Un popolo di santi e navigatori virtuali

 

di Luca Bifulco

 

È opinione diffusa che l’immaginario legato al cyberspazio – inteso come l’ambiente comunicativo che nasce dalla connessione mondiale dei computer e dunque dagli enormi flussi di informazione circolanti nella rete – abbia diversi punti di contatto con un ricco patrimonio di rappresentazioni generalmente associato alla sfera del sacro. Parliamo qui, in particolar modo, di quella forma di pensiero sacrale che ha forgiato con forza soprattutto la visione del mondo di comunità per così dire arcaiche, ma che ha mantenuto una costante influenza, spesso latente, nell’organizzazione di una parte importante dei significati di molte società nel corso della storia.

Tant’è vero che, come accennavamo, si può spesso rilevare una valida simmetria proprio tra una certa impostazione cognitiva che accompagna il rapporto con il mondo della rete – quello, insomma, della modernissima società dell’informazione – e l’architettura simbolica con cui in un lontano passato si costruiva collettivamente il senso dell’esistenza all’insegna di una continua ed intensa dialettica tra il sacro ed il profano. È possibile riscontrare dunque vivide analogie sia se ci si pone di fronte ad un modo oggi generalmente condiviso di raffigurarsi il nuovo mondo virtuale del cyberspazio, sia – e specialmente – se si analizza per bene l’ottica di una vasta, eterogenea comunità di appassionati sostenitori e promotori delle potenzialità, a loro dire salvifiche, della rete. Di coloro insomma, per dirla con le parole di Philippe Breton, che più di tutti paiono crogiolarsi nell’alveo caloroso di quelle credenze capaci di plasmare un vero e proprio culto di internet.[1]

L’argomento è in effetti davvero ampio e pieno di sfaccettature variopinte. Un percorso completo nell’area labirintica ed infinita dell’immaginario attinente alla rete richiederebbe molto tempo e molto spazio, per raffigurare le molteplici diramazioni, le differenti sfumature dei significati modellati, scavalcando tutte le insidie potenziali e sondando i numerosi angoli bui di un pensiero composito, ricco, pronto ad accogliere immagini provenienti da svariate aree di senso.

In questa sede possiamo allora solo accennare, in via introduttiva, al corpus più evidente di somiglianze tra il clima simbolico che ha forgiato la concezione del sacro e le immagini con cui si plasma l’idea del cyberspazio, soprattutto da parte dei cosiddetti adoratori della rete.

Immaginario sacrale e cyberspazio
Da un punto di vista etimologico, “sacro” vuol dire “separato”. Come scrive Umberto Galimberti, “la sacralità, quindi, non è una condizione spirituale o morale, ma una qualità che inerisce a ciò che ha relazione e contatto con potenze che l’uomo, non potendo dominare, avverte come superiori a sé, e come tali attribuibili a una dimensione, in seguito denominata “divina”, pensata comunque come “separata” e “altra” rispetto al mondo umano[2]”. Il mondo sacro è dunque ontologicamente difforme dal mondo profano della quotidianità. È composto da forze contrapposte, in continua metamorfosi, e non da oggetti dalla natura fissa. È sede, allo stesso tempo, del puro o dell’impuro, può portare beatitudine o dannazione.

Ma dal sacro, in definitiva, l’uomo si aspetta soccorso e successi, è un luogo in cui può trovare la salvezza e svincolarsi dalle occupazioni quotidiane. Esso rappresenta, così, una serie di energie difficili da padroneggiare, ma ricche di promesse. Ciò che non appartiene al sacro è, per certi versi, inoffensivo, ma anche senza alcuna attrazione.[3] Il sacro si rovescia allora nel profano, conferendo benefici, o rischiando di distruggerlo ma anche di esserne neutralizzato. I riti divengono così necessari, in quanto fattori fondamentali per regolare i rapporti tra i due mondi, ma anche per consentire la partecipazione collettiva ai significati che il sacro regala alla quotidianità esanime.

 


 

[1] Cfr. Philippe Breton, Il culto di Internet. L’interconnessione globale e la fine del legame sociale, Testo & Immagine, Torino 2001.

[2] Umberto Galimberti, Orme del sacro, Feltrinelli, Milano 2000, p. 13.

[3] Cfr. Roger Caillois, L’uomo e il sacro, Bollati Boringhieri, Torino 2001, pp. 16-17.

 

 

    (1)  [2] [3]