Di meditazioni, sentimenti
e altre visioni sensibili

Andrea Balzola, Paolo Rosa
Arte fuori di sé
Un manifesto per l’età
post-tecnologica
Feltrinelli, Milano,  2019

pp. 240, € 12,00

Andrea Balzola, Paolo Rosa
Arte fuori di sé
Un manifesto per l’età
post-tecnologica
Feltrinelli, Milano,  2019

pp. 240, € 12,00


Nello spazio a equilibrio instabile delle pubblicazioni sulla visual culture e sulle prospettive future dell’interazione, dire che un libro come L’arte fuori di sé di Andrea Balzola e Paolo Rosa è interessante perché riflette sulla crisi di identità dell’arte e parla di autopromozioni pseudo-pubblicitarie, nonché delle mille ansie o delle confusioni tra arte e “non arte”, potrebbe sembrare condividere un punto di vista anglosassone interessato a mettere insieme esperienza visiva e sapere concettuale.
L’interesse maggiore però va cercato altrove. È dato dal fatto che l’epoca che stiamo vivendo sembra aver realizzato i timori espressi dal testo, privi come siamo di sguardi lucidi o di un modello teorico dell’immagine che ci dica, come fanno Rosa e Balzola, quanto complessa sia l’interazione tra visualità, istituzioni, corpo e figuratività.
Il libro pone l’accento sulla dimensione culturale delle immagini e della visione. Stampato otto anni fa, è stato letto avidamente, esaurito nel 2017 e usato come strumento del pensiero per moltissimi artisti e studiosi che lo considerano ancora di un’attualità cocente. I concetti chiave – la necessità dell’artista plurale che non crea solo opere ma anche relazioni, la centralità delle pratiche interattive e il bisogno di un’etica del fare arte, quando non confermate o non pienamente realizzate – sono questioni che fanno della costruzione sociale del visivo qualcosa su cui riflettere. Giunge dunque più che benvenuta la sua ristampa.

L’etica della costruzione visiva
L’esigenza etica dell’interattività e delle immagini è, infatti, proprio ciò che ritorna a convincerci di questa nuova edizione La rivoluzione digitale ha generato una vera e propria trasformazione antropologica nei comportamenti e nelle relazioni sociali. Le analisi sul reale e fake news per esempio, incidono profondamente non solo sul nostro modo di esperire il mondo, ma interferiscono sul significato che siamo disposti ad assegnare al visuale in genere e all’identità dell’artista. Tutto questo significa che il discorso portato avanti nel libro riguarda la natura stessa della visione come costruzione culturale che si impara e si coltiva. Pertanto, continua a essere un manuale e uno stimolo intellettuale per il bagaglio filosofico necessario a decifrare il presente.

Studio Azzurro: Sensible Map. Ambiente sensibile (Portatori di Storie), Casablanca, Interaction #3 (2008).

In linea con gli studi sulla cultura visuale tedeschi e americani, è denso di riferimenti al mondo della scienza, della tecnica, dell’informatica o della filosofia. Non è quindi solo rivolto in una direzione, quella degli artisti, critici e studiosi in genere, ma è un libro che può ancora rivolgersi a coloro i quali sono coinvolti in sconfinamenti e fuoriuscite creative che si sono verificate in questi otto anni, dalle ibridazioni tra New Media Art e ricerca industriale fino all’approvazione dell’Agenda 2030 da parte dell’Onu con quei 17 obiettivi così concettualmente in linea con quanto scritto dagli autori nella prima edizione.

Cosa è cambiato dal 2011?
Quando gli autori cercano una definizione per un’etica dell’interazione, leggerlo o rileggerlo significa ricordare a sé stessi che dell’attuale sovrapproduzione delle immagini la cosa più evidente è che non sappiamo cosa siano e cosa si debba fare con loro. Mentre decidiamo sul da farsi però, diventano innumerevoli le strade percorse dall’interattività, dal blogging fino alle attività su YouTube passando dai social network e il neuromarketing. La rete, scrivevano Balzola e Rosa, “non è rappresentativa, cioè non riproduce, non simula, non emula, ma genera azioni, relazioni, dinamiche sociali”. Oggi che Paolo Rosa è venuto a mancare, Balzola sembra sentire il bisogno di ribadire il discorso sull’interattività e torna a dirci che la rete, con i suoi potenti padroni, è la prima ad aver bisogno di nuove regole e di una nuova etica, oggi in particolare.

Studio Azzurro: Sensitive City. Ambiente sensibile (Portatori di Storie), Shanghai, Padiglione Italia, EXPO (2010).

In questo modo si pongono le basi per la vera sfida imposta all’arte che non è quella di perdersi o di confondersi tra generi e codici, quanto di insistere nel mettere l’accento sulla dimensione culturale dell’immagine e avvalersi della capacità socializzante di noi utenti al fine di creare altre metafore. Queste parole lette oggi, sembrano creare per lunghi tratti un curioso effetto eco che si sente avanzare da ogni dove, dalla neuroscienza alla botanica e da qui alla psicologia. È come se nell’unicità del suo carattere, a metà strada tra il manifesto e il vademecum, echeggiassero altre voci affini, come se si sentisse che quello che scrivevano è detto o ridetto da altri (danzatori, attori, fotografi o performer), semplicemente con accenti di poco mutati.

Il ruolo del visivo
Sono creature eccentriche i libri, al tempo stesso deperibili e indistruttibili. L’arte fuori di sé è uno di quelli che ci raccontava qualcosa che è ancora attuale perché si possono ripercorrere e poi seguire il corso delle ricerche scientifiche, umanistiche di cui scrivevano, dalla medicina, alla neuroestetica. Lo fa affermando che l’immagine è anche tutto ciò che non sembra a essa collegata, perché si sposta normalmente da un medium all’altro. Così intesa, la sua presenza può dirci qualcosa circa il funzionamento e le dinamiche di valorizzazione e di svalutazione degli scambi sulla rete e sul mondo reale; dei dispositivi che regolano l’accrescimento o la diminuzione del capitale e dei meccanismi che ne regolano i rapporti.
Inoltre, dato che tutto il web, dall’algoritmo di Google ai vari sistemi con cui i siti danno valutazioni, tutto si appropria e si fonda sulle preferenze, sulle curiosità e sulle relazioni interpersonali, il visuale deve poter essere capace di generare linguaggi dalle cose e dunque trasformare l’invasività della tecnologia in un modello di relazioni. Per farlo, citavano Raimon Panikkar, grande studioso teorizzatore del dialogo interculturale, del quale avevamo apprezzato la proposta di renderci consapevoli almeno delle nostre immagini mentali.

Studio Azzurro: La Pozzanghera. Micropaesaggio interattivo dedicato ai bambini. Monza, Arengario (2006).

Infatti, mentre noi utenti diamo origine a tutto il complesso processo iconico non solo perdiamo il controllo ma ne veniamo espropriati. In quanto evento illuminante e ambito di produzione di metafora, la creatività può avere l’incarico di sensibilizzare l’opinione pubblica, facendole “vedere” almeno i suoi luoghi più comuni. I produttori di immagini sono dunque chiamati a svolgere un ruolo civilizzatore solo a patto che sappiano andare fuori di sé. Se sapranno essere un operoso abbandono all’ascolto dell’altro e del linguaggio in genere, la loro presenza non sarà un “produrre” semplicemente nuove cose, ma più propriamente si prefiggerà il compito di raccogliere il testimone. Di guadagnarsi un ruolo propositivo nella promozione di consapevolezza. Di essere un essenziale elemento della creatività collettiva in grado di vedere il movimento di trasformazione del Sé nell’altro nel cui spazio fondare una parte della propria identità.

Fare rete significa molto di più
“La metafora artistica – dice Balzola nella postfazione scritta per questa ristampa – è una terra fertile per differenti impollinazioni”. Inoltre, è questo il tempo. Finora infatti, la moralità della rete non solo fatichiamo a riconoscerla, ma la possiamo rintracciare solo nella generosità degli utenti. Il resto e il confronto con l’insaziabile fame delle oligarchie presenti è già un rapporto alquanto squilibrato sul quale dovremmo meditare. 
È qui che capiamo che il dire che l’arte dovrebbe fare rete, non significò allora (e non lo è a maggior ragione oggi), un semplice uso delle potenzialità di Internet.

Studio Azzurro: Patine e accumuli. Esperienza interattiva in quattro parti, Milano, Fabbrica del Vapore – Studio Azzurro (2015), CONTAMINAFRO 2015 – identità in evoluzione.

In realtà, Balzola dice che è stata l’uscita del libro ad aver ispirato giovani e professionisti a costituire quelle Stazioni Creative, promosse da Studio Azzurro – di cui, ricordiamolo, Paolo Rosa è stato co-fondatore – e attualmente attive e produttive a Parma e nel milanese. Fare rete è ciò che questi gruppi di lavoro, collaboratori e allievi hanno realizzato trovando contesti interattivi reali. In questi luoghi si realizza cioè la missione dell’arte che è poi quella di interpretare e narrare la memoria per impedire che tutto questo panorama diventi solo Big Data contenuta in un database. Ribaltare i paradigmi allora e, pur essendo così tanto penalizzata a scuola, impegnarsi affinché lo studio del visivo diventi l’arte di educare o, meglio, l’arte di apprendere. La creatività ovviamente non può essere esclusivo appannaggio della formazione artistica, ma è una capacità che esprime un’attitudine alla ricerca. Teorici dei nuovi media e i neurologi i cui studi e scoperte si collocano in questi ultimissimi anni (vedi Pietro Montani o Vittorio Gallese), rendono ragione dell’intuizione avuta all’epoca della prima uscita del libro.
Ci dicono cioè che l’azione mimetica corporea è la nuova frontiera e l’oggetto d’interesse per la tecnosfera che sperimenteremo nel nostro futuro. Comprenderà i modi con cui il corpo si metterà in relazione col mondo reale e con quello digitale.

Studio Azzurro: In principio (e poi). Videoinstallazione interattiva in quattro parti. Ambiente sensibile, Venezia, Padiglione della Santa Sede, Arsenale, 55.ma Esposizione Internazionale d’Arte Biennale (2013).

Pertanto i confini della moralità della Rete, esplorati nel laboratorio della sperimentazione artistica avranno le loro applicazioni in quelle opere in azione, dell’arte fuori di sé. Capace d’essere politica laddove interferisce con i valori della società cui si riferiscono. In questo modo, il rapporto col territorio diventa il nutrimento essenziale di questa modalità antropologica che difenderà nelle conseguenze se non nelle intenzioni esplicite, l’ipotesi che il panorama iconografico contemporaneo dovrà pronunciarsi su molti fronti.
Lo spazio dell’arte allora ritornerà ad essere là dov’era prima di questa deriva merceologica e (da là fuori) annuncerà l’irruzione di una nuova sensibilità, intesa ora poeticamente come un’estatica dell’estetica.