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Mademoiselle Mabry
(Miss Mabry)
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di Filippo Morelli

spazio Da quel capolavoro assoluto che è Filles de Kilimanjaro (1968) di Miles Davis scegliamo Mademoiselle Mabry. È l'ultima composizione dell'album, nonché la più lunga: 16 minuti e 36 secondi. 
Gli echi arcani che avevano caratterizzato i dischi precedenti, in particolare Sorcerer (1967) e Nefertiti (1968), trovano qui un loro definitivo stato dell'arte e della creatività.
Opera seminale e carica di mistero, Filles de Kilimanjaro vive quello stato di confine posto tra l’inizio della nuova stagione “elettrica” e di cosiddetto jazz-rock che Miles stava inventando e la fine di un mondo. Come ben si sa, l'arte ed i suoi figli (e il nostro è stato un figlio indimenticabile) vivono in questi momenti di nascita non ancora avvenuta dei momenti fenomenali: sono le fasi in cui l’enigma della creazione non è stato ancora del tutto risolto. La magia unica che si crea in questi momenti, se ben sfruttata, ricorda l'inizio di una lunga estate. Il disco non a caso è inciso tra il 19 e il 21 giugno 1968, mentre M. Mabry e Frelon Brun sono incise il 24 settembre a New York. Frelon Brun (Brown Hornett) e M. Mabry diventeranno il primo e l'ultimo brano dell'album. Tra loro, Tout De Suite, Petits Machine (Little Stuff), Filles de Kilimanjaro.
Nella session di giugno al piano elettrico c’è Herbie Hancock, al basso Ron Carter, nella session di settembre per la prima volta ci sono Chick Corea al piano elettrico e Dave Holland al basso.
Nella definizione dell’album, cosa che purtroppo spesso oggi non c’è più, i brani con Corea e Holland lo aprono e lo chiudono, e sono anche i pezzi se si vuole con un atmosfera meno sfumata, meno sognante, pur mantenendo il particolare carattere magico di tutto il disco. L’atmosfera magica dell'incisione è forse unica in tutta la produzione, non certo limitata in quantità e soprattutto qualità, di Davis, ma il clima di attesa di Filles è unico.
Crediamo che ciò dipenda dalla padronanza assoluta che ormai Miles aveva acquisito nel governare completamente la sua musica.
Un particolare proprio sulla copertina dell’Lp ce lo conferma: sopra il titolo per la prima volta appare a mo’ di occhiello: “Directions in music by Miles Davis”, quasi a rafforzare la sua regia dietro l’intera opera creativa. Inoltre, nelle belle note di copertina Ralph J. Gleason ci racconta: “Ogni volta che lo ascolto diventa come una nuova colonna sonora per un nuovo film che si proietta nella mia mente. Talvolta vedo il complesso su un palcoscenico, con Miles che scuote lo strumento in attesa di suonare o che ha appena terminato di suonare e sta lasciando il palco. Talvolta lo vedo durante un concerto in una grande sala e tutti i musicisti sono in abito di circostanza. Una volta, ascoltando il disco lo vidi come un concerto per batteria con l’orchestra che circondava Tony Williams e Miles di fronte che dirigeva con brevi gesti e suonava la sua parte”.
Miles è arrivato alla creazione di un jazz classico.
Idea e improvvisazione si sposano in maniera totale, con Filles è iniziata l’epoca d’oro della creatività davisiana. Qui nasce la grande stagione che si chiuderà nel 1975 con Agharta e Pangea.  
La presenza di Gil Evans è comunque importante nella composizione di Filles, anche se originariamente non riportata.
Come nota Ian Carr nella sua splendida biografia critica: “Tutti i brani di Filles de Kilimanjaro sono attribuiti a Miles Davis, ma è certo che Gil Evans contribuì a comporne almeno uno (Petits Machins). Anni dopo, ricordando il suo lavoro per gli album di Miles, Evans avrebbe affermato: “L'ultimo disco a cui davvero ho collaborato è stato Filles de Kilimanjaro. Avrebbero dovuto citarmi in quella occasione” (Carr, 1982). 
Forse Miles in quel momento era troppo preso dall’idea di creare una sua Directions in music per riconoscere la presenza dell'amico Gil, ma in qualche modo la sua presenza si avverte.                 
L'idea cioè di una musica su cui lui avesse il pieno controllo, una creazione in cui parti composte e improvvisate fossero pienamente controllate. Un po’ come era stato nei dischi nati nel periodo di collaborazione con Gil Evans, anche se lì c’era una scrittura ben determinata a fare da base alla tromba di Miles.
Riemergeva anche quello spirito che aveva caratterizzato Kind of Blue, e che in quella occasione aveva portato alla scoperta del jazz modale, come sistema per modulare più liberamente l'improvvisazione, e di cui un brano come So What ne incarna per così dire l’anima. Questa volta l’intento di Miles è ancora più ambizioso perché comporta un controllo totale sulla sua musica. 
Dice bene ancora Gleason quando afferma: “È questo ciò che ha indotto Dannie Rifkin, da tempo studioso di musica improvvisata ed ascoltatore della musica di Miles Davis a dire che la musica improvvisata non dovrebbe essere registrata, ma ascoltata una sola volta nel momento in cui viene eseguita. Ma la caratteristica di Miles Davis è quella di saper superare i concetti di Rifkin e di dare alla sua musica quelle speciali qualità che la fanno sembrare nuova ad ogni ascolto”.       
In tal senso si è parlato di Miles come colui che più di ogni altro jazzista ha aspirato alla creazione di un jazz-classico, di una musica cioè in grado di resistere nel tempo.
Ci rendiamo conto che la parola classico a Miles non sarebbe piaciuta perché ispirata alla cultura bianca a lui comunque in qualche modo invisa, perciò vorremmo dire più correttamente:
un classicismo profondamente nero. 
Ecco, Miles insieme a Duke Ellington, cui ha dedicato quella meraviglia che è Get Up With It (1974), e a qualcun altro (Charlie Parker/Jimi Hendrix), ha contribuito alla creazione di un classicismo profondamente nero e legato ovviamente alla cultura nera afroamericana.  
L'intuizione che aveva generato Birth Of The Cool (le tracce dell’album vennero registrate tra il 1949 e il 1950, ma il disco venne pubblicato nel 1957) all'inizio della sua attività, inizia a trovare una concretizzazione definitiva proprio nel periodo che inizia con Filles de Kilimanjaro
È il periodo in cui Miles ha raggiunto una padronanza totale sulla sua musica, è il Miles della piena maturità che di lì a poco creerà uno dei capolavori assoluti della musica del Novecento: Bitches Brew (1970).
Miles nella sua autobiografia riconosce che il breve matrimonio con Betty Mabry, che tra l’altro è la donna presente nella copertina dell'album, fu foriero di vari cambiamenti nella sua vita.
“Betty influenzò molto la mia vita personale, così come quella musicale. Mi fece conoscere la musica di Jimi Hendrix – nonché Jimi in persona – e un sacco di musicisti rock neri” (Davis/Troupe, 2007).  
Mademoiselle Mabry parte dall'inciso di apertura della hendrixiana The Wind Cries Mary – anch'essa dedicata ad una donna. Il piano elettrico di Corea parte poi in una serie di schemi armonici su un tempo continuamente diverso, in azioni di relax alternate ad altre scattanti. Forse è la camminata di una donna particolarmente sinuosa che sembra materializzarsi nello spazio sonoro, ma è un passo imprendibile indeterminato eppur presente.
La serie armonica intessuta da Corea rimane, poi, come base su cui si dipanano i singoli assoli.
I lievi cambiamenti di ritmo in perfetta sincronia con la batteria di Tony Williams creano la ricca tessitura del brano. Essa sembra portarci in vari territori per poi concludersi in un divertente e rassicurante riff.
Miles fa il primo assolo ed è proprio il caso di dirlo caldo, intenso ci immerge in un atmosfera estiva. Tale atmosfera continua per tutto il pezzo, la cui intensità e complessità sta proprio nel fatto che ha una sua indefinibilità. 

Esso è circolare e labirintico al tempo stesso. 

Miles, come un novello Dioniso, accenna, propone, scompare, riappare, la sua tromba si muove in uno spazio sonoro ormai completamente cosmico. Prosegue la linea dell’assolo con Wayne Shorter, l'atmosfera si fa più jazzistica e meno stralunata dell'impronta che aveva dato Miles, con Wayne Betty Mabry la si vede proprio al massimo della sua sensualità. Betty avanza, ci sussurra dolcemente e poi scompare avvolta dal piano elettrico di Chick. Ciò che fa per tutto il pezzo Tony Williams, poi, ha dell’incredibile, sembra avere oltre alla consueta batteria una serie infinita di timpani che tira fuori da non si sa dove. 
L'alternarsi di suoni ai piatti e al charleston con quelli ai vari tamburi costituisce di per sé un tessuto sonoro. Anche il basso di Dave Holland ha degli inserimenti sempre puntuali e ficcanti.
Ritorna, infine, il piano elettrico di Corea e ripercorre con una nuova tensione la serie di accordi aggiungendo anche qualche dissonanza, ma trionfa l'armonia. Così riappare anche la tromba di Miles ed il calore estivo diviene più intenso, pieno. 
La musica si ricompone, saltella e scompare nel nulla.



× ASCOLTI

× Davis M., Sorcerer, Columbia 1967, ristampa cd Columbia Legacy, 2008.
× Davis M., Nefertiti, Columbia 1968, ristampa cd Sony, 1998. × Davis M., Filles de Kilimanjaro, Columbia 1969, ristampa cd Columbia Legacy, 2002.
× Davis M., Get Up With It, Columbia 1974, ristampa cd Columbia Legacy, 2000.
× Davis M., Kind Of Blue Columbia 1959, ristampa cd Columbia Legacy, 1997.
× Davis M., Bitches Brew, Columbia 1970, ristampa cd Columbia Legacy, 1999.
× Davis M., Agharta, CBS/Sony 1975, ristampa cd Sony, 2009.
× Davis M., Pangea, CBS/Sony 1975, ristampa cd CBS/Sony, 1990.
× Davis M., Birth Of The Cool, Capitol 1957, ristampa cd The Complete Birth Of The Cool, Blue Note Records, 1998.


× LETTURE

× Carr I., Miles Davis: A Biography, New York, Morrow, 1982, Miles Davis, una biografia critica, Arcana Editrice, Milano, 1982.
× Davis M./Troupe Q., Miles: The Autobiography, New York,  Simon and Schuster, 1989, trad. it. Miles l'autobiografia, Minimum Fax, Roma, 2007.
× Gleason R.J., Note di copertina di Filles de Kilimanjaro.