![]() | ||
Philip
José Farmer,
scribacchino ingegnoso di pulp (science) fiction di Gennaro Fucile |
||
U n incontro ravvicinato con la fantascienza. Leggere Philip José Farmer non è altro e non è poco, poiché speculazione e intrattenimento, qui perfettamente saldati, regalano effetti vertiginosi. Provare con il ciclo Riverworld per credere: “Sebbene alcuni nomi della serie del Mondo del fiume siano immaginari, i personaggi erano o sono reali. Magari non venite menzionati ma ci siete anche voi” (Il grande disegno). È andata proprio così, Farmer ha reso tutti noi personaggi di una sua storia. Nessuno ha mai osato tanto, non si registra niente del genere in letteratura. Dante azzardò una bozza di questo ambizioso progetto, ma si limitò a prendere in considerazione un numero più ristretto di persone, dovendo considerare l’umanità vissuta in un arco temporale più ristretto. A rigor di logica ogni scrittore si avventura su questa strada e nelle sue creazioni fa rientrare ipoteticamente un certo numero di esseri umani reali. Ognuno di noi, in fondo, è un potenziale personaggio dentro una storia che qualcun altro potrebbe scrivere. Fin qui, siamo nell’orizzonte ordinario della letteratura e non ce ne allontiamo di molto se allarghiamo la cerchia dei potenziali personaggi ad un buon numero di terrestri nostri simili. Quando però tutti, ma proprio tutti gli umani sono presupposti in una storia, beh, allora siamo di fronte ad una vera esagerazione, lo stile di Farmer, l’autore di questa storia sconfinata chiamata il Ciclo del fiume, saga in cinque romanzi principali più diverse storie affluenti. Tutto si svolge su un immenso pianeta dove tutta la razza umana dalla preistoria fino a pochi decenni dopo il Duemila è risorta contemporaneamente. Oltre questo duemila e qualcosa imprecisato, l’umanità si è estinta in seguito al primo contatto avuto con gli alieni. Dalla resurrezione sono esclusi tutti i minori di cinque anni. Tutti si ritrovano sulle rive di un fiume lungo circa 32 milioni di chilometri, circondato da alte pareti scoscese che impediscono di allontanarsi e obbligano alla percorrenza del corso d’acqua per gli spostamenti. In totale sono 36.006.009.637 di persone, resuscitate dai misteriosi Etici, una superciviltà, avanzatissima scientificamente e parimenti progredita sul piano tecnologico. Nel conto è compreso Farmer, che vezzosamente si cela dietro il nome di Peter Jairus Frigate (si notino le iniziali), ma basta sentirlo parlare per conoscere la sua vera identità: “Le serie erano la sua specialità, nei sogni e nella narrativa. Una volta, durante la sua carriera di scrittore, aveva avviato ventuno serie. Ne aveva completate dieci. Le altre stavano ancora attendendo, incompiute, quando il grande redattore dei cieli le aveva arbitrariamente censurate tutte” (Il grande disegno). Frigate non è il principale personaggio di questa commedia (post)umana, ruolo che spetta a Sir Richard Burton, esploratore e scrittore, scopritore del lago Tanganica e traduttore delle Mille e una notte. Altre prime stelle ingaggiate sono Samuel Clemens, meglio noto con lo pseudonimo di Mark Twain, Hermann Göring, il fondatore della Luftwaffe, Alice Pleasance Liddel Hargreaves, che ispirò a Lewis Carroll le storie di Alice in Wonderland, Giovanni d’Inghilterra, il Senzaterra, fratello di Riccardo I d’Inghilterra, Cuor di Leone, e ancora, Jack London, Tom Mix, il re vichingo Erik il sanguinario, Cyrano de Bergerac, Mozart e Li Po. Una capatina la fa anche Gesù, ma a lui Farmer dedicherà un romanzo a parte (non del ciclo), inquietante quanto basta: Cristo marziano. | ||
![]() ![]() | ||
![]() |
(1) [2] [3] [4] [5] | |