VISIONI / L'INCAL - L'INTEGRALE


di Alejandro Jodorowsky e Mœbius / Magic Press, Ariccia (Roma), 2011 / pagine 308, € 25,00


Questo pazzerello, pazzerello, pazzerello mondo di John Difool

di Antonio Iannotta

 


Io sono un ponte: l’unico disegnatore

che abbia fatto del fumetto vecchio stile,

poi del fumetto “nuovo”,

e che stia continuando tuttora.

Sono un fenomeno. I am a bridge.

 

Jean Giraud/Mœbius



In un distopico futuro ipertecnologico, un detective privato di infimo livello (di una non meglio precisata classe R) trova un oggetto misterioso che scopre essere potente oltre ogni limite immaginabile: l’Incal. Iniziano così le picaresche e incredibili avventure di John Difool (leggasi Giovanni Il Pazzerello), alle prese con bizzarri extraterrestri, tecno-scienziati fondamentalisti, culti intergalattici e robot psicotici. Se cercaste su Google cosa sia L’Incal, più o meno intercettereste una definizione del genere, grazie anche alle informazioni presenti nell’eccellente ristampa integrale delle edizioni Magic Press.

Ci auguriamo che moltitudini di appassionati di fumetto, studiosi delle dinamiche dell’immaginario dell’ultimo quarto del secolo scorso, curiosi di ogni tipo, i conoscitori delle molteplici attività dello scrittore-regista-drammaturgo-psicomago cileno Alejandro Jodorowsky (1929), nonché gli ammiratori delle varie incarnazioni pseudo-identitarie del disegnatore francese di fumetti forse più celebrato al mondo Jean Giraud-Gir-Mœbius (1938), approfittino della ristampa del primo ciclo di avventure de L’Incal, un’autentica pietra miliare del medium, finalmente raccolto per intero in un unico volume e, cosa non da poco, con i colori originali restaurati sotto la supervisione nientemeno che dello stesso Mœbius. Non un romanzo grafico, come recita la bandella del libro: non c’era in origine un progetto unico così lungo, ma un percorso che mescola fantascienza e simbolismo, satira sociale e metafisica, sotto l’egida e l’impulso della storica rivista co-creata da Giraud, Métal Hurlant. Il libro Magic Press, esemplato sull’edizione sempre 2011 pubblicato da Les Humanoïdes Associés, raccoglie i sei volumi pubblicati in Francia dal maggio del 1981, al giugno del 1988 (L’Incal nero è del 1981; due anni dopo escono L’Incal luce e Ciò che è in basso; del 1985 è Ciò che è in alto; di tre anni dopo le due parti de La quintessenza: Una galassia che sogna e Il pianeta Difool), ed è una miscela di fantasy e improbabile metafisica e ripropone l’eterna lotta tra le forze del Bene e quelle del Male, rappresentate rispettivamente dall’Incal Luce e l’Incal Nero, con un finale da eterno ritorno.

L’unica cosa che manca davvero all’edizione è un minimo di apparato storico-critico che funga da introduzione a un fumetto nato in un momento di straordinario vigore per il linguaggio della cosiddetta nona arte. E che racconti qualcosa magari anche dell’incontro tra i due visionari autori di questa storia. A quei tempi, gli anni Settanta, Jodorowsky, tra le sue tante attività, disegnava ancora, per smettere, come ricorda in una recente intervista, proprio nel momento in cui incontrò Giraud. “Quando incontrai Mœbius, smisi di disegnare” (Babcock, 2010). Ma facciamo un passo indietro.

Nel 1962, il fumetto europeo segna un momento di maturità irreversibile. Nonostante ciò che dica la vulgata, è con Barbarella di Jean-Claude Forest che la bande dessinée marca uno scarto decisivo. Non si tratta, come si sente spesso, di sdoganare l’erotismo nel fumetto, ma l’afflato fantasy e genericamente favoloso di una fantascienza sui generis che, come sottolinea Daniele Barbieri, “ha scarsi legami con il mondo della fiaba” (Barbieri, 2009) ed è soprattutto “fatta di passioni e sentimenti e meraviglia per le scoperte stupefacenti che si rivelano a ogni passo, e dove a ogni passo si intravedono riferimenti a qualche aspetto del mondo di oggi” (ibidem). È qui che nasce una nuova stagione del fumetto francese ed europeo. L’anno successivo, sulla rivista satirica Hara-Kiri, Jean Giraud utilizza per la prima volta, mutuandolo dal matematico tedesco August Ferdinand Möbius, lo pseudonimo Mœbius, che su tavole di fumetti non utilizzerà più almeno fino al 1971, anche se continuerà a farlo per le non sporadiche illustrazioni di fantascienza. Il matematico tedesco aveva messo a punto il nastro che porta il suo nome, una superficie che in topologia si definisce non orientabile, dove dritto e rovescio non hanno più senso, esiste un solo lato e un solo bordo. “Santo cemento, è sconvolgente! Si entra in un interno e ci si ritrova in un esterno!”, così commenta la “spalla” di John, il suo inseparabile assistente volatile (e parlante) Deepo, in una delle avventure dell’Incal. “Col nastro di Mœbius, avevo trovato la metafora per eccellenza. Quella dell’infinito, simbolizzata anche da quell’otto ritorto che forma quando viene disegnato. Finito con Giraud, Mœbius lavora con l’infinito” (Giraud/Mœbius, 1999), così l’autore francese nella sua autobiografia. Nel 1972 nasce poi un’altra rivista fondamentale per il panorama culturale francese, L’écho des savanes, ad opera di Marcel Gotlib, Nikita Mandryka e Claire Bretécher. Dieci anni dopo, grazie all’editore Albin Michel, diventerà una delle maggiori pubblicazioni francesi. L’evento che cambia faccia in maniera irreversibile al fumetto francese avviene di lì a poco. Jean Giraud, Philippe Druillet, Jean-Pierre Dionnet e Bernard Farkas danno vita alla fine del 1974 all’associazione Les Humanoïdes Associés, immediatamente anche casa editrice, ed entrano in punta di piedi nelle edicole francesi il 15 gennaio 1975, con Métal Hurlant (da un guizzo, pare, dell’amico Mandryka), il primo numero della loro rivista dedicata al fumetto di fantascienza. Ma una fantascienza particolare, ricorda Mœbius: “I nostri compagni di viaggio erano i Doors, i Beatles, gli Stones, ma anche Kazan, Altman, Fellini” (Giraud/Mœbius, 1999). Sf tecnologica sì, ma innanzitutto fortemente visionaria, e anche metafisica, in qualche modo discendente da Forest ma con accenni cupi e una spettacolarità e visionarietà incomparabili rispetto a Barbarella. Le cinquantadue pagine in bianco e nero e le sedici a colori del primo numero ospitano, tra le altre cose, il celeberrimo Arzach di Mœbius e un episodio dell’americano Richard Corben (che con le sue storie di fantascienza di anni prima aveva influenzato tutti gli autori francesi della sua generazione sin qui nominati), il cui nome sarebbe rimasto per sempre associato alla rivista, e si avvalgono della capacità grafica di Etienne Robial, che lavorò successivamente anche in un’altra fondamentale rivista transalpina: (A SUIVRE).

Farkas era l’amministratore, e a Dionnet toccò il ruolo di direttore della pubblicazione, grazie alla sua lunga frequentazione con il mondo delle riviste, prima fra tutte Pilote di Dargaud, e grazie allo straordinario team che capeggiava le diede subito un tono da avanguardia artistica capace di anticipare di un buon decennio quel movimento che sarebbe stato etichettato come cyberpunk. E se Barbarella di Forest era il semenzaio in patria, non si può non nominare il magistero d’oltreoceano di Robert Crumb e degli altri autori ospitati da Zap Comix: “Sono pionieri. Ci hanno indicato la strada, come prendere in pugno la nostra cultura e smettere di chiedere il permesso ai genitori” (Giraud/Mœbius, 1999). E prima di loro non va dimenticata la seminale esperienza di MAD di Harvey Kurtzman.

Il fumettista simbolo della testata degli Humanoïdes Associés, che poteva contare su nomi come Philippe Druillet e più tardi su autori del calibro di Enki Bilal, Jacques Tardi, Juan Gimenez, Caza, Jean-Claude Forest, Jacques Lob, divenne senza dubbio alcuno Jean Giraud, noto al grande pubblico per la serie western Blueberry che dal 1963 realizzava per Pilote su testi di Jean-Michel Charlier, qui nelle vesti scatenate di Mœbius. La serie di quattro brevi episodi di Arzach (poi Harzak, Harzack, Harzach) inaugura un modo di fare fumetti fuori dagli schemi, una sorta di sogno vigile surrealista, debitore certo della formazione culturale di Giraud stesso, a partire dall’autore classico che più l’ha influenzato, Gustave Doré, ma anche della sua esperienza di vita, da giovanissimo, in Messico e a New York: “Ero andato in Messico per starci tre mesi in vacanza, e ci ho vissuto nove mesi che mi hanno profondamente trasformato. Quel soggiorno ha operato come un viaggio iniziatico”; “New York mi ha guarito da Città del Messico. È in quell’incredibile città che sì è operata per la prima volta la giunzione tra il mio io fantasmatico e la realtà” (Giraud/Mœbius, 1999). Arzach è per lo più muto e racconta i frammenti di una possibile storia di un essere alieno che svolazza a dorso di uno pterodattilo in un mondo a metà tra un medioevo magico e un futuro tecnologico: lo stile grafico iperdettagliato e al tempo stesso chiarissimo fece grande presa tra i lettori di tutto il mondo, a tal punto che le sue rappresentazioni si rivelarono fonte di ispirazione visiva per molto cinema di fantascienza degli anni Ottanta.

Mœbius sarebbe difatti diventato con il tempo un punto di riferimento per tutto l’immaginario visivo occidentale, non solo a fumetti, ma anche cinematografico. È il concept artist di Alien (1979) di Ridley Scott, di Tron (1982) di Steven Lisberger, il primo film completamente realizzato in computer grafica e The Abyss (1989) di James Cameron, altro straordinario film di fantascienza. Ha realizzato anche i disegni originali per Les maïtres du temps (1982) ed è accreditato come special designer per Masters of the Universe (1987). In anni più recenti è stato anche il designer di un film ispirato tanto al suo universo quanto a quello di Metropolis (1927) di Fritz Lang, Il quinto elemento (1997) di Luc Besson.

Già nel 1973 Mœbius aveva realizzato per la più tradizionale Pilote una breve storia, straordinaria, innovativa, che sarebbe rimasta impressa nella memoria di generazioni di lettori: La deviazione, un vero e proprio nuovo punto di partenza. The Long Tomorrow (1975-6), scritto per Giraud da Dan O’Bannon, offrì poi a Ridley Scott il principale riferimento visivo per la realizzazione di Blade Runner, in specie per l’architettura cittadina. Le Garage hermétique, a partire dal 1979, incarna l’aspirazione mœbusiana forse più compiuta: mese dopo mese Mœbius la concepisce senza avere un preciso piano di sviluppo narrativo. Ma nel 1974, subito prima dell’uscita del primo numero di Métal Hurlant, avviene l’incontro che fornisce un’ulteriore accelerazione al cambiamento della vita, non solo artistica, di Mœbius. Il francese incontra Jodorowsy nel momento in cui stava lavorando per realizzare il manifesto di Non toccare la donna bianca di Marco Ferreri. Il rapporto nasce e si fortifica proprio intorno al medium cinematografico. Il cileno propone infatti a Mœbius di lavorare al grandioso progetto della trasposizione per il cinema della saga fantascientifica di Frank Herbert, Dune. Il lavoro sarà assai intenso per un anno circa, poi il progetto produttivo andrà, si sa, in malora. Come ricorda ancora Mœbius, il loro incontro avvenne in un momento di straordinaria fertilità creativa per il francese, e avvenne su un piano dimensionale particolare: Mœbius aveva bisogno di una guida spirituale, di un mentore, e trovò in Jodorowsky una sorta di guru, di maestro di pensiero: “assorbivo letteralmente tutte le informazioni che mi si presentavano” (Giraud/Mœbius, 1999). Nel 1981, a chiusura di un quinquennio di frequentazioni e rapporti tra i due, è la volta de L’Incal, con la sua carica di misticismo e immaginario ipertecnologico, meraviglia e ironia, e a partire da quel momento Mœbius intraprende la strada che lo porterà a diventare l’autore di fumetti più importante dell’ultimo scorcio del secolo scorso. “Un granello di polvere, quando si mette in movimento, agisce su tutto l’universo. La storia dell’Incal è quella di un personaggio che possiede un ego piccino e di come egli rompe questo suo ego per diventare una figura cosmica. In fondo, il personaggio centrale della saga di John Difool è l’universo. Ma non voglio dire troppo. Un artista non sa mai esattamente quel che fa. In una creazione autentica, senza secondi fini, la storia esiste già da qualche parte nell’universo. Siamo alla sua ricerca (...) Come diceva Picasso: «io non cerco, trovo»”. Parola di Jodorowsky (Giromini, 1999). Mœbius ricorda che il lavoro tra sceneggiatore e disegnatore non fu certo un modo di lavorare canonico. Fin dall’inizio Jodorowsky si rifiutava di scrivere, di mettere le catene al suo flusso creativo: “riproducendo il nostro modo di lavorare per Dune mi ha fatto una narrazione improvvisata” (Giraud/Mœbius, 1999). E da quel momento, per sette anni, come una straordinaria e potenzialmente infinita jam session, ebbe inizio l’avventura de L’incal.

Oggi, trent’anni dopo quello storico momento, non resta che augurare a tutti noi, ancora una volta, bon voyage.


LETTURE

× AA.VV., Les Humanos. La rivoluzione di Métal Hurlant, Napoli, FactaManent, 2004.

× Babcock Jay, Intervista ad Alejandro Jodorowsky, Arthur Magazine, febbraio 2010. Traduzione di Giulia Nobilini, reperibile su Conversazioni sul fumetto: conversazionisulfumetto.wordpress.com/2011/07/11/intervista-ad-alejandro-jodorowsky

× Barbieri Daniele, Breve storia della letteratura a fumetti, Carocci, Roma, 2009.

× Giraud Jean/Mœbius, Il mio doppio io. L’autobiografia del genio dell’immaginario fantastico, DeriveApprodi, Roma, 1999.

× Giromini Ferruccio, Introduzione a Giraud, in Giraud Jean/Mœbius, 1999.