LETTURE / SESTO POTERE. LA SORVEGLIANZA NELLA MODERNITÀ LIQUIDA


di Zygmunt Bauman e David Lyon / Laterza, Roma-Bari, 2014 / pp. 160, € 16,00


 

Sorvegliare e contare

di Adolfo Fattori

 

image

Si potrebbe rimanere stupiti, addirittura infastiditi dalla prolificità con cui Zygmunt Bauman continua a pubblicare – questa volta con il collega sociologo David Lyon –, ma poi ci si ritrova a riconoscere che, anche se talvolta si ripete, riesce sempre a incastonare nei suoi ragionamenti qualche piccola, preziosa gemma. E in quest’ultimo lavoro bisogna dire che già nella premessa ci sono spunti che vanno al di là della singola intuizione, ma fanno da spina dorsale a tutto il discorso che il sociologo anglo-polacco e il suo amico canadese sviluppano. Perché dopo aver trattato in tutti i modi e da tutte le angolazioni il concetto di “modernità liquida”, finalmente Bauman lo utilizza per affrontare un tema cardine per noi abitanti del XXI secolo, una vera spina nel fianco, argomento di preoccupazioni e paure, che sembra dare corpo – e ragione – a tutti coloro che nei decenni appena passati hanno dato voce a teorie del complotto, preoccupazioni apocalittiche, evocazioni del “grande fratello” orwelliano (Orwell, 2002), la sorveglianza nell’era del Web, il controllo che viene esercitato continuamente su di noi grazie alle tracce digitali che lasciamo in giro quando acquistiamo prodotti, quando preleviamo denaro, quando operiamo in rete, di qualsiasi cosa si tratti.

La struttura a domande – ampiamente articolate – di Lyon e risposte di Bauman, già sperimentata sempre da questi in un saggio precedente con Riccardo Mazzeo come interlocutore (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 37), permette ai due autori di sviscerare il tema non solo affrontandolo direttamente, ma esplorandone le articolazioni nei vari campi dell’agire individuale e sociale, stimolando il lettore a seguirne ulteriori percorsi in base alle nostre intuizioni e propensioni.

In sintesi, il problema che affrontano i due studiosi si può porre così: nella modernità liquida, come si esercita la sorveglianza? Perché a prima vista potrebbe sembrare che i due fenomeni non possano incrociarsi: il controllo dovrebbe implicare la solidità delle situazioni, la liquidità dovrebbe produrre volatilità, variabilità…

Pure, i due fenomeni viaggiano perfettamente insieme. Anzi, hanno la stessa origine: lo sviluppo delle tecnologie elettroniche e digitali della comunicazione.

La conversazione fra i due sociologi prende le mosse direttamente dall’idea che in una società liquida, la stessa sorveglianza si sia emancipata, per così dire, dalla logica rigida e stabile del modello panottico di Jeremy Bentham – in cui il sorvegliato sapeva di esserlo, ma non poteva sapere da chi, come, quando, e quindi si “comportava bene” autonomamente; quello su cui Michel Foucault ha costruito la sua teoria dei “poteri disciplinari” (Foucault, 2005) – evolvendosi in forme nuove e flessibili, che implicano il coinvolgimento, inconsapevole, a differenza di quanto secondo Bauman sosteneva Foucault, ma non meno coinvolgente e partecipato, degli stessi “sorvegliati”.

Zygmunt Bauman parte da due notizie giornalistiche pubblicate nel 2011 e largamente ignorate (un altro degli effetti del flusso ininterrotto di informazioni prodotte e distribuite, indifferenti, fungibili, livellate). La prima riguarda la prossima diffusione di droni piccoli come insetti che ci potranno monitorare dappertutto senza che noi ce ne accorgiamo; la seconda il riconoscimento del fatto che con la diffusione di Internet possiamo decisamente considerare finito un qualsiasi anonimato.

Naturalmente, non sono le due notizie in sé, ad essere importanti, ma le implicazioni che comportano. Bauman e Lyon riescono prima di tutto in una operazione – consueta per i sociologi, difficile per molti altri – di conservare l’equidistanza fra le due opzioni opposte del “determinismo sociale”, per cui sarebbero i bisogni e le azioni degli umani a condurre al progresso tecnologico, e del “determinismo tecnologico”, per cui, al contrario, sarebbe lo sviluppo di nuove tecnologie a produrre il mutamento sociale, mentre in realtà i due fenomeni, come avviene sempre, sono strettamente intrecciati, e si co-determinano a vicenda. Sostenere questa tesi significa essere consapevoli del fatto che volta per volta – e questo vale in particolare per le tecnologie della comunicazione – se c’è qualcosa che perdiamo in termini di libertà, di autonomia, di piacere, c’è sempre qualcos’altro che guadagniamo in termini di condivisione, opportunità, loisir.

Il mutamento sociale, una corrente inarrestabile, trasforma le cose, i rapporti fra gli umani e di questi con le tecnologie, e riarticola il sociale su basi sempre nuove, ma che corrispondono comunque alla relazione che intercorre fra i singoli individui e l’ambiente sociale.

Questo permette a Bauman, ad esempio, di riflettere sul fatto che anche se qualcuno sostiene che il modello benthamiano-foucaultiano del panopticon non è più adeguato a descrivere il rapporto fra potere e sudditi, nei fatti ne è stata superata solo la forma fisica, fissata nello spazio-tempo sociale della modernità solida – della metropoli, della fabbrica, delle istituzioni totali (Goffman, 2010), potremmo dire – e il potere di controllo si è “liquefatto” come l’intera società, diluendosi e disperdendosi senza però perdere la sua presa nel digitale, nell’elettronico, nel virtuale, nei server sul Web, negli occhi elettronici dei droni, dei satelliti artificiali, delle telecamere di sorveglianza – la cui presenza da un lato è inquietante, dall’altro è rassicurante.

Processo oggi arrivato a una prima maturazione, ma che già nella seconda metà degli anni Ottanta del Novecento qualcuno cominciava a illustrare: scriveva Fausto Colombo, in una relazione presentata nel 1988 ad un convegno: “… una società perfettamente omologata, in cui il primato dell’occhio tecnologico è sancito dal suo essere ovunque, e la garanzia ecologica è costituita dalla possibilità per il mondo di essere trascritto in informazione e trasmesso in ogni luogo” (Colombo, 1987).

Solo un anno prima, Carlo Formenti aveva scritto: “L’ambiente artificiale tardo-moderno, prodotto di sofisticati livelli di dominio tecnologico, mostra inopinatamente lo stesso volto orchesco di una natura arcaica e selvaggia” (Formenti, 1986). Siamo agli albori dello sviluppo delle tecnologie del controllo digitale ma già, evidentemente, qualcuno cominciava a percepire il cambiamento. La cifra di questi due brani è quella della preoccupazione per la dimensione ancora panottica che veniva paventata, a evocare Orwell e le sue profezie narrative sul rischio di diventare tutti degli schiavi del pensiero controllati quotidianamente. Era l’epoca in cui cominciavano a diffondersi le telecamere di sorveglianza, i condomini protetti, di cui anche Bauman nel 1990 si sarebbe occupato (Bauman, 2000), e che avrebbe ispirato a James Graham Ballard nel 1988 l’agghiacciante racconto Un gioco da bambini (Ballard, 1992; cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 8) per poi approfondire il tema qualche anno dopo in Cocaine Night (Ballard, 1997) e Super-Cannes (Ballard, 2000) (cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 22).

Ma la situazione, come spiegano Lyon e Bauman, è cambiata: il potere si è reso più volatile, nascosto, astratto. Il controllo che esercita non è più gestito solo attraverso operazioni attive, ma grazie al coinvolgimento diretto dei sorvegliati, dei “sudditi”: sono loro che usano le carte di credito, che navigano su internet, che comprano merci, che vanno in giro per strada. E sono – sempre – sotto gli occhi automatici degli scanner digitali, delle telecamere, dei rilevatori Rfid… e rivelano i loro comportamenti, merce preziosissima prima di tutto per le multinazionali del consumo. Perché una cosa deve essere chiara: è vero che non si esaurisce o rallenta l’impegno ad articolare e nutrire adeguatamente le tecnologie di sorveglianza dedicate alla gestione dell’esclusione – o del confinamento – di categorie particolari di “indesiderati” come i sospetti di attività eversive e terroristiche da un lato, le persone in fuga dal loro luogo di origine dall’altro, ma – svolto questo compito – l’interesse del potere è il coinvolgimento nel proprio assoggettamento dei propri “sudditi”, come li definisce lo studioso anglo-polacco, i cittadini legittimi del “Nord del mondo”: i lavoratori, anche i quadri intermedi, i consumatori, insomma.

Ed è altrettanto vero che ormai i “sorvegliati” si adeguano da soli. Anzi, per confortare questa tesi, Bauman ricorre ad un esempio che – forse – è il più convincente in assoluto.

Ricordando ancora una volta che la Rete e il suo tumultuoso sviluppo non hanno prodotto bisogni e atteggiamenti nuovi, ma semplicemente fornito un modo nuovo per soddisfarli – che gli utenti hanno entusiasticamente sposato – in un contesto sempre più liquido, dove quindi sono necessarie nuove modalità di agire socialmente, Bauman prende ad esempio, per ragionare sull’intreccio fra Web e utenti, la sfera dell’affettività, dell’amore, del sesso. È in quest’area che precipita davvero l’ambivalenza del nostro rapporto col Web, perché è il rapporto con l’affettività che è di per sé ambivalente, un gioco che pendola fra i due estremi del coinvolgimento e del diniego, dell’impegno e del distacco, del desiderio di abbandonarsi e della paura di essere abbandonati – dopo essere stati usati. O di finire nel mirino di qualche malintenzionato. Con la Rete, questo pendolare per così dire si eleva al quadrato, perché alla paura di essere ignorati, che compensa il desiderio di essere cercati, si aggiunge la paura di essere spiati, che contrasta il bisogno di cercare un partner.

In una situazione che – come già Eva Illouz fa notare (Illouz, 2013, cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 46), si è trasformata in un mercato – dell’affettività, della seduzione, della sessualità. Ognuno di noi ha, sul Web, un valore, che da potenzialmente affettivo si trasforma in valore in senso stretto, economico, monetizzabile e contabile – e scambiabile. È soggetto a una valutazione, il che ci porta alle radici dell’economia capitalistica: siamo merci. Intendiamoci, Bauman e Lyon sono molto decisi su questo, accadeva già prima: Internet porta al limite questa condizione – che compensa con quanto ci offre di opportunità. Uno scambio pari, per certi versi, un gioco a somma zero…

È questa la radice delle strategie cui abbiamo accennato più sopra: la divisione fra “indesiderabili” e “arruolabili” nell’esercito dei controllati, o adottabili nelle sfere del potere.

Fino, naturalmente – aggiungiamo – ai cascami, alle derive residuali del fenomeno: la rincorsa alla valutazione delle persone nell’ambito della formazione e dell’istruzione da parte di agenzie, spesso senza nessuna legittimazione scientifica, che orgogliosamente adoperano strumenti già vecchi e abbandonati da altri per contare e contabilizzare fenomeni irriducibili alla misurazione (cfr. Dal Lago 2013, Pinto 2013). Un aspetto della natura della modernità liquida dove fluidità dei progetti di vita e rigidità delle burocrazie configgono, nella presunzione tecno-burocratica di costruire classificazioni e tassonomie per suddividere e raggruppare le persone sulla base di tratti e caratteristiche discrete, misurabili – ma soprattutto arbitrarie – laddove le differenze fra costoro sono impalpabili, indefinibili, imprevedibili. Una contabilità sociale che assomiglia molto a quei giochi per bambini in cui si deve costruire il ritratto di un personaggio immaginario a partire da una lista finita di elementi: colore dei capelli, degli occhi, altezza… in fondo, non diversamente da quello che chiedono i siti web dedicati agli accoppiamenti affettivi: definire se stessi e chi si cerca riempiendo questionari a risposte predeterminate. Nessuno spazio alla variabilità delle esistenze e delle personalità.

E questo ci porta direttamente al nucleo profondo dei ragionamenti e dei fenomeni di cui si occupano Bauman e Lyon: l’utopia originaria e radicale della modernità, la presunzione di realizzare un mondo in cui fosse stato espunto tutto ciò che di imperfetto, superfluo, inutile, dannoso ci fosse. Una biopolitica – per usare un termine di foucaultiano (Foucault, 2005) – tesa a eliminare tutti gli indesiderabili e tutte le imperfezioni per creare una realtà perfetta: quella che nelle sue estreme, diaboliche, spaventose conseguenze portò ai campi di sterminio e ai gulag, ma che comunque secondo Bauman – che risponde con dolore ma con freddezza e lucidità alla domanda di Lyon – ha le sue origini nello stesso progetto moderno.

E che rischiò di realizzarsi grazie a due strumenti nucleari della burocrazia: la distanza e la classificazione. Perché la distanza di chi applica regolamenti, norme, decisioni permette la disumanizzazione dei sudditi, e la classificazione ne permette la suddivisione in categorie neutre, formali, contabili. Come avviene peraltro sempre più spesso nelle guerre, e come avviene regolarmente nel Web.

Il fardello della modernità. Sorveglianza e contabilità. Macelleria sociale e umana, alla fin fine, su base economico contabile. Come ricorda lo stesso Bauman in un altro suo lavoro (Bauman, 2013, cfr. "Quaderni d'Altri Tempi" n. 44) citando un’intervista a un alto ufficiale americano alla fine della Seconda guerra mondiale a proposito del bombardamento a tappeto di Halberstadt, una cittadina tedesca di nessuna importanza strategica: “una volta costruite le bombe, il semplice fatto di lasciare inattivo l’aereo con il suo carico prezioso negli aeroporti dell’Inghilterra orientale sarebbe andato contro ogni sano principio economico” (corsivo nostro).

 


 

LETTURE

  Ballard James G., Un gioco da bambini, Baldini&Castoldi, Milano, 1992.
Ballard James G., Cocaine Nights, Baldini&Castoldi, Milano, 1997.
Ballard James G., Super-Cannes, Feltrinelli, Milano, 2000.
Bauman Zygmunt, Pensare sociologicamente, Ipermedium, Napoli, 2000.
Bauman Zygmunt con Mazzeo Riccardo, Conversazioni sull’educazione, Erickson, Trento, 2012.
Bauman Zygmunt, Le sorgenti del male, Erickson, Trento, 2013.
Colombo Fausto, L’immagine indiscreta, relazione al Convegno “L’immagine elettronica”, Bologna, 19-22/11 1987.
Dal Lago Alessandro, Premessa. La (s)valutazione della ricerca, in All’indice. Critica della cultura della valutazione, (a cura di id.), “aut aut” 360, il Saggiatore, Milano, ottobre-dicembre 2013.
Foucault Michel, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 2005.
Foucault Michel, Sicurezza, territorio, popolazione, Feltrinelli, Milano, 2005.
Formenti Carlo, Prometeo ed Hermes, Liguori, Napoli, 1986.
Goffman Ervin, Asylums, Einaudi, Torino, 2010.
Illouz Eva, Perché l’amore fa soffrire, il Mulino, Bologna, 2013.
Orwell George, 1984, Mondadori, Milano, 2002.
Pinto Valeria, Valutare e punire, Cronopio, Napoli, 2012.