L’improvvisazione free form
di una morbida orchestra

Orchestra Of The Upper Atmosphere
Theta Six
Formazione: Martin Archer (fiati, organo, elettronica, voce),
Steve Dinsdale (elettronica, batteria),
Yvonna Magda (violin, elettronica,
Andy Peake (pianoforte, tastiere),
Jan Todd (voce, elettronica, arpe, jouhikko, percussioni, suoni preregistrati),
Lorin Halsall (basso elettrico, contrabbasso, elettronica),
Terry Todd (basso elettrico),
Walt Shaw (batteria, percussioni, voce).
Discus Music, 2023

Orchestra Of The Upper Atmosphere
Theta Six
Formazione: Martin Archer (fiati, organo, elettronica, voce),
Steve Dinsdale (elettronica, batteria),
Yvonna Magda (violin, elettronica,
Andy Peake (pianoforte, tastiere),
Jan Todd (voce, elettronica, arpe, jouhikko, percussioni, suoni preregistrati),
Lorin Halsall (basso elettrico, contrabbasso, elettronica),
Terry Todd (basso elettrico),
Walt Shaw (batteria, percussioni, voce).
Discus Music, 2023


L’esplosione creativa musicale (e non solo) avvenuta nella seconda metà degli anni Sessanta del secolo scorso continua la sua fioritura sotterranea fino ai giorni nostri. Anzi, per alcuni versi, si può certamente dire che quell’approccio aperto, libero e non irregimentato all’interno di stili predefiniti, sembra essere tornato moneta corrente per tutta una serie di musicisti desiderosi di sperimentare intrecci di linguaggi differenti e nuove modalità espressive. Non è certo retromania o pedissequa imitazione tornare a certe atmosfere o lavorare intorno a quell’estetica che aveva aperto le porte della mente e prodotto una serie di musiche di altissimo livello: tale è la freschezza, le intuizioni, la fertilità di quell’approccio musicale da risultare ancora oggi fonte preziosa di ispirazione. Quel particolare terreno frutto di incontro tra il rock più aperto all’improvvisazione tipico dei primi Pink Floyd, dei Soft Machine o dei Gong di Daevid Allen così come della West Coast più visionaria, un certo jazz uscito dalle note di Sun Ra, di John Coltrane, del Miles Davis elettrico, la sperimentazione degli AMM e il minimalismo di Terry Riley, l’esperienza del cosiddetto krautrock, rimane indissolubilmente un patrimonio ricco di implicazioni. Ed è proprio in questo ambito che l’Orchestra Of The Upper Atmosphere lavora e produce musica meravigliosa ormai da più di dieci anni.

Un’idea firmata Martin Archer
Partiti come un duo formato da Martin Archer, sassofoni, tastiere, synth, e Chris Bywater, synth ed elettronica, il gruppo si è poi allargato nel corso degli anni ad altri musicisti che hanno affiancato, dal terzo disco in poi, il solo Archer, avendo Bywater cessato la collaborazione. Mente propulsiva dell’Orchestra è certamente il fondatore dell’etichetta discografica Discus Music, quel Martin Archer da Sheffield che tra sassofoni ed elettronica continua a disseminare musiche di alta qualità, sia con i suoi progetti che pubblicando dischi di altri gruppi e solisti a lui affini in termini musicali. In questo sesto capitolo, uscito ovviamente per la sua etichetta, è affiancato da un veterano della scena elettronica inglese (membro del trio Radio Massacre International) qual è Steve Dindsale, qui anche in qualità di batterista, dal basso elettrico e contrabbasso oltreché elettronica di Lorin Halsall (già componente del gruppo psichedelico inglese The Telescopes), da Yvonna Magda al violino ed elettronica, Walt Shaw alla batteria e percussioni, Andy Peake (negli anni Ottanta nella storica formazione dei Comsat Angels), piano e tastiere, Jan Todd alle voci, all’elettronica e ad una serie di altri suoni e strumenti, e Terry Todd al basso elettrico. Questo largo ensemble è l’artefice di Theta Six (gli altri album hanno la numerazione dall’uno al cinque, in pieno stile Soft Machine!) per il quale l’etichetta di musica free form sembra abbastanza appropriata. Il termine è stato usato storicamente spesso per delimitare e circoscrivere quel tipo di psichedelia dalle forme dilatate, con lunghe improvvisazioni ed effetti spaziali, una musica da stati di coscienza alterati che raggiunse il suo culmine per l’appunto nella seconda metà degli anni Sessanta.

A proposito di improvvisazione
Va fatta una breve ma essenziale dissertazione riguardo gli approcci improvvisativi che si sono delineati nel corso dei decenni precedenti. Se chiara appare la forma improvvisativa jazzistica, che si avvale di quell’idioma con tutta la sua storia e le sue evoluzioni, più incerta appare la distinzione tra improvvisazione libera e improvvisazione free form. Per la prima si può fare riferimento a quel territorio a metà tra avanguardia e free jazz, mentre la seconda è stata spesso identificata per l’appunto con una parte della scena psichedelica, Pink Floyd, Soft Machine, Grateful Dead tra gli altri ma anche una serie di gruppi tedeschi, e quindi di più chiara derivazione rock, pur in presenza di elementi jazz e contemporanei. La differenza è soprattutto nello sviluppare l’improvvisazione spesso intorno a un centro tonale, il più delle volte mantenuto dal basso, e che certo esula e sconfina nell’atonalità tipica dell’improvvisazione libera, ma che comunque mantiene come punto di riferimento il suddetto centro tonale. Al di là della capziosità riguardo le definizioni degli approcci improvvisativi, questa dissertazione ci è utile per fotografare in maniera generale la musica del gruppo e il suo innegabile fascino. Una modalità compositiva che si basa su suite improvvisate alle quali si aggiungono riff tematici assoli melodici e sovraincisioni, a creazione di paesaggi consonanti increspati da suoni ed effetti che costruiscono una musica avvolgente e sognante, morbida ma con impulsi ritmici incisivi.
Forced Orbit, il lungo brano che apre il disco, è una sorta di manifesto del gruppo: un inizio misterioso che fa da preludio ad un efficace e penetrante riff di fiati uscito direttamente dal Third dei Soft Machine, ritmica cadenzata e il violino che si insinua all’interno, lampi d’elettronica e tastiere in un continuo entrare ed uscire dalla tonalità, fino ad approdare in un paesaggio lunare molto krautrock.

L’album della storica formazione di Canterbury, Third, appare decisamente qualcosa di più di un riferimento tra i tanti altri, come racconta la foto interna di copertina, il cui artwork si deve a Walt Shaw: un omaggio clamoroso alla fotografia che si ammirava all’interno dell’ellepì della formazione canterburyana: una cameretta con i musicisti disposti ai lati e al centro dell’inquadratura, alcuni strumenti poggiati qui e là, poster alle pareti, un tavolinetto al centro con beveraggi assortiti. È l’immagine icona della band e i membri della l’Orchestra Of The Upper Atmosphere si sono fatti immortalare nelle medesime pose in una cameretta che si direbbe la stessa con poche variazioni.
Simile al brano di apertura è Fata Morgana, anch’esso molto vicino alle atmosfere di Third, mentre Monochrome è ammantato da elettronica diffusa e una voce che ricorda gli space whispers di Gilly Smith dei Gong. Trichromat mostra uno scenario più libero, ricco di delay, suoni, effetti, singoli colpi di batteria, la voce sussurrata e il violino che danno quel senso di spazialità, di profondo respiro: un brano vicino alle sonorità dei Neu o dei Tangerine Dream di Phaedra.

Fata Morgana, terzo brano in scaletta dell’album Theta Six.

La successione di Alien Spectra, Dagger Boys e African Lady Pilot è probabilmente il momento migliore del disco, peraltro interamente di alta qualità. Si inizia con una suggestiva voce circondata da effetti spaziali che sfocia in una serie di rumori disordinati, percussioni, piatti e un clarinetto scuro, notturno, che delinea brevi rette melodiche per poi lasciare spazio ad un sax riverberato: da questo punto in poi parte la lunga suite African Lady Pilot, con un ritmo costante e loop elettronici,  un affascinante riff alla Soft Machine e il fantasma di Elton Dean che si insinua tra le linee vocali, mentre nella seconda parte è il violino che illumina l’atmosfera circondato da tastiere ed elettronica, in un contesto dai vaghi accenni jazz rock. Se Black Paradox si sviluppa su un ostinato di basso riallacciandosi all’estetica Necks, Spinshift è una vera e propria canzone, con una melodia vocale al solito avvolta da effetti e sostenuta da brevi riff di fiati, per poi disgregarsi in suoni disordinati e rumori su un tappeto spaziale. Marabaraba è un’altra lunga suite psichedelica, con pianoforte e violino che interagiscono sul costante incedere della ritmica, e nel finale la voce che reitera una linea melodica, talvolta doppiata dal clarinetto, fino alla dissoluzione. Il finale del disco, con Edgelands e Message Parlour – for Alan, è caratterizzato da elementi più sperimentali, o quantomeno da sonorità dissonanti, suoni inquieti, scuri, tra Ummagumma dei Pink Floyd e gli AMM di Keith Rowe, Eddie Prevost e Cornelius Cardew. Theta Six conclude qui il suo viaggio, dopo più di un’ora di musica; un vero e proprio percorso psichedelico ricco di suoni, effetti, riff e melodie, improvvisazioni e scenari spaziali, con un susseguirsi di brani incessante, persistente, legati uno all’altro senza soluzione di continuità.

Affinità elettive
Se i riferimenti estetici passati sono stati in parte già esposti, la musica dell’Orchestra Of The Upper Atmosphere può essere connessa a diverse esperienze attuali, che lavorano su un terreno simile, contiguo: Necks, Bitchin Bajas, la Natural Information Society di Joshua Abrams, le ultime uscite discografiche degli Heliocentrics (in particolare Infinity Of Now e Telemetric Sounds), o anche quell’interessante ed avvincente London Odense Ensemble, frutto della collaborazione tra gli inglesi Tamar Osborne e Al MacSween e i danesi Jonas Munk, Jakob Skott e Martin Rude, artefici di lavori discografici poco conosciuti ma di grande fascino. È una musica che vive sì di improvvisazione, ma un’improvvisazione votata e consacrata all’elaborazione di paesaggi sonori eterei, ancestrali, una ricerca costante dell’elemento inconscio dell’essere umano, di un certo senso di sacralità e trascendenza, come a voler riconnettersi con l’essenza del suono, della sua valenza magica e sovrannaturale. L’uso intelligente di sperimentazione e minimalismo, reiterazione, psichedelia e space rock, elettronica e respiro jazz, è la formula perfetta per la costruzione di questo universo.

“Prima o poi, la musica sfugge sempre al ruolo di vigile presenza razionale che la cultura critica le assegna, e torna a cercare dimora nel rituale e nel magico dove in fondo è nata”
(Carrera, 2022).

Ascolti

  • Joshua Abrams & Natural Information Society, Simultonality, Tak:till, 2017.
  • Bitchin Bajas, Bajascillators, Drag City, 2022.
  • The Heliocentrics, Telemetric Sounds, Madlib Invazion, 2020
  • The Heliocentrics, Infinity Of Now, Madlib Invazion, 2020.
  • London Odense Ensemble, Jaiyede Sessions Volume 1, El Paraiso Records, 2022.
  • London Odense Ensemble, Jaiyede Sessions Volume 2, El Paraiso Records, 2023.
  • Necks, Travel, Northern Spy, 2023.
  • Orchestra Of The Upper Atmosphere, 1 – 5, Discus Music, 2012, 2014, 2017, 2018, 2020.

Letture

  • Alessandro Carrera, Filosofia del minimalismo, Casa Musicale Eco – Gruppo Editoriale Volontè & Co, Milano, 2022.