Il rock dei Dream Syndicate,
sogno lungo quarant’anni

The Dream Syndicate
History Kinda Pales When It
And You Are Aligned
(The Days Of Wine And Roses
40th Anniversary Edition)
Formazione:
Steve Wynn (voce, chitarra),
Karl Precoda (chitarra solista),
Kendra Smith (basso, voce),
Dennis Duck (batteria).
Fire Records, 2023

The Dream Syndicate
History Kinda Pales When It
And You Are Aligned
(The Days Of Wine And Roses
40th Anniversary Edition)
Formazione:
Steve Wynn (voce, chitarra),
Karl Precoda (chitarra solista),
Kendra Smith (basso, voce),
Dennis Duck (batteria).
Fire Records, 2023


A giugno dello scorso anno la più importante rivista di musiche alternative, The Wire, riportava in copertina il loro nome tra Pauline Oliveros e Ava Mendoza, e contemporaneamente, nello stesso mese, Blow Up, il magazine nostrano, gli concedeva foto e titolo principale. Se per quest’ultimo, tutto sommato, la loro presenza sulle pagine della rivista non è così sorprendente, non altrettanto si può dire riguardo alla rivista britannica, da sempre focalizzata su ricerca, sperimentazione, avanguardie e progetti misconosciuti o di assoluta nicchia. Parliamo dei Dream Syndicate, da qualche anno di nuovo in carreggiata, gruppo guida del Paisley Underground, quel piccolo movimento, o meglio corrente musicale, che agli inizi degli anni Ottanta riportò in voga la psichedelia, un certo rock grezzo, sicuramente influenzato dal punk, e un ritorno al sound chitarristico prettamente americano.
Arrivarono altre band, Dream Syndicate, Green On Red, Rain Parade, True West, Three O’ Clock, Opal, Long Ryders, in un periodo di trionfo del sound sintetico, batterie elettroniche, tastiere, synth pop e brani dance. Con loro tornarono alla ribalta il sudore, le chitarre distorte, gli assoli e un certo rock primitivo che probabilmente non era mai andato via, semplicemente era rimasto sottotraccia, in attesa di riemergere più sporco che mai. E agli inizi i Dream Syndicate erano veramente sporchi, così impregnati di punk ma con forti legami con il Neil Young dei Crazy Horse, la psichedelia di Nuggets (Nuggets: Original Artyfacts from the First Psychdelic Era 1965-1968, la compilation di oscure o misconosciute band americane allestita dal chitarrista del Patty Smith Group Lenny Kaye e pubblicata dalla Elektra nel 1972), la visionarietà di Tom Verlaine dei Television e le atmosfere scure e inquietanti degli antesignani Velvet Underground. Il tutto proveniente da Los Angeles, West Coast, termine che già racchiude in sé un cumulo di suoni, atmosfere e significati tutto particolare ed alquanto caratteristico.

I primi passi della band
Steve Wynn, chitarra e voce, Karl Precoda, chitarra solista, Kendra Smith, basso, Dennis Duck, batteria, esordiscono nel 1982 con l’ep Down There, per poi far uscire, sempre nello stesso anno, The Days Of Wine And Roses, loro primo lp prodotto da Chris D. dei Flesh Eaters su etichetta Ruby Records, sussidiaria della Slash, label guida della scena punk rock statunitense. L’anniversario dei quarant’anni del loro primo album ha visto pubblicare, su Fire Records, un prezioso cofanetto di quattro cd, History Kinda Pales When It and You Are Aligned, contenente oltre alle uscite ufficiali (Lp ed Ep), rarità, versioni live e inediti quasi tutti datati 1982.
Prima di analizzare nel dettaglio i quattro dischetti tratteggiamo le coordinate artistiche della prima fase di storia del gruppo, fino al loro scioglimento avvenuto nel 1989, iniziando dall’effettivo ruolo che hanno i componenti della band. La leadership riconosciuta è quella di Steve Wynn, cantante, frontman e autore della maggior parte dei brani. Sezione ritmica essenziale, poche variazioni, qualche buona linea di basso di Kendra Smith e drumming costante, energico e preciso a supporto della musica da parte di Dennis Duck, all’epoca il più conosciuto del gruppo. A chiudere il cerchio, in un ruolo per nulla secondario, la chitarra solista di Karl Precoda. E qui c’è il primo elemento da sottolineare. Come in tutte le storie rock che si rispettino, anche la musica dei Dream Syndicate vive e sgorga furiosa e ammaliante dall’opposizione di due personalità: quella dell’autore dei brani, del songwriter un po’ sghembo ma pur sempre affidabile e alla ricerca del Nuovo Racconto Americano, e quella del folle visionario, chitarrista acido (il più acido d’America si diceva ai tempi!), irrequieto e irriducibile all’ordine, alla regolarità. Wynn e Precoda sembrano incarnare le due anime del gruppo, quella del rock ruvido, tradizionale e quella psichedelica e avventurosa. In realtà, va detto, in tutti e due vive la fiamma dell’irrazionale, della fuga in avanti pur ancorati alle esperienze rock del passato, elettrizzare improvvisamente la musica per poi lentamente raffreddarla in eterei fluidi cangianti. Tuttavia, sono ben chiari gli approcci e i contributi di entrambi; scrittura di brani con testi attraenti, splendide melodie e distorsione delle stesse con scorribande dissonanti, apertura dei confini e correnti psicotiche.

The Dream Syndacate (da sinistra): Karl Prekoda, Dennis Duck, Kendra Smith, Steve Wynn.

Si è molto parlato, in passato, di Steve Wynn, della sua leadership e delle sue qualità come songwriter, grazie anche ad una buona carriera lontana dal gruppo. Ma troppo poco si è parlato della personalità di Precoda, la chitarra solista dei primi Dream Syndicate. Di chiara ispirazione hendrixiana, è un chitarrista anomalo, per certi versi irrispettoso e inaffidabile. C’è molto di suo nella proposta sonora dei primi Dream Syndicate così fresca e coinvolgente. Non si lascia irretire dalle efficaci melodie intrise di blues e roots di Wynn, non le accarezza con sagacia e virtuosismo, bensì le graffia, assesta colpi distorti per allungarle, stirarle verso ignoti viaggi mentali trasformandole in autentici brani psichedelici. Il solismo di Precoda è abbastanza particolare perché di solito non segue i consueti canoni del chitarrismo rock. Non è un virtuoso ma sa dosare bene le sue capacità elaborando degli interventi musicali affatto originali, inaspettati. Là dove ti aspetteresti un fiume di note, un insieme di pentatoniche una dopo l’altra, lui cambia completamente strada, si incammina in territori inesplorati evocando molto con poco. È come se dicesse, ok qui si dovrebbe fare così ma io faccio un’altra cosa, anche se al primo ascolto non vi piace.

L’esordio: The Days Of Wine And Roses
Partiamo con il loro indiscusso piccolo capolavoro che è il primo lp, quel Days Of Wine and Roses che all’epoca fece scalpore e funse da detonatore del cosiddetto Paisley Underground. Un esempio significativo del valore e delle caratteristiche essenziali del gruppo è il brano eponimo, splendida canzone strutturata su strofe, ritornelli, brevi bridge, e poi una lunga parte centrale dove Precoda mostra le sue peculiarità di chitarrista acido. In un brano così ci si aspetterebbe un assolo di chitarra pieno di fraseggi blues, e invece ci troviamo di fronte ad un lungo, estenuante e inquietante magma sonoro, fatto di rumore, brevi frasi distorte costruite sulle note basse della chitarra che si confondono con la ritmica di Wynn. Non sembra neanche essere un solo bensì una macchia sonora che emerge e poi riaffonda all’interno dello scorrere del tempo, così deforme e allo stesso tempo originale. E poi, alla fine, una breve sequenza cromatica che finisce su un Mi ossessivo, lancinante, minimalista, lungo, che sembra non voler finire mai e che lancia il ritorno della voce di Wynn, per concludersi in un assalto sonoro con il ritornello ripetuto più volte, sempre più urlato, sempre più sporco. Il finale, secco ed inarrivabile (con evidente errore ritmico corretto in questa versione!), lascia l’ascoltatore esausto. Si potrebbe benissimo dire: ecco, questo è Precoda. Forse nessun altro chitarrista rock avrebbe avuto il coraggio di suonare così in un brano. Molto con poco, è la sua filosofia.

Altro esempio è Until Lately, dove si produce in una linea di chitarra che fa da contrappunto alla voce di Wynn, per poi sporcare le strofe, in sottofondo, con rumori e feedback, note singole distorte e penetranti. Anche qui nel finale la chitarra esplode sotto le frasi sempre più urlate di Wynn e un’armonica a bocca che ricorda il primo blues. Il brano di apertura dell’album è, anch’esso a suo modo, una sorta di manifesto dell’approccio per molti versi minimalista, di Precoda. Tell Me When It’s Over è una splendida ballata, si potrebbe dire tipica dei Dream Syndicate. Un bel riff, un’accattivante e suggestiva linea melodica e poi, quando ci sarebbe tutto lo spazio per un assolo di chitarra, Precoda preferisce suonare una sola nota, ripetuta, dolce e sognante (una delle poche sovraincisioni del disco, quasi tutto suonato in diretta). Tutto qui, nient’altro. Mentre su When You Smile, autentico gioiello, l’inizio è affidato ad una serie di feedback che Precoda sembra governare con maestria, lasciando emergere con grazia il dolce arpeggio della chitarra di Wynn. A tutto questo va aggiunto il suono generale del disco: la voce vicina al Lou Reed più alienato, una generale noncuranza degli aspetti esteriori come la qualità del suono, registrazione in presa diretta, imprecisioni, ma quanta energia, quanto sudore e quanta musica. Il tono generale è sporco, ruvido, e questo esalta le caratteristiche di Precoda così come le splendide composizioni di Wynn. All’epoca si diceva ricalcassero troppo i primi Velvet Underground, e in parte potrebbe anche essere vero. Ma, a differenza del gruppo newyorchese, c’è meno arte e più istintività, meno elaborazioni intellettuali e più viaggio acido.

“Mi era stato fatto credere, non so se da Biggs (fondatore della Slash Records) o dalla band, che avrebbero fatto il secondo album con la Slash, ma invece scelsero la A&M. Poi ho ascoltato il disco Medicine Show e le canzoni non mi hanno colpito. Credo che molto sia dipeso dal fatto che non mi piaceva la produzione di Sandy Pearlman, per lo stesso motivo per cui non mi piaceva quello che aveva fatto con Give ‘Em Enough Rope dei Clash. Ma mi piaceva il suo lavoro precedente con i Blue Oyster Cult; quindi, non ero del tutto prevenuto. Non so se si trattasse di un fallimento delle capacità di Sandy stesso, o se fosse solo che gruppi diversi ottenevano suoni diversi dal suo stile. Non ero un grande fan del disco per quanto riguarda il suono. Non riesco nemmeno a ricordare nessuna delle canzoni contenute. Non è per criticare Sandy, è solo il modo in cui mi sono sentito”
(Chris D.).

Che succede a questo punto? Tutto sembra funzionare, ma evidentemente non è così. L’approdo a una grossa etichetta (A&M Records) comporta una serie di modifiche che saranno determinanti per il futuro del gruppo. Una delle più evidenti fu il cambio del produttore. Da Chris D. si passa a Sandy Pearlman, da un esponente del punk acido americano al creatore del suono Blue Oyster Cult, così perfetto, pulito, preciso. Anche con i Clash di Give ‘Em Enough Rope Pearlman aveva tentato di ricondurre il punk grezzo e riottoso a una levigata forma metallica assolutamente fuori luogo per una formazione come i Clash. E questa stessa operazione viene riproposta con The Medicine Show, secondo album dei Dream Syndicate pubblicato nel 1984. Non che il suono sia lo stesso dei Clash, ma è quell’approccio ordinato, distinto, da rock adulto, che viene riproposto, scardinando di fatto quell’equilibrio sonoro raggiunto nel precedente lavoro. Ad aggiungere una patina di serietà viene aggregato alla formazione il pianista Tom Zvoncheck mentre al posto delle soavi linee di basso di Kendra Smith, che lascia il gruppo per formare gli Opal, arriva Dave Provost. Come acutamente osservato da Chris D. The Medicine Show rappresenta un deciso cambio di suono che alla fine condiziona in parte la seconda prova del gruppo, pur essendo comunque un buon disco. Ma la magia di quel suono graffiante, acido, irruento, quel viaggio tra i lidi psichedelici che The Days Of Wine And Roses aveva compiuto con rara efficacia, viene deliberatamente eroso da un sound più levigato, gentile e rispettoso dei canoni del buon rock. Chi ne farà più le spese sarà proprio la chitarra di Precoda, irregimentata in un suono che lascia poco spazio ai rumori, alle fantasie e alle scorribande soniche.

Un esempio è il brano John Coltrane Stereo Blues, che dovrebbe in parte ricoprire il ruolo che aveva The Days Of Wine And Roses nel precedente disco; una lunga composizione basata su un riff ipnotico per lasciare spazio all’improvvisazione, un vero e proprio viaggio psichedelico, almeno nelle intenzioni. Ecco, qui Precoda avrebbe potuto essere determinante, avrebbe dovuto esplodere con rumori, distorsioni, note lancinanti. Invece rimane timido, ordinato, quasi timoroso di sporcare il brano, e con esso l’intero disco, cosa che invece non era certo accaduta nel precedente ellepì. Peraltro, a fronte di questa parziale delusione, Precoda inserisce uno dei suoi più begli assoli in Bullet With My Name On It, da lui composto. È uno solo melodico, struggente, che riprende la melodia del ritornello modificandola e lanciandola in alto, una sorta di Dave Gilmour acido e spostato.
La pubblicazione del mini lp This Is Not The New Dream Syndicate Album…Live, conferma ed accentua la tendenza di The Medicine Show, con la massiccia presenza delle tastiere che accerchia e soffoca pesantemente la chitarra di Precoda, fino a renderla quasi superflua. Inevitabilmente, con le registrazioni per il successivo Out Of The Grey, si giunge all’abbandono del gruppo da parte del chitarrista. L’arrivo di Paul B. Cutler, amico di lunga data del gruppo e produttore del primo ep Down There, indubbiamente più virtuosistico e abbastanza convenzionale come solista, spegne definitivamente le spinte psichedeliche e rumoriste annegandole in un ovvio suono rock abbastanza scontato. A dimostrazione dell’importanza della chitarra e del solismo di Precoda va sottolineato che anche in questo album la qualità dei brani scritti da Wynn è elevata, ma la mancanza di interventi creativi e spiazzanti, dei magma sonori e dei dardi distorti che percorrevano la musica dei Dream Syndicate porta ad un generale appiattimento musicale riducendosi a una lista di canzoni carine ma prive dell’estro sonoro del passato. Il successivo Ghost Stories non fa altro che proseguire sulla strada tracciata da Out of the Grey ma questa volta anche l’estro compositivo di Wynn comincia a mostrare la corda; è il preludio allo scioglimento e all’inizio della sua carriera solista, peraltro non priva di lavori interessanti e di pregio. Torneremo successivamente sulle vicende del gruppo e sulla produzione del secondo periodo. Ora è importante commentare il prezioso materiale del cofanetto datato 1982, l’anno d’esordio del gruppo e quello certamente più interessante, quantomeno della loro prima fase.

Tempo di anniversari: History Kinda Pales When It And You Are Aligned
Insieme all’album d’esordio il primo cd comprende l’ep Down There, registrato una settimana dopo il loro esordio live e ad appena un mese dalle prime prove effettuate a line up completa e definitiva. È certamente un prodotto acerbo, ma già fresco e colmo di suggestioni, con quell’immediatezza tipica del punk, quell’irruenza tutta giovanile scevra da tecnicismi e virtuosismi.  Pubblicato dalla Down There (una fantomatica etichetta di Steve Wynn) e prodotto, come accennato sopra, da Paul B. Cutler, l’ep contiene quattro brani che sembrano uscire fuori dai primi Velvet Underground, con la voce di Wynn che ricorda tanto il Lou Reed della Factory di Warhol. Una Sure Thing scritta da Precoda e dalle chiare reminiscenze punk, That’s What You Always Say e When You Smile che verranno poi riprese nel primo lp e che sprizzano visionarietà già in questa ruvida e primitiva veste, Some Kinda Itch a concludere il trio di composizioni di Wynn, cavalcata psycho rock sempre di evidente stampo Velvet Underground. In sostanza il perfetto biglietto da visita per un gruppo dalle enormi potenzialità.

“Quando mi sono unito alla band, nel dicembre 1981, il nome non era ancora ufficiale. Steve pensava che avremmo potuto chiamarla 15 Minutes, come il suo omonimo singolo autoprodotto. Personalmente, ritenevo che fosse un po’ debole per un gruppo con un suono così unico, così iniziai a cercare su libri e dischi un nome che riflettesse in qualche modo il suono della band a parole, oltre a un nome che fosse bello da vedere sulla carta stampata e che ispirasse curiosità. Lo trovai su un album di Tony Conrad, che, oltre a essere un regista, suonava con un gruppo tedesco chiamato Faust. Il suo album si chiamava Outside The Dream Syndicate perché in passato aveva fatto parte di un gruppo con questo nome insieme a Lamonte Young e John Cale. Quando ho visto quelle parole sulla copertina del disco, mi è suonato subito un campanello e ho capito che era il nome giusto per questa band. Il resto del gruppo all’inizio era riluttante, ma ben presto ci siamo trovati tutti d’accordo sul fatto che era il nome giusto per noi. Ricordo di aver detto ad alcuni amici il nome che avevamo scelto; molti mi consigliarono di cambiarlo. Credo che almeno la maggior parte delle persone lo considerasse piuttosto strano. A quel tempo non esisteva il revival psichedelico o il Paisley Undergound. Nessuno, a parte i collezionisti di dischi, parlava di musica degli anni ’60 e non c’erano in giro gruppi con nomi del genere, quindi immagino che si distinguesse dal resto”
(Dennis Duck).

Le parole del batterista dei Dream Syndicate, oltre a gettare luce sulle origini del nome del gruppo e sull’assoluta novità musicale che all’epoca rappresentasse, introducono ai brani del secondo cd. Proprio il singolo autoprodotto da Wynn e, nel caso di That’s What You Always Say addirittura completamente suonato dallo stesso, apre l’interessante e curiosa rassegna di brani di questo secondo disco. Last Chance For You è l’altra canzone facente parte del singolo pubblicato nell’Ottobre del 1981; pezzi dalle venature garage, abbastanza pulite e ordinate ma già ricche di fascino, tanto da rimanere in repertorio ed essere poi pubblicate sia sull’ep che sul primo album, per quanto riguarda That’s What You Always Say. Due brani sono di assoluto valore: Too Little, Too Late già affascinante con la voce suadente di Kendra Smith e la sonica e pungente Definetely Clean, entrambe riesumate dalle prime prove effettuate dal gruppo il 27 dicembre del 1981.

Is It Rolling, Bob? A Reason, Like Mary, Outside The Dream Syndicate, Unknown song with lyrics, sono tutti brani inediti (a parte Like Mary ripresa e pubblicata sul loro primo disco dopo la reunion, How Did I Find Myself Here? del 2017) che avrebbero benissimo potuto essere altre potenziali hit, canzoni dal sapore distorto, sorta di jam improvvisate, riff reiterati, furori punk. Gli ultimi due brani sono tratti da un concerto al KPFK del 5 settembre 1982: Some Kinda Itch in una interpretazione più lenta rispetto a quella dell’ep, più suadente e onirica, e un‘acida e graffiante Open Hour, nient’altro che la John Coltrane Stereo Blues del secondo album The Medicine Show qui evidentemente già in fase di elaborazione. Proprio questo brano mostra la distanza tra l’approccio più libero, aperto all’improvvisazione rumorista e psichedelica presente in questa fase e l’operazione pulizia avviata da Sandy Pearlman con il secondo album. Sicuramente il brano migliore di questo cd.

Le preziose registrazioni dei concerti
Due live show, uno nel cortile del negozio di vestiti vintage 1313 Mockingbird Lane di Pasadena dell’otto maggio del 1982 e uno effettuato prima della registrazione di The Days Of Wine And Roses in un luogo sconosciuto, oltre a tre brani registrati in prova, compongono la tracklist di questo terzo cd.
Il primo live mostra tutto intatto il furore punk della band dal vivo: Until Lately e Sure Thing (un peccato che questo brano di Karl Precoda non sia finito poi su nessun lp del gruppo) già pienamente sviluppate, striate di blues, graffiate, distorte, mentre Then She Remembers ancora non del tutto elaborata. A chiudere questo primo live It’s Gonna Be Allright, ancora un altro nome per la John Coltrane Stereo Blues del secondo album. Versione anch’essa ruvida, sporca, ma leggermente inferiore alla Open Hour del secondo cd di questo cofanetto e purtroppo anche incompleta causa deterioramento del nastro.
Il secondo live è di qualità superiore al precedente, con i brani evidentemente già pronti per essere registrati. Tuttavia, non mancano le sorprese: Halloween, seducente canzone scritta da Precoda, è caratterizzata da un solo dello stesso chitarrista di puro stampo free, elettrizzante, che poi converge in una massa sonora all’interno del flusso del brano, mentre That’s What You Always Say, dalla bella ed efficace linea di basso di Kendra Smith, mostra una estesa parte centrale con tracce distorte, rumori e feedback sostenuti dal costante e preciso drumming di Dennis Duck. Segue poi una Sure Thing sempre più Velvet Underground, la cavalcata blues graffiata punk di Definitely Clean, con un ossessivo finale, Too Little, Too Late cantata delicatamente da Kendra Smith e già molto simile alla versione che sarà registrata su lp, per concludere con When You Smile, completamente trafitta da feedback, aloni irregolari, e l’altra cavalcata punk velvettiana Some Kinda Itch. Un live intenso, dirompente.
Curiosi gli ultimi tre brani del cd, delle prove registrate dal batterista Dennis Duck. Una nova versione di That’s What You Always Say (ancora!) che ricorda i primi Rolling Stones, la cover di Road Runner, brano R&B di metà anni Sessanta scritto da Bo Diddley e spesso suonata dagli Who e infine uno strumentale senza alcun titolo dal vago sapore rock’n’roll, ben suonato e divertente.

Altri due inediti live compongono il quarto e ultimo cd: quello al Country Club di Reseda in California del 24 luglio 1982, e quello al Backstage di Tucson, Arizona, del 2 dicembre sempre dello stesso anno. La scaletta del primo comprende quasi tutti i brani del lavoro d’esordio più Sure Thing di Precoda, mentre nel secondo live, oltre a Halloween, Definitely Clean, That’s What You Always Say e Until Lately, tutti da The Days Of Wine And Roses, ci sono una scura e acida Folsom Prison Blues di Johnny Cash e un classico di Janis Joplin, Piece Of My Heart, aspra e dissonante, più la Some Kinda Hitch dell’ep.
Senza scendere nel dettaglio, anche questi due concerti confermano le qualità del gruppo che di volta in volta reinterpreta i propri brani dandogli delle letture inaspettate. Merito delle sempre sorprendenti improvvisazioni di Karl Precoda, della voce alienata, sporca di blues, a tratti furiosa di Steve Wynn, dell’intrigante intreccio tra chitarra ritmica e chitarra solista e del costante incedere, preciso e puntuale, della ritmica. È un approccio che concede molto all’improvvisazione, pur inserita all’interno di strutture ben definite, di brani, e con un furore mutuato certamente dal punk. La discreta qualità delle registrazioni, che fa apprezzare con piacere queste esibizioni live e il resto del materiale non ufficiale, è merito del tecnico di studio Pat Thomas, autore anche delle note di copertina, delle interviste e delle preziose informazioni contenute nel ricco booklet del cofanetto.

Il sorprendente ritorno
Come si è detto, il gruppo si scioglie formalmente nel 1989 per poi riformarsi nel 2012 grazie ad un festival benefit a Bilbao, con una line up che vede ovviamente Steve Wynn, il batterista Dennis Duck, il bassista di Out Of The Grey e Ghost Stories Mark Walton, e la chitarra solista di Jason Victor, membro dei The Miracle 3, band che ha accompagnato Steve Wynn nella sua carriera solista. Quattro album, How Did I Find Myself Here? del 2017, These Times del 2019, The Universe Inside, 2020 e Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions dello scorso anno, quest’ultimo per la Fire Records mentre gli altri tre per la Anti-. Operazioni del genere spesso sono di scarso valore, ben che vada una pedissequa riproposizione della musica di un tempo ma senza più l’estro e la freschezza degli anni passati. E invece, inaspettatamente, il ritorno dei Dream Syndicate è stato in grado di portare alla luce dei lavori discografici di alto livello, certo diversi da quelli passati per la pulizia del suono e l’eleganza del tono generale, ma con ancora quel mirabile paesaggio sonoro frutto di un mix tra rock intriso di blues, slanci psichedelici, ballate dal lontano sapore country folk, melodie sognanti e improvvisazioni eteree. Ma, soprattutto, con una sorpresa per certi versi inattesa da parte di un gruppo che, in questa seconda fase, possiamo definire essenzialmente rock; un intero disco dedicato all’improvvisazione.

Un’improvvisazione free form, elettrica, psichedelica, una sorta di jazz rock attualizzato e reinterpretato con personalità. Questo è The Universe Inside, con ospiti quali il multistrumentista Marcus Tenney (tromba e sassofono), l’amico di vecchia data Chris Cacavas, tastierista dei Green On Red, l’altro gruppo di punta del Paisley Undergound, e il percussionista Johnny Hott. Lunghe suite di venti minuti, come il brano di apertura The Regulator o i quasi undici minuti di Slowest Rendition, a chiusura del disco, ballate elettriche estese come The Longing, con echi di Morricone e Apropos Of Nothing, dalle reminescenze Velvet o il riff reiterato, di stampo krautrock, Dusting Off The Rust, una sorta di John Coltrane Stereo Blues degli anni Duemila. Un lavoro collettivo, dove i confini scompaiono e le distese sonore esplodono in un flusso improvvisativo corale, astratto. Un coraggio non da poco, soprattutto di questi tempi, e la conferma dello stretto rapporto con l’improvvisazione che ha mantenuto vitale la musica dei Dream Syndicate per tutti questi anni, al contrario di tante altre proposte.
E Karl Precoda? Le sue scorribande sonore e le sue inaudite improvvisazioni sono confluite in una carriera di docente di cinema e drammaturgia, con incursioni nel campo sociologico e corsi di African American Images in Film, American Indian Studies e American Indians in Cinema presso la School of Performing Arts di Blacksburg, in Virginia.
Niente male per il chitarrista più acido d’America.

Ascolti
  • Danny & Dusty, The Lost Weekend, A&M, 1996.
  • The Dream Syndicate,This Is Not The New Dream Syndicate Album…Live, A&M, 1984.
  • The Dream Syndicate, Ghost Stories, Restless Records, 2004.
  • The Dream Syndicate, The Medicine Show, Universal Music, 2010.
  • The Dream Syndicate, The Dream Syndicate (ep), Blu Rose Records, 2013.
  • The Dream Syndicate, How Did I Find Myself Here? Anti-, 2017.
  • The Dream Syndacate, The Day Of Wine And Roses, Fire Records, 2019.
  • The Dream Syndicate, These Times, Anti-, 2019.
  • The Dream Syndicate, The Universe Inside, Anti-, 2020.
  • The Dream Syndicate, Out Of The Grey, Fire Records, 2021.
  • The Dream Syndicate, Ultraviolet Battle Hymns And True Confessions, Fire Records, 2022.
  • Green On Red, Green On Red, Down There Records, 1986
  • Green On Red, Gravity Talks, Music On Cd, 2023.
  • The Long Ryders, Native Sons, Frontier Records, 2002.
  • The Long Ryders, State Of Our Union, Cherry Red, 2018.
  • Opal, Happy Nightmare Baby, Salley Gardens, 2019.