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    L’occhio incantato del viaggiatore Giuseppe Baresi
    di 
    Gennaro Fucile

    Nato a Milano nel 1960, Giuseppe Baresi lavora dal 1982 come regista e direttore della fotografia. Dal 1985 inizia ad alternare l'attività di direttore della fotografia a quella di filmaker e produttore indipendente. Contemporaneamente approfondisce alcune linee di ricerca personali: il diario di viaggio, film/video di spettacoli teatrali e di danza indagati attraverso una personale ricerca formale utilizzando supporti/mezzi cinematografici e digitali. Con i suoi film/video e documentari di creazione ottiene vari premi ed una costante presenza nelle principali rassegne video e cinematografiche internazionali. A partire dal 1998 inizia una collaborazione con l'Autore teatrale Marco Paolini, realizzando Questo radichio non si toca (1998-99), Bestiario Italiano (2000) e Gli Album di Marco Paolini (16 puntate da 40'-co-regia con M.Paolini) in onda su RAI3 da febbraio 2004/5. Fra gli altri lavori recenti ricordiamo La febbre (1994), realizzato con Giuseppe Cederna a partire dal testo di Wallace Shawn, Nothing is real-appunti sul Nirvana (1996), Victor (1997) con Franco Maurina musicista-coautore. Mnemo.Diario (1999), Made in Hong Kong (2000) documentario sul cinema e sulla città di Hong Kong, Kumbh Mela (2001) con G.Garini, 120m s.l.m. percorso-diario attorno alla citta diffusa (2002), Mine Haha (2002), Identità nascoste (video con musica dal vivo di Mario Brunello .Olinda-25.4.2004-14'), Pagine di viaggio.1 (film/video con voce e lettura live di Giuseppe Cederna, 2004), Memorial della Liberazione di Milano (8 videoproiezioni per grandi schermi in legno, 2005).
    Nel catalogo INVIDEO 2000-3 si legge “I suoi video e film, spesso al confine tra documentario e videoarte, trattano poeticamente i temi dello spazio e del viaggio”. Inizia da questi temi la nostra conversazione.

    Un tuo recente lavoro, di cui firmi la fotografia, è Un paese diverso, firmato da Silvio Soldini e Giorgio Garini. Racconta il mondo della Coop ricorrendo alla struttura abbastanza ortodossa del documentario, e il genere non ti è certo estraneo. 

     

    baresi


    Senza entrare nel merito di quanta vera Coop si ritrova in Un paese diverso, secondo te quanto e perché sconfina nella fiction il genere documentario? Oppure è copia conforme della realtà?
    Piuttosto è la fiction che prende sempre più spesso dal cosiddetto documentario, modi, linguaggi e tecniche di  lavoro. 
    Comunque non mi meraviglia,  il cinema nasce documentario (il cinema per scoprire i misteri del movimento Marey, Muybridge… poi per vedere e stupirsi delle cose del mondo con i fratelli Lumière,)  in un secondo tempo diventa finzione. Trovo sia interessante che ci siano scambi tra i due atteggiamenti principali del fare cinema. Il “documentario” a mio parere non è mai “copia” della realtà ma una sua rappresentazione, una visione soggettiva di chi lo sta facendo. Anche i lavori apparentemente più legati alla realtà, l’inchiesta come quella che è il viaggio in Un paese diverso, sono sempre un punto di vista.

    Nei tuoi lavori le immagini si accostano per associazione, sono più il ricordo di sogni che di esperienze reali. È in questo modo che ci si avvicina all’essenza delle cose, che si riesce  a “renderle più se stesse”, come scrive John Berger (scrittore, pittore, critico d’arte, ndr), autore da te molto amato?
    Sì, ricordi, tracce di quello che hai vissuto e visto senza troppe pretese di una narrazione lineare. Certe volte per fissare cose che sfuggono, paesaggi nel senso più ampio del termine. Comunque possono contenere embrioni di storie. Altre volte rivedo questi lavori e mi aiutano a trovare dei riferimenti di tempo, di luoghi incontrati anche molti anni prima, sono come le pietre con scritto i chilometri percorsi, o da percorrere. Tutto corre così veloce è un aiuto per fermarsi, pensarci sopra. Rendere le cose più se stesse, scrive John Berger, cioè più vicino possibile alla loro sostanza, senza abbellirle o enfatizzarle. È una ricerca di forma-contenuto non facile che cerca una sua onestà, simile per certi versi ad una scrittura essenziale vicina a quelle poesie scritte utilizzando parole quotidiane, semplici eppure così intense.

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