Il viaggiatore delle stelle
di Jack London
Adelphi
Pag. 400
Euro 11,50

 





 
Il viaggiatore delle stelle
di Jack London


Nelle prime cento pagine di questo romanzo non aspettatevi granché se siete appassionati di fantascienza e godetevi un Jack London crudo e poetico, impegnato a denunciare gli orrori delle carceri di massima sicurezza, tratteggiando la miseria e la grandezza dell’uomo quando è posto in situazioni estreme.

Scritto nel 1915 e ambientato due anni prima, racconta di Darrel Standing, rinchiuso nel braccio degli assassini di San Quentin, in California, e delle violenze che subisce dalle autorità carcerarie convinte che egli sia la mente di un piano d’evasione con tanto  di dinamite introdotta clandestinamente in carcere. Gli interrogatori si moltiplicano e le sedute a base di camicia di forza in cella d’isolamento aumentano esponenzialmente. Standing condivide la malasorte con altri due compagni di disavventura, Ed Morrell  e Jack Oppenheimer con i quali comunica grazie a un alfabeto Morse artigianale inventato da Morrell: colpi battuti sul muro della cella. Sarà Morrell a iniziare Standing all’arte della piccola morte, tecnica di sospensione delle attività vitali in grado di far sopportare i periodi sempre più lunghi trascorsi nell’abbraccio soffocante della camicia di forza sadicamente impostagli. Durante queste performance Standing scopre di possedere un io eterno già incarnato in innumerevoli vite precedenti e inizia a narrarle. Qui, impiegando il dispositivo della macchina del tempo, anche se in versione spuria (manca il viaggio nel futuro), London spedisce Standing in giro nello spazio e nel tempo, dalla Corea alla Palestina, da un imprecisato Paleolitico all’Ottocento.

Nell’acuta postfazione, A zonzo nell’eternullità, Ottavio Fatica indica i pochi precedenti del romanzo: Le Dernier jour d’un condamné di Victor Hugo ed Eureka di Edgar Allan Poe. Non individua al presente nulla di paragonabile se non in una somma immaginaria di Carlos Castaneda e Stephen King e suggerisce di cercare autentiche analogie in due personaggi estremi come l’evasore per eccellenza, Houdini e il condannato esemplare, il capo naturale della Comune di Parigi: Auguste Blanqui.

Tutto condivisibile. Il viaggiatore delle stelle, però, ha seminato non poca fantascienza a ben vedere e la sua progenie è una legione di immortali, magari goffi come l’Hedrock di Van Vogt o disincantati, ludici e spregiudicati come i fabbricanti di universi di Farmer. L’oltreumano accennato da Fatica ha trovato nella sf classica il suo pieno dispiegamento, complice la vertiginosa ascesa delle tecnologie nel secolo scorso. London ci ha lasciato troppo presto per assistere ad un simile dispiegamento di forze, ma ci ha regalato un romanzo che, come il suo anti eroe Standing, si reincarna oggi grazie a una narrazione di temi all’altezza del nostro tempo, quello dei saperi applicati sempre più soft e degli incubi hard che li accompagnano come ombre, compresa la violenza senza tempo del potere.



 

Recensione di Gennaro Fucile