ASCOLTI / STARLESS AND BIBLE BLACK (40TH ANNIVERSARY SERIES)


di King Crimson / DGM Live, 2011


Quando esplose la testa
del
re cremisi

di Francesco Zago

 

This Night Wounds Time

 

Dei riferimenti letterari ed extramusicali di un album come Starless and Bible Black si potrebbe parlare molto a lungo. A partire dal titolo, citazione dall’apertura di un radiodramma di Dylan Thomas del 1954, Under the Milk Wood (Thomas, 1972):

 

To begin at the beginning: It is Spring, moonless night in the small town, starless and bible-black, the cobblestreets silent […] And all the people of the lulled and dumbfound town are sleeping now.

(Per cominciare dal principio: È primavera, notte senza luna nella cittadina senza stelle e nera come la Bibbia, silenziose le strade acciottolate […] E tutti gli abitanti della città cullata dal mare e silenziosa, dormono, ora).

 

La copertina dell’album venne disegnata dall’artista britannico Tom Phillips, e da una sua opera (1980) – A Humument – è tratta la criptica sentenza This Night Wounds Time. Sulla scia dei cut-up di William Burroughs e dei procedimenti casuali applicati alla produzione artistica, Phillips realizzò A Humument basandosi – materialmente – su un romanzo vittoriano, A Human Document di William Hurrell Mallock (1892), reperito rigorosamente per caso: ogni pagina è stata trasformata in un’opera d’arte, intervenendo sul testo – cancellando, oscurando, evidenziando l’originale – fino a ottenere un patchwork labirintico e affascinante (su YouTube è possibile ascoltare lo stesso Thomas leggere Under Milk Wood; per chi non può fare a meno di stare al passo coi tempi, va segnalata l’esistenza di una Humument App per iPad, oltre al sito humument.com, dove si possono consultare integralmente l’opera di Phillips e le sue successive evoluzioni). Infine le liriche: terminata ormai da tempo la collaborazione con il visionario Pete Sinfield, i King Crimson affidarono la stesura dei testi di Larks’ Tongues In Aspic, Starless and Bible Black e Red a Richard Palmer-James; uno in particolare, The Night Watch, descrive il celebre quadro di Rembrandt La ronda di notte, cosa quanto mai inusuale per il testo di una canzone, pur in un contesto prog-rock. Da questo punto di vista, tuttavia, il pregio di Starless and Bible Black è che citazioni colte e riferimenti culturali non sono strettamente necessari alla “comprensione” della musica – a vari livelli: godibilità, fruizione, analisi. Innanzitutto, perché non vengono presentati come tali; il disco non è “nient’altro” che un disco rock. Ma è anche qualcosa di più, e chi vuole farlo può scoprirlo lasciandosi guidare dagli indizi disseminati nell’album. I rimandi extramusicali, privi di un legame esplicito tra loro o con la musica (con l’eccezione di The Night Watch), alludono al clima notturno e angosciante che domina l’album, senza pretendere di definirlo in maniera didascalica.

A differenza degli alfieri del rock progressivo in voga negli stessi anni, i King Crimson di Larks’ Tongues In Aspic, Starless and Bible Black e Red non solo si sono decisamente lasciati alle spalle quasi ogni traccia del sinfonismo dei primi album (a parte, forse, la Exiles di Larks’ Tongues In Aspic), ma rifiutano l’idea stessa del concept, preferendo una struttura più vicina agli lp rock, con brani brevi (uniche eccezioni, la stessa Starless and Bible Black, un’improvvisazione live, e Fracture). È del tutto assente la pretenziosità piuttosto sfiancante di certi “mattoni” usciti più o meno negli stessi mesi (l’album venne pubblicato nel marzo del 1974), come Tales of Topographic Oceans degli Yes (dicembre 1973) o delle circensi esibizioni di Emerson, Lake & Palmer. Forse non è un caso. Come pochissimi altri (citiamo solo Brian Eno, che aveva lasciato i Roxy Music nel 1973, e Peter Gabriel, che avrebbe lasciato i Genesis nel 1975), tra il 1972 e il 1973 Robert Fripp intuisce che il rock “sinfonico” si sta infilando pericolosamente in un vicolo cieco: la musica di Larks’ Tongues In Aspic e Red segna una saturazione, un punto di non ritorno (come indica la lancetta del quadrante sul retro della copertina di Red, inesorabilmente a fondo scala), una nave che va abbandonata prima che affondi. Dare la colpa della fine dell’era progressiva all’avvento del punk, come hanno fatto in molti, ci sembra una spiegazione troppo semplicistica: il rock progressivo era già da tempo una “lingua morta” quando, nel 1976, i Sex Pistols esplosero sulla scena spazzando via le macerie di un mondo musicale che probabilmente non esisteva ormai più. Non è un caso neppure che Fripp e Gabriel, in particolare, sia come solisti che nelle loro reciproche collaborazioni, spesso abbiano fatto proprio il nuovo linguaggio musicale emerso nella seconda metà dei Settanta: basti ascoltare le prime due prove soliste di Gabriel, oppure Exposure e The League of Gentlemen di Fripp, produzioni nient’affatto episodiche.

Sta di fatto che, appena dopo la pubblicazione di Red, giunge il celebre comunicato di Fripp secondo cui i King Crimson hanno “cessato di esistere” (Bertrando, 1984). Il chitarrista sembra portare su di sé i segni di una crisi prima di tutto personale, ancor prima che artistica: “L’8 luglio 1974, nella mia camera da letto, il giorno dopo che i King Crimson avevano cominciato le sedute d’incisione di Red, l’ultimo album, ho avuto una specie di visione […] mi è esplosa la testa – non so trovare un termine migliore per descrivere quello che mi è successo. Per tre mesi, forse anche più, mi sono trovato ridotto a un vero e proprio stato vegetale […] ho capito che bisognava dire basta ai King Crimson” (ibidem). L’album successivo, il live “postumo” USA, conferma la china discendente della band (anche se regala uno fra gli assoli più rabbiosi e meglio riusciti di Fripp, in Asbury Park).

Dal punto di vista strutturale, Starless and Bible Black è il primo esperimento da parte di Fripp in cui accostare il lavoro in studio alle esibizioni live (senza tuttavia segnalarlo nelle note di copertina, tagliando perfino gli applausi), anche all’interno degli stessi brani, come accade per The Night Watch e The Mincer: nel primo caso, alla sezione d’apertura live segue un’esecuzione in studio (a causa di un problema tecnico al mellotron di David Cross, ben udibile nella versione originaria contenuta in The Night Watch, registrato in Olanda nel 1973); nel secondo, a un’improvvisazione dal vivo (che nella lussuosa riedizione del quarantennale ritroviamo nella sua collocazione originaria, ossia nella sezione centrale “riesumata” di The Law of Maximum Distress, assente nel cofanetto The Great Deceiver) venne aggiunta la voce di Wetton. We’ll Let You Know è l’estratto di un’improvvisazione poco più lunga e dallo stesso titolo che è possibile ascoltare integralmente sul medesimo cofanetto. Meno strutturali e più di carattere timbrico, invece, sono le sovraincisioni realizzate per Fracture. Purtroppo queste scelte rimarranno un episodio isolato nella discografia del Re Cremisi, e già nel successivo Red verranno drasticamente ridimensionate: a parte l’episodio di Providence, improvvisazione live a tinte fortemente chiaroscurate, il resto dell’album è rigorosamente registrato in studio. Ma le due dimensioni della performance sono tornate a essere ben distinte, per qualche motivo irriconciliabili, mentre in Starless and Bible Black si integravano e si confondevano perfettamente. D’altronde, “nascondere” pudicamente gli interventi in studio sulle registrazioni live – chissà perché, ritenute “intoccabili” in quanto “autentiche” – diventerà pratica comune negli anni successivi. Chi invece non ebbe mai alcuna remora in tal senso era Frank Zappa, il quale utilizzava sistematicamente il montaggio e le sovraincisioni in studio come un metodo di lavoro dichiarato e pienamente legittimo dal punto di vista artistico.

Proprio l’inserto di quattro minuti abbondanti di The Mincer, materialmente “tagliati” da un’incisione live, potrebbe essere considerato un breve manifesto di tale frammentazione: mincer è la mezzaluna che si utilizza in cucina per sminuzzare e triturare erbe e verdure, ma può riferirsi anche a qualcuno che parla con frasi spezzettate. Il testo (Bertrando, 1984) è un insieme di frasi smozzicate e vagamente allucinate (“Fingers Reaching / Linger Shrieking. / Jump Off The Screen / Good Night, Ruby / You’re All Alone / Maybe Breathing. / They Call / Better Looking / But They Don’t Come / Manner”), così come il clima del brano, dominato dalle dissonanze del mellotron (utilizzato in chiave decisamente antisinfonica e antiromantica) e piano elettrico (distorto), glissati stranianti della chitarra e una frase di basso (sapientemente “smozzicata”) in chiusura.

Il paesaggio sonoro dei King Crimson di questi anni rimarrà purtroppo un “sentiero interrotto”. Il rifiuto della grandeur progressiva, ma soprattutto il linguaggio improvvisativo di questa formazione rimarranno ineguagliabili, anche rispetto alle successive reincarnazioni (difficile paragonare le improvvisazioni degli anni Novanta, ad esempio quelle di THRaKaTTaK, alla furia che percorre certe tracce di USA e di The Great Deceiver). Lontanissimi dal jazz e dal rock più convenzionale, i Crimson esplorano territori più simili alla contemporanea, abbattendo ogni confine armonico ed espressivo: se si eccettuano episodi di (apparente) tranquillità come Trio e The Night Watch, il resto dell’album è percorso da una tensione che affiora lentamente per poi esplodere e nuovamente frantumarsi, spesso nella dissonanza più dura, se non addirittura nel rumore. Nella title track, ad esempio, poco prima dei 3:00 si apre una serie pressoché ininterrotta di lunghe note di chitarra (per placarsi solo dopo l’ennesimo superacuto, verso i 7:20) sostenute dal feedback, tenuto sotto rigoroso controllo da Fripp tramite pedale del volume e wha-wha, con salti d’ottava, bending e sustain da mozzare il fiato (peraltro un marchio di fabbrica del periodo). A questo espediente formale si affianca quello utilizzato in Fracture, dove il continuo e irrisolto alternarsi di dinamiche opposte scorre su un disegno implacabile del plettro di Fripp, perfetta sintesi (o frattura mai ricomposta, appunto) di lucidità tecnica e sguardo nel caos. Certo Fripp e Cross non avrebbero mai potuto intessere certi dialoghi lancinanti se non fossero stati sostenuti da una sezione ritmica poderosa come quella fornita da John Wetton e Bill Bruford. In particolare, quest’ultimo, abbandonati gli Yes di Close to the Edge e messo da parte il suo background jazzistico, si inventa groove diabolici, pulsazioni e scomposizioni irrazionali ma sempre sorprendentemente fluide, integrando un abbondante set di percussioni che non fa rimpiangere l’istrionismo di Jamie Muir. Wetton, invece, granitico e fantasioso, presta pure la sua voce arrochita alle liriche di Palmer-James.

Il sesto album dei King Crimson è indubbiamente il più doom dell’intera produzione del gruppo. Starless and Bible Black è tormentato, profondamente segnato dalla lacerazione, che a sua volta rappresenta la fine di un’epoca musicale. Ma la frammentazione del materiale non è un ostacolo all’unità dell’opera – un’unità forse meno esplicita, ma più profonda. Ciò che rende Starless and Bible Black così coerente, incisivo, affascinante, non è la presenza di un filo conduttore, di una “storia”, ma il suono, prima ancora della musica. Forse il senso di questa musica sta proprio nell’assenza di quel filo conduttore, e quindi nello smarrimento che suggerisce. Il mood è così palese, coerente, che le due dimensioni a cui si accennava all’inizio, quella musicale e quella extramusicale, possono tranquillamente scorrere parallele, senza per questo smettere di influenzarsi a vicenda – e influenzando a loro volta l’ascoltatore – in maniera subliminale.

Il testo di Starless, brano che chiuderà il successivo Red, riprende il motivo di Dylan Thomas che dà il titolo all’album e lo contrappone, come archetipo di desolazione e tenebra interiore, a “una giornata di sole abbagliante” (“Sundown Dazzling Day”), a “un cielo argenteo” che “svanisce nel grigio” (“Blue Silver Sky Fading To Grey”). Un sipario scuro si chiude sulla prima grande epopea cremisi.


 

LETTURE

× Bertrando Paolo (a cura di), King Crimson – Robert Fripp, Arcana, Milano, 1984.

× Mallock William Hurrell, A Human Document, Adamant Media Corporation, Boston, 2001.

× Phillips Tom, A Humument, Thames and Hudson, London, 1980.

× Thomas Dylan, Sotto il bosco di latte. Il dottore e i diavoli, Mondadori, Milano, 1972.

 

ASCOLTI

× Fripp Robert, Exposure, Discipline Global Mobile, 2006.

× King Crimson, Larks' Tongues In Aspic , Discipline, 2004.

× King Crimson, Red (40th Anniversary Series), DGM Live, 2009.

× King Crimson, USA, DGM, 2006.

× King Crimson, The Great Deceiver, DGM, 1992.

× King Crimson, THRaKaTTaK, DGM, 1996.

× King Crimson, The Night Watch, DGM, 1997.

× The League of Gentlemen, The League of Gentlemen, EG/Polydor, 1991.