogni ricettario in commercio (a nome di Parodi, Bay, Marchesi o Cracco) esprime un approccio attuale-universale al fare cucina. Anche gli errori, didattici o linguistici, sono parte di una visione immanente della cucina, e li ho sempre considerati preziosi per capire il dettato. Così pure le opinioni di tanti autori. Quando Benedetta Parodi scrive: “mi sono dedicata alle mie spese via Internet: molto più riposante!” (Benvenuti nella mia cucina, Vallardi, Milano, 2010, p.73), esprime un giudizio da politico sul mercato, e cerca voti, audience, come in una campagna elettorale. Anche questo è “essere in cucina”, “fare cucina” e invocare Artusi per zittirla sarebbe errato. Se Artusi intingeva la penna nell’inchiostro e con la sua grafia pulita ed esatta fino al novantesimo anno di età, redigeva una ricetta che gli era stata raccontata, annotata, il suo stile ha influito sugli/sulle eredi molto di più di quanto non si pensi e molte formule cliccate su internet portano un po’ della sua grazia e qualche eco della Scienza in cucina. Quanto agli errori, lui stesso ne commetteva, a partire dal soufflé scritto soufflet, da matita rossa per un professore di francese quale sono stato.

 

Ai suoi tempi, come ha scritto lei, l’Artusi costruì il suo sapere grazie ai mezzi allora emergenti che fecero anche l’Italia unita, come la rete ferroviaria e il servizio postale che gli diedero l’opportunità di conoscere i vari prodotti. Oggi, un novello Artusi come dovrebbe interagire con la Rete, con i social network e l’e-commerce?
Questa domanda, l’accetto positivamente perché, come nel formulare la risposta alla precedente, permette di liberare la letteratura culinaria da pretesi vincoli stilistici, dalla sudditanza all’inchiostro e alla stampa. Televisione, pubblicità, internet, telefonia, blog, sono i linguaggi della cucina di oggi, e semmai sarebbe interessante tradurre La scienza in cucina in tali codici, come Alberto Rebori l’ha tradotta in fumetti (Corraini, Mantova, 2001). Invito a guardare solo le immagini di Rebori… 


La cucina domestica e l'amore: per i gatti, per le donne, per la scrittura in un italiano correttissimo imparato da autodidatta. Un personaggio singolare, lei come se l’immagina Artusi?
L’ho sempre visto, a distanza, come un manichino dell’Italietta, per poi considerarlo, da vicino, come una mia identità, fra le più profonde. Ereditato da mia nonna Giulia, e da mia madre Camilla, è il germe della mia vita, della mia anima, indissociabile da quello che sono. Ma, con questo, non oserei mai risponderle, io sono Artusi, temendo di vedermi crollare addosso, in un incubo, tutta la genealogia domestica.