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    Rottami e rapsodie: i gatti tuttofare di Thomas Stearns Eliot di Linda De Feo


    catscats


    Old Deuteronomy, sapiente e benevolo capo, nominando il Jellicle Cat che ascenderà all’Heavyside Layer e rinascerà a nuova vita, sceglierà la ripudiata Grizabella, punita in passato perché colpevole di aver abbandonato la tribù per conoscere il resto del mondo, e costretta poi dagli altri felini a sparire più volte nelle tenebre e a contemplare nostalgicamente il ricordo del tempo felice. Lo stanco scintillio dei lustrini, intravisto attraverso il mantello opaco e spelacchiato della gatta zoppicante e reietta, insieme alle notturne ombre blu e all’argentea luminosità lunare, regala magia alle evocative note di Memory, di Trevor Nunn, ispirate al già citato, malinconico testo eliotiano Rapsodia su una notte di vento (pp. 303-307) e destinate a riecheggiare ancora a lungo nell’immaginario sognante degli amanti del musical. Sarà il vecchio copertone di un’automobile abbandonata a sollevare The Glamour Cat, sublime espressione della nostalgia della bellezza, verso il riscatto conclusivo, la redenzione finale, che la ripagherà  della mortificante solitudine patita per essere caduta in disgrazia, facendola assurgere a simbolo dell’uomo che mai smetterà di esplorare e che, alla fine del suo andare, ritornerà non invano al punto di partenza per poterlo scoprire completamente. 
    Il musical dimostra, con disarmante innocenza, come la tecnica poetica del frammento costituisca un suggestivo riflesso culturale di una civiltà ormai in declino e dei suoi paesaggi in rovina, travolti dallo spietato vortice del progresso e dall’efferata distruzione bellica. Questi scenari sono affrescati grandiosamente da un’artista, che, pur restando fortemente avvinto al senso storico della propria epoca, consapevole – come egli stesso teorizza in Shakespeare e lo stoicismo di Seneca (p. 698) – che solo il grande poeta, nello scrivere se stesso, scrive il proprio tempo, tende, nell’inquietudine dell’attesa, a proiettarsi verso la sconfitta della finitudine, per riconoscere nelle caduche parvenze mondane l’espressione fenomenica di una realtà infinita e duratura.
    I versi cantati di The Moments of Happiness suggeriscono inoltre che un’esperienza trascorsa, rivista nel significato, non forgia una sola vita, ma quella di molte generazioni, e ricordandoci, come fa l’Eliot di Tradizione e talento individuale, che la tradizione, e non solo quella poetica,  non costituisce una mera eredità, ma si conquista con immane fatica (p. 393), ci esortano a non distogliere lo sguardo dai morti viventi, che, tra avanzi sudici e segatura pestata, abitano le tormentate lande eliotiane, per veder vivere queste creature, dibattute tra lo scontro bruciante col passato e la potenza avvolgente del ricordo, tra i valori annichiliti e le eterne verità, un tempo proiettato oltre la peregrina vita terrena. È il tempo che sminuzza e decompone,  che macera e dissolve, che fluisce e distrugge, ma anche innegabilmente il tempo del risanamento e della conoscenza, del superamento e del ritorno, che disegnerà sì profili di morte, ma diffonderà anche bisbigli d’immortalità e continuerà dunque imperterrito a indurre l’uomo a preservare venerando, a rifunzionalizzare oggetti e miti, a ricostruire senso, a rielaborare interpretazioni, a ricostituire l’infranto, o comunque a tentare pervicacemente di riuscire a farlo.

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