Nostalgia del futuro
di Adolfo Fattori


Se vogliamo, possiamo pensare di chiamare futuristica questa “scienza delle soluzioni immaginarie” che ha percorso il secolo e che, periodicamente, ha proposto immagini del futuro che – a differenza di quelle sceneggiate dalla science fiction – si proponeva di offrire sulle riviste di “attualità politica cultura” squarci di come sarebbe stato il futuro. E’ curioso fra l’altro notare come, entrando poi nel futuro “vero”, queste esercitazioni si siano diradate e siano poi quasi del tutto cessate: le aspettative rispetto al futuro si nutrono dei periodi di sviluppo e progresso, non di quelli di disorientamento e crisi, come per certi versi appare il nostro. D’altra parte, già nel 1978, Jean Baudrillard notava in un convegno a Palermo, come la fantascienza, realizzandosi il futuro, fosse morta, essendo superata dalla realtà[12].

Ma c’è dell’altro, in queste cartoline, che le rende particolarmente significative.

Il passaggio dal XIX al XX secolo fu particolarmente drammatico e cruciale. Si è trattato certo di una coincidenza, ma è comunque vero che in quel periodo – da circa vent’anni prima a circa vent’anni dopo il giro di boa del secolo – si addensano gli eventi e i fenomeni che producono le basi per la maturazione della modernità e di radicali trasformazioni nella vita quotidiana, nella percezione del mondo, nell’identità[13].

Da queste cartoline traspare invece una sensazione di benessere e fiducia nel futuro che sembra contraddire la condizione di crisi e disordine descritta in altre testimonianze dell’epoca, dalla narrativa, alla saggistica, all’arte.

D’altra parte, è vero che i periodi di passaggio sono periodi contraddittori, e che quindi l’ingenuo ottimismo mostrato da queste illustrazioni può essere uno degli aspetti della dialettica dell’epoca di cui ci stiamo occupando: una visione positiva – positivistica? – del futuro, ad uso augurale e festivo.

L’iconografia e la grafica di queste cartoline richiama quella dei primi balloons, come Little Nemo in Slumberland, o, per tornare in Italia, Cirillino. Appare evidente che le soluzioni a colori sono frutto delle nuove tecnologie della stampa, che permettono tinte brillanti, contorni netti, buona definizione.

Contemporaneamente, risulta chiara la parentela con le illustrazioni dei libri di avventure e di fiabe da raccontare “affianco al focolare”.

Queste cartoline costituiscono bene l’esempio di uno dei poli della sensibilità di un’epoca di passaggio, che vedeva da una parte rassicurazione e speranza, dall’altra crisi e paura.

Siamo infatti in un periodo di transito, dalla tradizione alla modernità, che se da una parte prova a rassicurarsi rappresentandosi un futuro radioso, dall’altro lato avverte e denuncia il malessere con i romanzi di Mann, Musil, Broch, Werfel, ma anche di Wassermann e Roth.

E che, in maniera, problematica ma “popolare”, comincia a proporre nuove ipotesi sull’avvenire attraverso i romanzi “di genere”, che aprono alla nascita della fantascienza.

Verne, Salgari, Wells, sono esempi di una coscienza del trapasso da un’epoca ad un’altra che, seppure con altri mezzi, si affianca a quella dei grandi scrittori della letteratura “alta”, come i mitteleuropei, e qualche tempo dopo Proust e Joyce.

Siamo in una fase storica in cui sono presenti – per semplificare – due percezioni dello stato delle cose: uno scenario in cui un primo sviluppo accelerato delle tecnologie – in particolare di quelle applicate alle comunicazioni – proietta la società verso il futuro, e contemporaneamente ne induce anche la crisi.

Si sviluppano così due sensibilità: una più popolare e, volendo, “moderna”, che guarda all’avvenire e allo sviluppo attraverso i primi canali di diffusione della narrativa di massa; una più “aristocratica” e apocalittica, che coglie i sintomi della crisi e li ribalta sulla percezione dell’identità.

Perché i grandi romanzi del passaggio fra i due secoli sono – se mi si permette questa definizione – i “racconti dell’identità” contemporanea, del compiersi del moderno, della sua crisi, e quindi anche della crisi delle identità stabili e integrate.

Non è certo casuale che il lavoro di Freud si sviluppi in questi anni, e che alcuni autori si riferiscano direttamente a lui, come lo Schnitzler di Doppio sogno e di La signorina Elsa.[14]

Al contrario, la nascente cultura di massa – di cui la science fiction è parte integrante – batte su altri tasti, quelli della rassicurazione e dello svago, tornando per un verso alle origini del racconto, e riscoprendo quindi funzioni tipiche come l’eroe, la lotta, l’avventura, l’amore; per un altro verso risolvendo il conflitto che mette in scena in maniera “muscolare” e ottimistica.

La fantascienza è sicuramente la modalità più significativa di espressione delle tendenze dell’immaginario collettivo in formazione nel passaggio fra secolo XIX e XX.

 


[12] J. Baudrillard, Fantascienza e simulacri, in L. Russo, a cura di, La fantascienza e la critica, Feltrinelli, Milano 1980.

[13] Cfr. S. Kern, cit.

[14] A. Schnitzler, Doppio sogno, Adelphi, Milano, 1978 (1931); La signorina Elsa, Dall’Oglio, Milano, 1964.

 

    [1]  [2] [3] [4] (5)