Non è un uccello! Non è un aereo! È un trend!
di
Gennaro Fucile

 



Tu robot, io consumatore

Gli uomini pensano agli automi sin dai tempi degli antichi egizi, immaginando e costruendo macchine capaci di stupire, intrattenere e servire. Servire come scopo secondario, in origine, poiché l’accezione di macchina per lavorare in sostituzione degli uomini è figlia del secolo scorso, come la parola robot coniata dallo scrittore ceco Karel Capek nel 1921. L’uso comune del termine, però, si deve a Isaac Asimov, autore di fama mondiale, la cui notorietà si estende ben oltre i confini del genere science fiction, quasi un sinonimo di fantascienza. In Io, Robot [2], il primo dei quattro libri sulle storie dei robot, sono raccolti nove racconti, sviluppati come intervista alla robopsicologa Susan Calvin; alcuni racconti hanno come protagonista la stessa Calvin, mentre in altri il testimone passa a due collaudatori della U.S. Robots & Mechanical Men Corp., che devono affrontare diversi malfunzionamenti dei robot. Le trame sono piacevoli quanto dimenticabili, ma il libro formalizza per la prima volta le fondamentali, fondanti, tre leggi della robotica.

Un nuovo prodotto Sony aggiorna il sogno, anche se il massimo del risultato lo ottiene sul piano del marketing, esibendo una tecnologia stratosferica, pubblicizzata su tutto il pianeta.

Lui, Qrio, il piccolo robot messo a punto dalla Sony, ha sì diretto la Nona di Beethoven, ma ha ancora lo status di giocattolo, al massimo di creatura tanto artificiale quanto innocua. Sarà per questo che il Machin Perception Laboratory dell’Università della California l’ho ha introdotto in una classe di bambini di età compresa tra i due e i dieci anni. A fargli compagnia c’è un altro robot, Rubi, messo a punto dalla stessa università. A scuola d’umanità. Un burattino “pensante”, ma se l’evoluzione immaginaria della specie è progredita da Pinocchio agli androidi di Blade Runner, la tecnologia non tiene il passo solo in apparenza. In realtà, è il mercato ancora tutto da creare. Il recente film Io Robot racconta qualcosa in proposito, sulla difficoltà di lanciare un nuovo prodotto prima che il precedente esaurisca del tutto il suo ciclo di vita.

 

Il futuro del verbo vedere

Tema: il controllo. Molti gli svolgimenti, in ambito scientifico, letterario e cinematografico. Guardare a vista un uomo o un oggetto può essere di grande utilità, o un’ottima premessa per edificare una società paranoide.

Evoluzione in parallelo di un mondo fornito di maggiore efficienza, sicurezza e benessere, ma anche più esposto ai rischi di un uso spregiudicato dei nuovi strumenti regalati dal progresso.

Dalla sorveglianza scientifica del detenuto, nel Panopticom [3], messo a punto dal filosofo utilitarista inglese Jeremy Bentham, agli inizi dell’Ottocento, al 1984 di George Orwell [4], dalla schedatura alla telesorveglianza, dai pedinamenti alla vigilanza satellitare, un’ombra accompagna il progresso scientifico e tecnologico: la possibilità, da parte di pochi, di conoscere ogni movimento/intenzione dei molti. Bentham scriveva:“Forse può essere utile conoscere, tra i particolari che finora avete visto, quali siano i punti essenziali del progetto. Tutta la sua essenza consiste nella posizione centrale dell’ispettore, unita a tutti quei dispositivi conosciuti ed efficaci per permettere di vedere senza essere visti.”. L’identificazione in radiofrequenza dei prodotti (Rfid) è un passo avanti anche verso questo lato oscuro della civiltà occidentale (Quaderni d’altri tempi ne ha parlato nel numero scorso, all’interno dello speciale dedicato a Jules Verne in “Girovagando tra i mondi di Verne e Farmer” e successivamente il magazine di La Repubblica, XL, ha ospitato un intervento di Bruce Sterling sull’Rfid).

Uno sguardo ai mondi alternativi della fiction, specie se fantascientifica e di pessima fattura, può risultare più che utile. In un brutto, proprio brutto film di fantascienza del 1992, La Fortezza (con Christopher Lambert), si può visionare un futuro ancora più brutto del film. La trama è dimenticabile, come in tutti i B movie (altrimenti detti filmacci); basterà ricordare che racconta di un super carcere costruito sulla falsariga dei danteschi gironi infernali e che gli ospiti “ospitano” nel loro corpo dei fibrillatori gastrici, microchip impiantati nello stomaco con lo scopo di sorvegliare e punire. Un’infallibile tracciabilità.

 


[2] Isaac Asimov, Io Robot, Urania Collezione n. 1, Mondadori, Milano 2003

[3] Jeremy Bentham, Panopticom, ovvero la casa d’ispezione, Marsilio, Venezia 1983

[4] George Orwell, 1984 (Nineteen Eigthy-Four), Mondadori, Milano 1973

    [1] (2) [3] [4]